Beati, non beoti
Omelia per la solennità di Tutti i Santi
Sora-Cassino, 1 novembre 2017
Il Cielo è abitato: lo sguardo del credente, illuminato dalla visione apocalittica di Giovanni, è attratta dalla moltitudine di coloro che affollano il trono di Dio e dell’Agnello immolato e risorto, mentre gridano a gran voce: “Amen, lode, gloria, sapienza, azione di grazie, onore, potenza e forza al nostro Dio”. L’esistenza post mortem dei redenti è una partecipazione perpetua (“giorno e notte”) ad una liturgia celeste durante la quale la folla loda insieme Dio e l’Agnello operatori della salvezza (Ap 7,10).
Adorare solo Dio
Il 25 ottobre 2017 papa Francesco per venticinque minuti ha dialogato con l’equipaggio della Stazione spaziale internazionale (Iss). Venticinque minuti in cui il Pontefice ha rivolto domande profonde. L’equipaggio della missione attualmente in orbita – si tratta della “Expedition 53” – è composto da sei astronauti: tre statunitensi, due russi e un italiano, Paolo Nespoli. Che cosa – ha chiesto tra l’altro il papa- vi ha motivato a diventare astronauti? L’astronauta americano Randy Bresnik si è soffermato sulla possibilità di vedere la Terra “un po’ con gli occhi di Dio”, e vedere la bellezza di questo pianeta. Il libro dell’Apocalisse ci aiuta molto a vedere la Terra con gli occhi di Dio: il Cielo ci rivela le conoscenze necessarie per migliorare le nostre condizioni di vita sulla Terra. Per questo il brano della liturgia odierna ci consegna prima di tutto l’adorazione di Dio: i cristiani nel loro faticoso peregrinare adorano solo Dio, come dimostra la corte celeste (Ap 7,11; 11,16; 14,7; 19,4). Per l’uomo antico, potere e divinità sono legati intimamente. L’imperatore è adorato come dio dai pagani nei culti imperiali. L’Apocalisse presenta invece solo Dio come unico sovrano. Il verbo “prostrarsi” – “adorare” esprime l’atteggiamento umano davanti all’autorità politico-divina: nell’Apocalisse, prostrarsi davanti alla bestia o davanti a Dio implica una sottomissione politica e una venerazione al tempo stesso. Non è permessa nessuna adorazione degli angeli (Ap 19,10; 22,8-9). Ancora meno è permessa l’adorazione dei Santi, verso i quali le manifestazioni della devozione popolare non sempre sono state esenti dal rischio di una deriva quasi idolatrica. “I santi sono i santi, sono grandi! I santi sono importanti ma il centro è Gesù Cristo: senza Gesù Cristo non ci sono i santi! E qui la domanda: il centro della mia vita è Gesù Cristo? qual è il mio rapporto con Gesù Cristo?” (Papa Francesco, 9.1.2017). Le tentazioni che Gesù affronta contengono le forme più allettanti di “idolatria”: il diavolo inventa di tutto per distogliere Gesù dalla sua relazione di amore con il Padre, e lo lusinga con la promessa del potere, della gloria, della fama, della ricchezza, del prestigio, del sorpasso, dell’apparenza.
La salvezza appartiene a Dio
La linfa dell’idolatria è il bisogno di salvezza. Grazie al brano dell’Apocalisse riceviamo una seconda conoscenza che migliora la nostra condizione di vita sulla Terra: “La salvezza appartiene al nostro Dio, seduto sul trono, e all’Agnello” (Ap 7, 10). Portiamo nell’animo il bisogno di salvezza, per la quale siamo disposti ad affidare la nostra esistenza a ciò e a chiunque è capace di promettere stabilità, sicurezza, successo, riuscita, soddisfazione…rischiando però l’illusione, la confusione, il fallimento che addolora e getta persino nella disperazione. L’invocazione di salvezza è la colonna sonora dell’intera Bibbia. Non è un coro lungo ma riassume una storia molto lunga. E’ un coro che non vorremo lasciar svanire dalla nostra mente né dal nostro cuore, per tutta l’eternità …L’affermazione del testo è lapidaria, non lascia spazio a interpretazione arbitrarie, e non si presta a manipolazioni di sorta: la visione dell’Apocalisse riconosce la possibilità della salvezza all’iniziativa esclusiva di Dio e all’opera del suo Figlio, nel cui sangue i salvati “hanno lavato le loro vesti, rendendole candide”. Ogni attività umana, ordinata al vero progresso dell’uomo, è orientata alla salvezza di Dio, ma nulla e nessuno potrà sostituirsi alla sua opera divina: la scienza e la tecnica, la politica e l’economia, potranno rispondere sempre meglio allo sviluppo integrale della persona umana, ma sono azioni umane pur sempre ferite dal peccato. Solo per mezzo di Cristo ogni creatura può essere riscattata dal peccato e sperare della vita eterna. La celebrazione di tutti i Santi ravviva questa certezza della fede cristiana: dopo la morte non ci attende il nulla; il Cielo non è vuoto.
La “magna charta”
Il vangelo odierno ci fa la terza consegna per migliorare le condizioni di vita sulla Terra e imparare a vederla con gli occhi di Dio: le Beatitudini. Lo scrittore francese Charles Péguy ammoniva: “No, figlio mio, Gesù non ci ha dato delle parole morte da rinchiudere in scatolette piccole o grandi e che dobbiamo conservare in olio rancido come le mummie d’Egitto. Gesù Cristo non ci ha dato affatto delle conserve di parole da custodire ma ci ha dato parole vive per nutrirci e nutrire” (“Il portico del mistero della seconda virtù”). Le Beatitudini sono queste parole vive che nutrono. Sono la “magna charta” dei forti, che forma e regola la vita dei beati e non dei beoti. Non parole consolatorie per beoti rinunciatari e rassegnati, indolenti e apatici rispetto alle responsabilità della storia, ma parole forti, controcorrente, generatrici di nuovi, autentici modelli di vita, primavera inoltrata del regno di Dio che viene. Le Beatitudini sono parole che scolpiscono l’uomo nuovo, sono le condizioni che restituiscono un’anima alle attività dell’uomo, arricchendole e orientandole al raggiungimento del suo vero bene. Sono parole che riconoscono e rigenerano la vocazione spirituale e trascendente della persona, risvegliano la sua dimensione sociale ed etica, dichiarano la sua responsabilità di fronte alla giustizia e alla pace. Sono parole che anticipano le condizioni del Cielo perché inaugurano, in germe, la beatitudine della vita nuova.
+ Gerardo Antonazzo