Dopo gli ultimi sbarchi a Lampedusa dall’Eritrea accolti dalla Caritas Diocesana
Nella notte del 9 aprile scorso è scattata l’emergenza immigrati anche nel nostro territorio. Per gli operatori della “Caritas Diocesana” si è trattato di una sorpresa annunciata che si stava preparando da tempo, a seguito di una convenzione stipulata con la Prefettura di Frosinone, su mandato del Dipartimento per le Libertà Civili e l’Immigrazione del Ministero dell’Interno. La ricerca di una casa che potesse ospitare una trentina di persone si è concentrata su uno stabile di Isola Liri, che è stato preparato con il necessario per la prima accoglienza degli immigrati. La casa si chiama “Æneas”, in ricordo di Enea, il migrante forzato per eccellenza, che fugge a fine guerra pur di salvare la vita. Martedì 8 aprile é cominciata la tappa italiana di 38 donne e di 8 minori, tutti provenienti dall’Eritrea: lo sbarco a Lampedusa, il trasferimento all’aeroporto di Catania, il volo per Fiumicino, sotto la scorta della Polizia di Stato. All’arrivo nella notte, don Akuino Toma Teofilo, direttore della Caritas Diocesana di Sora, Aquino, Pontecorvo e gli altri operatori,che avevano preparato tutto per l’accoglienza di 45 uomini, hanno visto invece scendere dalla scaletta dell’aereo solo decine di donne brune e qualche bambino. Dopo un primo momento di immediata sorpresa, l’accoglienza, non solo quella tecnica, ma anche quella del cuore, si mette in moto, con la consegna da parte della Polizia agli operatori della “Caritas Diocesana” di Sora, Aquino, Pontecorvo, delle 38 donne e degli 8 bambini. Quindi la partenza e l’arrivo di tutti finalmente all’ Æneas ad Isola Liri, dove potersi lavare, mangiare dormire; tutti atti e gestii di quotidiana esperienza, per riprendere le forze, la speranza, il respiro. Perché la Caritas si è occupata di loro? Non bastano i Centri Istituzionali? Finora in molti si è sentito parlare di Crotone, Mineo e le immagini televisive forse spaventano da un lato, perché si vede l’inadeguatezza del sistema e rassicurano dall’altro, perché questi “fratelli” rimangono a distanza, sufficientemente lontani, e possiamo pensarli, commuoverci, ma senza comprometterci. Poi un giorno, o meglio una notte, la disperazione bussa alle porte del nostro territorio,quasi in casa nostra e si fa vicina della porta accanto. E ci si domanda subito: come mai proprio noi? La risposta è evidente: è chiaro che le Sedi Istituzionali non bastano, perciò il Ministero dell’Interno ha fatto appello alla Nazione e sta dislocando in tanti punti del territorio nazionale, piccoli centri di prima accoglienza, proprio per evitare assembramenti numerosissimi, che esasperano gli abitanti e tolgono dignità agli immigrati stessi, creando disservizi, malcontenti, proteste. La reazione dei vicini? Positiva: c’è chi mette a disposizione il proprio tempo, chi dà disponibilità per piccoli servizi; diverse parrocchie si stanno facendo avanti per offrire indumenti. Gli operatori vanno molto oltre l’indispensabile, per offrire sostegno, comprensione, traduzione da un oscuro idioma africano, attraverso mediatori culturali. Il resto tocca alle Istituzioni, alla Questura che ha il dovere di procedere all’identificazione delle persone e all’accertamento del loro “status” di richiedenti asilo. Queste donne, alcune con i loro bambini, hanno occhi profondi, che ancora guardano lontano a partire da chissà quale storia precedente. Rispondere al loro sguardo con il rispetto dovuto alla dignità di ogni persona sulla faccia della terra: questo è il primo passo che la coscienza chiede a tutti di fare. E i passi successivi? Il dialogo che comincia interpella tutti, personalmente, ma raccogliere la sfida spetta a ciascuno di noi.
Antonella Piccirilli
Della Caritas Diocesana di Sora, Aquino, Pontecorvo