Stefania Schettino: Prendersi cura dei “nostri” ragazzi

 

Educare i bambini alla fede è un’esperienza di relazione bella e coinvolgente. Nella mia esperienza ormai quasi decennale di educatrice dei più piccoli, vivo il servizio educativo con gioia ed entusiasmo, come il primo giorno. Raccontare ai più piccoli la fede e annunciare loro la vita di Gesù è molto stimolante (I piccoli sanno arricchirti e donarti molto più di quello che riesco a darti i grandi!) perché anche se piccoli sono in grado di apportare un contributo originale alla vita quotidiana delle nostre comunità. In questo senso, noi li consideriamo e chiamiamo “NOSTRI ragazzi” facendo attenzione a non dare a questa espressione un’accezione sbagliata, catalogandoli come oggetti nelle nostre mani, strumenti di nostra proprietà, utenti di servizio pastorale che rischia di rimanere fine a se stesso.

È bene sapere invece che i bambini e i ragazzi delle nostre parrocchie fanno un’esperienza concreta di Chiesa con la propria vita, si sentono corresponsabili e si impegnano a ricercare il proprio modo unico e originale di seguire Gesù[1]. Anche i bambini e i ragazzi a loro modo vogliono sentirsi utili e importanti al servizio, scoprendosi dono per gli altri.

Pertanto i bambini e i ragazzi che ci sono affidati sono un bene prezioso per le nostre comunità, con le loro tante domande espresse o spesso inespresse, con i loro desideri e gioie, con le loro attese e delusioni sono terreno fecondo su cui attecchire per annunciare il Vangelo. Non bisogna guardare i bambini solo come gli adulti di domani, che magari troveranno spazio quando saranno “più grandi” ma come portatori oggi (e non domani!!!!) di un vissuto importante di esperienza originali in grado di arricchire la vita umana e cristiana delle nostre comunità.

Per questo è indispensabile prendersi cura e renderli protagonisti della loro vita, aiutandoli a diventare consapevoli della propria originalità costruita da una varietà di doni e talenti da mettere a frutto per il bene di tutti, grandi e piccoli. In questo modo è fondamentale aiutarli a maturare questa consapevolezza ponendoli al centro, quali portatori e custodi di risorse concrete per la loro maturazione umana e cristiana. Come diceva Vittorio Bachelet «i ragazzi non sono solo soggetti dell’azione pastorale ma soggetti della costruzione della Chiesa e partecipi a pieno titolo, a loro misura, della sua missione apostolica»[2].

Quando Gesù prende a sé un bambino e lo mette al centro del gruppo di persone che lo seguivano, non fa solo un gesto di tenerezza nei confronti dei più piccoli ma ne riconosce la piena dignità di persona indicandolo come modello per gli adulti. I bambini e i ragazzi devono trovare nelle nostre comunità cristiane una proposta a loro misura, che li permetta di fare esperienza di Gesù e della Chiesa: devono trovare i giusti spazzi e luoghi in cui imparare ad esprimere le loro potenzialità, idee, proposte per essere anche un segno forte di testimonianza per il mondo adulto.

Allora dire “i NOSTRI ragazzi” assume un senso diverso e più profondo; vuol dire prendersi cura di loro, accogliere le loro domande di vita, leggendole alle luce della Parola di Dio, vuol dire accompagnarli a conoscere e riconoscere Gesù nello loro vita. Prendersi cura dei ragazzi e dei bambini vuol dire saperli accogliere, creando loro le condizioni affinché possano vivere un’incontro autentico e sincero con il Signore; vuol dire essere dei punti di riferimento, non figure sostitutive alla famiglia, ma complementari di cui sapersi fidare ed affidare.

E proprio a riguardo vi riporto un’esperienza da me vissuta recentemente al campo diocesano di ACR, dove un educatore della nostra diocesi ha partecipato pur non avendo ragazzi provenienti dalla sua parrocchia. In quei giorni di campo, ha incontrato e conosciuto ragazzi “nuovi” che ha subito sentito come “suoi” pur non sapendo nulla di loro. Con loroha saputo tessere relazioni belle con i ragazzi diventando per loro un punto di riferimento importante nel gioco, nella catechesi e  nelle attività di campo. È questo l’esempio di chi sa cosa vuol dire prendersi cura dei più piccoli, esserci nel loro cammino di fede senza imporre la presenza, accompagnarli per mano, lasciandoli “cadere” dinanzi le difficoltà, tenerli la mano per “risollevarli”. Un accompagnamento alla fede che deve coltivare buone relazioni con i ragazzi, attraverso le quali far incontrare i ragazzi con Gesù.

Ecco che saper dire “i NOSTRI ragazzi” significa riconoscerli come persone in grado di testimoniare la fede con il loro parlare di sé e raccontarsi agli altri,  significa stimolarli nella crescita spirituale ed umana, significa essere fieri che un giorno sapranno essere uomini e donne di Dio, chiamati alla santità.

– Stefania Schettino

[1] ACI, Sentieri di speranza.Linee guida per gli itinerari formativi, Editrice AVE, Roma 2005

[2] V. Bachelet, Scritti Ecclesiali, Editrice AVE, Roma 2005, pp. 777-778.

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