ANDARE A NOZZE
Omelia per la solennità del Corpus Domini
Cassino-Sora, 18 giugno 2017
“Egli ti ha fatto provare la fame, poi ti ha nutrito di manna, per farti capire che l’uomo non vive soltanto di pane, ma che l’uomo vive di quanto esce dalla bocca del Signore”. Con la sua parola, Dio “ha fatto sgorgare per te l’acqua dalla roccia durissima…ti ha nutrito di manna sconosciuta ai tuoi padri” (Dt 8). La liturgia ripropone l’ideale del deserto, esperienza sempre attuale e necessaria per interpretare e ripensare in meglio la nostra esistenza alla luce della Parola di Dio. Nel deserto, luogo privilegiato dell’ascolto, l’uomo comprende che la parola che esce dalla bocca di Dio nutre la sua esistenza perché cibo spirituale che sazia la fame di verità e di luce, rivela il volto di Dio, orienta il senso della vita, risponde al desiderio di infinito e di immortalità, annuncia realtà sempre nuove, impensabili, impossibili all’uomo.
Vivere per l’Altro
Tra queste, il Corpus Domini celebra oggi la novità assoluta del pane e del vino: da alimenti naturali, necessari per il sostentamento dell’uomo, sono trasformati da Gesù in sacramento del suo amore crocifisso che nutre e accresce la relazione del discepolo con il suo Signore: “Colui che mangia di me vivrà per me”. Il dono della sua vita aiuta a vivere per Lui. Durante il rito della Cena, in prossimità della pasqua ebraica, Gesù depone nelle mani dei Dodici la sua stessa vita: “Questo è il mio corpo, che è dato per voi; […] Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che è versato per voi” (Lc 22,20). Pertanto, dove c’è consegna di sé nel dono del proprio corpo si svela un amore nuziale: il sacramento dell’eucarestia trasmette il sublime amore di Cristo, dono nuziale per sempre e per tutti. Partecipare all’eucarestia, andare a Messa, è come “andare a nozze”. Nella rivelazione biblica, l’incontro intorno ad un banchetto possiede sempre una dimensione nuziale. È interessante notare che i banchetti che incontriamo nei vangeli sono prevalentemente dei banchetti di nozze, soprattutto quello escatologico, finale: “Beati gli invitati al banchetto di nozze dell’Agnello!” (Ap 19,9).
La trasfigurazione dell’amore
Le ragioni e dimensioni nuziali dell’eucarestia si raccordano immediatamente con il patto coniugale del matrimonio: la medesima alleanza tra Dio e l’umanità, tra Cristo e la Chiesa, viene celebrata nel duplice sacramento del matrimonio e dell’eucarestia. In questo tempo di profonda crisi della coppia e della famiglia, i credenti riconoscono una stagione di grazia, unica, per testimoniare con rinnovata convinzione la bella verità dell’amore nuziale e la felicità dell’essere uomo e dell’essere donna, coppia “con la grazia di Cristo”: “Voi mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei” (Ef 5,25). Nel sacramento del matrimonio l’amore tra l’uomo e la donna non è più soltanto un elemento naturale, ma è trasfigurato in segno e manifestazione concreta dell’amore di Cristo per la Chiesa e per l’umanità. Come l’eucarestia, anche l’amore tra due creature diventa sacramento nuziale di Cristo, amore autentico, cristallino, non intossicato dall’egoismo, dal piacere, dal consumismo, dal possesso.
Tra i due sacramenti si stabilisce una reciprocità di tipo osmotico: il matrimonio cristiano ha bisogno di ricevere rinnovata energia e vigoroso impulso dalla partecipazione dei coniugi e della famiglia alla celebrazione eucaristica domenicale: “Questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi. Questo è il mio sangue…versato per voi”. Anche nell’anello di ogni sposa e di ogni sposo sta scritto: “Prendi, questo è il mio corpo”.
L’ amore redento
San Paolo, nella seconda lettura, approfondisce questa verità e spiega: il calice della benedizione è comunione con il sangue di Cristo; il pane che noi spezziamo è comunione con il corpo di Cristo, sacrificato per amore sulla Croce. Dunque, ogni coniuge mentre comunica al calice e al pane, condivide e partecipa alla medesima logica di quell’amore che fa della propria vita un’offerta generosa e totale, un dono d’amore celebrato nel segno del sacrificio e della sofferenza. “Fare la comunione” è molto di più del semplice, forse banale e distratto, accostarsi devozionale alla mensa eucaristica, spinti a volte da uno sterile pietismo che non “cristifica” la nostra esistenza: “Come Cristo ha offerto la sua vita per noi, così anche noi dobbiamo per i fratelli offrire le nostre vite” (1 Gv 3, 16). Commenta sant’Agostino: “Su quella mensa c’è il corpo e il sangue di Cristo; chi si accosta a tale mensa, si appresti a ricambiare il dono che riceve; e cioè, come Cristo ha offerto la sua vita per noi, noi dobbiamo fare altrettanto” (Commento al vangelo di Giovanni, 47,2). Pertanto, il “fare la comunione” impegna ad un livello profondo di partecipazione e di condivisione. Chi riceve questo dono è in esso trasformato, perché dichiara di accettare e desidera di imparare a vivere e ad amare secondo la logica e la forza del dono ricevuto: “Sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me. E questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me. Dunque non rendo vana la grazia di Dio” (Gal 2,19-21). Dalla partecipazione domenicale alla celebrazione della “nuova ed eterna alleanza” nel sangue di Cristo, segno supremo del sacrificio della propria esistenza per noi, ogni coppia rinnova il patto nuziale e il reciproco dono di sé all’altro.
Nel celebrare l’amore nuziale del Signore crocifisso, l’uomo e la donna si ri-promettono le esigenze e le caratteristiche dell’amore: totalità, concretezza, dono, rinuncia, spogliazione. Soprattutto l’irreversibilità: perché come il corpo eucaristico non diventerà mai più semplice pane, così il dono sincero e totale di sé all’altro nel sacramento del matrimonio non potrà essere più revocato. E’ per sempre! L’irreversibilità del dono genera l’indissolubilità dell’amore. L’amore nell’atto di donarsi non ci appartiene più: esige solo la nostra continua e fedele risposta.
+ Gerardo Antonazzo