Potrebbe essere questo il nuovo motto pastorale del vescovo di Sora Mons. Gerardo Antonazzo a seguito dell’unione della Terra Sancti Benedicti, ex diocesi di Montecassino con la confinante Diocesi di Sora Aquino Pontecorvo.
Poteva sospettarlo Don Gerardo quasi due anni fa, quando ha scelto il suo motto per venire dalla lontana Santa Maria di Leuca a svolgere il suo ministero episcopale in una diocesi in provincia di Frosinone affidata alle sue cure pastorali? Eppure quel motto, “In fines Terrae” che per lui, forse, aveva il significato preciso di accorciare le distanze affettive con la sua terra di origine, oltre che l’impegno missionario di annunciare il vangelo nella porzione del popolo di Dio affidatogli, oggi – a seguito della decisione presa da Papa Francesco di far tornare il Monastero Benedettino di Montecassino alla sua primaria finalità di “faro di luce e di spiritualità”, istituendo la nuova diocesi di Sora Cassino Aquino Pontecorvo, sembra acquistare un significato più pieno: quello di vedere esteso il suo servizio pastorale anche nel cuore della Terra sancti Benedicti, dal momento che la presenza benedettina era già testimoniata in tutto il precedente territorio diocesano, che, partendo proprio da Cassino e risalendo il fiume Liri, si estendeva sino ai confini con la Marsica.
Si sbaglia di molto chi – forse spinto dall’affezione – fosse portato a pensare diversamente, quasi si trattasse di un isolamento o di una riduzione dell’attività dei monaci, perché, vista nell’ottica giusta, anziché ridotta l’attività dei monaci risulta liberata ed elevata per poter meglio offrire al territorio e al mondo lo specifico servizio della loro vocazione, in risposta alle esigenze dei tempi moderni che tanto bisogno hanno di elevazione e di spiritualità. Lo ha ben espresso il nuovo Padre Abate Dom Donato Ogliari, 192° successore di San Benedetto, il quale rispondendo alla domanda di un giornalista ha affermato: «Anche se la Terra Sancti Benedicti come è denominata, non appartiene più all’Abbazia, continuerà questo legame forte tra la comunità di fedeli ed il monastero». E tanto per non perdere l’orizzonte, forse non è un caso che proprio nei giorni in cui tale decisione è stata resa pubblica, a Montecassino, e non solo, si stavano celebrano i cinquanta anni dalla proclamazione di San Benedetto a patrono d’Europa.
Ma il nostro territorio, compreso quello della ex diocesi Abbazia territoriale di Montecassino, non è solo caratterizzato dalla presenza benedettina; esso è anche “Terra Mariae”. Quanto al legame mariano, infatti, non si sarà certo stupito il vescovo Gerardo di trovare nel sorano, e non solo, una presenza mariana e una devozione viva e sentita, che di sicuro non gli avrà fatto rimpiangere la sua Basilica di Santa Maria di Leuca, dove era Rettore-Parroco al momento della nomina a vescovo di una delle diocesi tra le più vicine a Roma.
Così pure dev’essere rimasto impressionato da particolare attaccamento delle popolazioni di tutto il territorio che oggi costituisce la sua chiesa particolare, alla Vergine Santissima venerata con il titolo di Madonna di Canneto, al cui santuario ai piedi del Monte Meta, accorrono ogni anno migliaia di fedeli tra i quali in special modo proprio quelli della attuale diocesi di Sora Cassino Aquino Pontecorvo.
È ai piedi di questa “nostra Madonna” che sin dall’inizio il vescovo Gerardo ha trovato il suo ideale “rifugio”. Lo si capisce non solo dalla sua presenza attenta e vigile nel santuario, ma anche dal particolare legame che ha immediatamente stabilito con la Vergine Bruna, alla quale ha affidato il suo ministero episcopale e invocata in varie preghiere, in particolare quella per le vocazioni composta nei primi mesi del suo ministero tra di noi. Ma la conferma più piena la si trova nella sua scelta della “peregrinatio” con la quale sembra aver voluto portare la Madre celeste – per farla parlare direttamente al cuore di ciascuno – in tutte le parrocchie della sua diocesi e, già richiesta ancor prima che si sapesse della unione delle diocesi -forse per eccesso di zelo popolare – anche in varie parrocchie del territorio della ex diocesi di Montecassino.
È così che l’”in fines terrae”, per le ragioni conosciute soltanto dalla divina Provvidenza, in pochissimo tempo ha avuto modo di incrociarsi con due vie particolarmente preziose che, pastore e gregge, siamo chiamati a seguire: la via benedettina e la via mariana.
La prima, racchiusa nel motto “oboedientia et pax” che sovrasta l’ingresso del Monastero ed è stampata nel cuore di ogni benedettino, e che racchiude un’esperienza di millenni – se si risale ai primordi del monachesimo cristiano – e che porta nel suo bagaglio spirituale una ricchezza di vita nutrita di Parola di Dio, di silenzio, di ascolto interiore, di “ora et labora”, di fraternità e di solitudine, nella ricerca continua di “abitare soli con il Solo”. L’altra, la “via di Maria”, alla quale lo stesso Padre Abate Benedetto (benché nulla sappiamo esplicitamente della sua devozione mariana)deve aver ispirato il suo cammino di santità, è una via particolarmente sicura che porta direttamente nel cuore di Dio. Maria è, infatti, per eccellenza, la via del silenzio, della contemplazione, dell’ascolto, dell’obbedienza, della disponibilità, del servizio, della missionarietà e dell’abbandono alla volontà di Dio. Caratteristiche che, se proprio non sono facili da percorrere, sono comunque passaggi sicuri per la realizzazione di una chiesa che sia per il mondo testimonianza di Carità, di Speranza e di Fede. Alla cui base non può che esserci l’impegno di tutti i membri della nuova famiglia diocesana a realizzare quell’unità per la quale Gesù ha pregato nell’ultima Cena e che si potrà ottenere soltanto con l’esercizio costante di quell’amore che Gesù ha indicato come segno di riconosciento che siamo suoi discepoli. E ciò verso la pienezza di quella comunione che potremo godere un giorno nella Gerusalemme celeste dove, con tutti i santi, ci aspettano S. Benedetto e la Madonna. Lo fa ben sperare – e in qualche modo se lo augura lo stesso vescovo Gerardo con la lettera che, con il titolo di “Si dirà in Sion”, lo stesso giorno della notizia della nuova diocesi, ha indirizzato “a tutti i fratelli e sorelle che sono la Chiesa di Sora-Cassino-Aquino-Pontecorvo, amati da Dio e santi per vocazione”.
A quanto detto, per dovere di cronaca, debbo ora aggiungere un piccolo episodio.
Giovedì 23 Ottobre – qualche minuto prima della comunicazione della notizia – mentre mi avvicinavo ad un amico per salutarlo, questi mi ha guardato negli occhi e mi ha detto a bruciapelo (parole testuali): “ L’ho detto ad altri, lo dico anche a te. Tu che sei profeta scrivi che la nuova sede del vescovo di Sora dovrebbe essere il Santuario della Madonna di Canneto”. Ed ha aggiunto: “Sarebbe sulla linea di Papa Francesco”. Quindi, senza aspettare replica, ha concluso: “Se vuoi, scrivi che lo ha detto un pazzo”. Era così determinato che, istintivamente, ho promesso: “Lo scriverò!”.
Mio padre mi ha sempre detto che la verità viene dalla bocca di un ubriaco, di un pazzo o di un bambino. Escludendo l’ultima ipotesi – perché si trattava di un pensionato – e sicuramente la prima, perché ho potuto costatare che era pienamente sobrio- resta da valutare l’idea della follia. Una piccola follia che, se lì per lì mi ha fatto sorridere, successivamente mi ha fatto pensare alla follia di Amore che ha portato Gesù alla morte di croce e quella che hanno nutrito nel cuore tanti santi nel corso dei secoli per seguire l’Amore del Cristo Crocifisso. A mente fredda ho ripensato che nel suo scrivere diritto sulle nostre righe storte Dio ci invita a ‘percorrere’ la sua stessa follia, perché – lo ha scritto San Paolo – “ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini” (1Cor 1, 25).
Maria, che è venerata come la “Sede della Sapienza” si è avventurata per questa stessa “stoltezza divina” ed ha svolto umilmente il suo compito di Madre della Chiesa fin dalle sue origini, continuando ancora a farlo, in spirito di umiltà e profonda obbedienza. Mi chiedo quale sarà stata la “follia” che ha spinto il giovane Benedetto a fuggire da Roma per ritirarsi nello speco di Subiaco da dove è partita la sua avventura, i cui effetti oggi illuminano il mondo.
L’augurio è che, al di là della scelta che lo Spirito suggerirà al vescovo Gerardo, tutti i figli che gli sono stati affidati, guidati da Maria, possano percorrere questa via di follia e di amore… in fines terrae”.
È l’augurio che, permettetemelo, desidero estendere anche al Papa Francesco, chiamato a servire la Chiesa, in questi tempi difficili, che, comunque – se sappiamo leggerli con l’occhio della fede – possono essere tempi di Grazia.
Coda
Un’ultima parola, prima di chiudere, mi viene suggerita dal particolare luogo di osservazione in cui mi trovo: l’Oasi Mariana Betania, che proprio quest’anno festeggia il 25° anniversario dal suo inizio.
Sorta nel cuore della Valle di Comino per un dono dello Spirito – oltre che come risposta ad una particolare vocazione di alcuni, e di quanti ne fanno e, se Dio vorrà, ne faranno parte in futuro – con l’intento di offrire a chiunque vorrà un ‘angolo’ di spiritualità e di preghiera attraverso l’ascolto della Parola e la ricarica spirituale, vedendo nella “via di Maria” quella che più concretamente ci porta a Gesù e da Lui al Padre, la sua collocazione geografica, che fino a ieri era – per usare un’espressione cara a Papa Francesco – “in periferia” di entrambi le “vecchie” diocesi, nella nuova geografia diocesana oggi si trova quasi al cuore della più grande Famiglia Diocesana dopo Roma. Una circostanza che stimola maggiormente il nostro impegno e allarga quel servizio di diocesanità che i membri effettivi, al termine del loro cammino formativo, assumono con voto specifico e lo rinnovano annualmente nella festa dell’Annunciazione.
Mi auguro che anche questo possiamo vederlo tutti – oltre che come dono – come un ‘segno di Dio’ per ravvivare l’impegno ad accogliere da Maria la parola detta ai servi di Cana: “Qualunque cosa vi dirà, fatela” (Gv 2,5). E farla diventare programma di vita.