IL BIG BANG DELLA NUOVA CREAZIONE
Omelia per la solennità della Pasqua
05 aprile 2015
Carissimi sorelle e fratelli,
nel canto solenne e gioioso dell’Exultet (Annuncio pasquale), che ha segnato la fine della notte delle tenebre e del peccato, l’umanità può riprendere a sperare. Sono prossimi gli albori di una nuova luce. Un nuovo mattino, sta per spuntare nell’universo dell’umanità. La luce di Cristo, che prevale nella notte volgare e violenta del peccato, riaccende l’attesa di un nuovo giorno nel quale l’uomo può rientrare nel paradiso della comunione con Dio, della fraternità riconciliata, e dell’armonia con il creato redento dalla corruzione. Siamo noi i cantori di questo annuncio. La nostra fede in Gesù risorto diventa inno di lode alla sua vittoria che ha sconvolto il sistema del male, rendendo possibile la sua disfatta nella nostra vita, non più sottoposta alla ineluttabilità del peccato.
La pasqua della Creazione
Esiste una sorta di prefigurazione “naturale” della Pasqua di Gesù in tutte quelle forme di passaggio dalla morte alla vita che da sempre accompagnano i cicli e i ritmi della vita naturale. La dinamica pasquale è intelligibile in tutte le manifestazione dirompenti della vita che, sotto la spinta di un impulso irrefrenabile, si fa spazio anche contro ogni resistenza e impedimento. Ogni seme solo se marcisce e muore nel terreno, può germogliare a dare frutto abbondante. Le tenebre notturne lasciano spazio all’irruzione della luce, l’inverno cede il passo all’esplosione della primavera, la pioggia si lascia baciare dal calore del sole, ogni potatura è necessaria perché l’albero porti più frutto. Anche la vita umana cresce attraverso molti “passaggi” . La nascita è passaggio dalle tenebre del grembomaterno alla luce del sole. Nascere è “venire alla luce”. Ogni stagione della vita esige la morte e il superamento dello stadio precedente. In tutti questi “passaggi” è scritto un codice di sofferenza e di gioia. Ogni traccia del Creato esprime la Pasqua di Cristo, parla il linguaggio della Pasqua!
La Pasqua come “passaggio” e ”patimento”
Sin dall’antichità la Pasqua viene interpretata all’interno della comunità cristiana in due differenti maniere. Il primo significato è legato al termine ebraico pesach, che significa “passare oltre”. Origene e la maggioranza dei Padri orientali e occidentali difende soprattutto questo primo significato. Soggetto diventa il popolo che “passa” dalla schiavitù dell’Egitto alla Terra promessa attraverso il Mar Rosso. In questo caso viene sottolineata la tipologia battesimale, poiché con il battesimo si “passa” dalla schiavitù del peccato e dei vizi e si entra nella Chiesa. Applicata a Cristo, questa etimologia indicherà il suo ”passaggio” da questo mondo al Padre, e quindi la sua passione-risurrezione, secondo le parole di Agostino. Un altro gruppo di padri della Chiesa quali Melitone di Sardi, Ireneo, Ippolito, Tertulliano – collegano iltermine pascha con il verbo greco páschein, soffrire, riferendolo quindi alla passione (páthos) di Cristo. Questa spiegazione coglie quello che era il senso giudaico della pasqua. In effetti nel giudaismo “pasqua” era diventato sinonimo di agnello pasquale, da cui le espressioni “immolare la pasqua”, “mangiare la pasqua”, che troviamo anche nel Nuovo Testamento (Mt 26, 17; Mc 14, 12; Gv 18, 28). Questa spiegazione mette in risalto il senso tipologico dell’agnello ponendo l’accento sulla passione del Signore nel suo significato salvifico. Da qui il tema della Pasqua come salvezza (sotería).
In realtà queste due interpretazioni non si oppongono, anzi esprimono il mistero della Pasqua di Gesù in tutta la sua completezza. Infatti, la Pasqua è memoriale del passaggio di Cristo che attraversa a piedi asciutti il mare della morte per essere innalzato alla gloria del Padre. Ma si deve anche riconoscere che ogni passaggio, ogni passare, è un patire, comporta la sofferenza.
La notte della vera Pasqua
Nella notte dell’Esodo Dio è passato davanti alle tende degli ebrei in Egitto, per segnarle con il sangue dell’agnello e assicurare la loro salvezza: “Io vedrò il sangue e passerò oltre” (Es 12, 13). La liturgia cristiana canta quella di Cristo crocifisso e risorto come “la vera Pasqua, in cui è ucciso il vero Agnello, che con il suo sangue consacra le case dei fedeli”. E’ la notte in cui lo splendore del Cero luminoso buca con la sua luce le tenebre del peccato; è la notte in cui Cristo spezza i vincoli della stessa morte e risorge vincitore dal sepolcro. Perché la liturgia indica quella di Cristo come la “vera” Pasqua? Perché quella dell’Agnello immolato è la Pasqua definitiva, è il big bang della nuova creazione. In questa esplosione di vita al mattino di Pasqua, si sprigiona su tutto l’universo la grazia della riconciliazione con Dio e con i fratelli.
E’ la Pasqua che risponde finalmente ad ogni speranza umana di novità, di gioia, di purezza, di amore. Questa è la forza di bene che si sprigiona dal sepolcro vuoto. La Pasqua di Cristo è l’unica necessaria, perchè decisiva per la salvezza dell’universo e dell’uomo. E’ questa la Pasqua vera, il passaggio decisivo, che dobbiamo celebrare nella nostra esistenza.
Il big bang della nuova creazione
La Pasqua è il big bang della pace universale. E’ l’esplosione del’Amore crocifisso di Gesù risorto che rompe ogni muro e ostacolo di odio, per favorire il passaggio alla vita nuova. Anche il dolore contiene la segreta speranza della guarigione, il pianto prepara il risveglio di un sorriso, e ogni lacrima è prosciugata dalla consolazione. Soprattutto la morte non si rassegna alla tragedia del nulla, e porta con sé nel silenzio il grido di una speranza struggente per una vita che rinasce dal sepolcro. Il cristiano viene immerso in questo medesimo passaggio dalla morte alla vita, che non può essere vissuto senza patire. Scrive Ambrogio : “Cosa c’è di più opportuno, a proposito del passaggio del Mar rosso da parte del popolo ebraico, che parlare del battesimo? Questo è infatti il passaggio e quindi la Pasqua, passaggio dal peccato alla vita, dalla colpa alla grazia, dalla macchia alla santità – chi passa attraverso questo fonte non muore ma risorge” (I sacramenti 1, 4,12). Vediamo come Origene applica questa concezione al testo basilare di 1 Cor 5,7: “Colui che ha compreso che la nostra Pasqua, Cristo, è stata immolata e che bisogna celebrare la festa mangiando la carne del Verbo, non c’è momento che non faccia Pasqua, che significa passaggio: egli infatti con il pensiero, con ogni parola e con ogni azione sempre passa dalle cose della vita a Dio e si affretta verso la sua città” (Contro Celso 8, 22).
La Pasqua vissuta così, lungi dall’essere semplicemente un “rito”, è propriamente una “celebrazione” che fa tutt’uno con la nostra vita. Gesù risorto ci attira tutti dietro di sé nella nuova vita di risorti. Egli è il nuovo giorno di Dio, che illumina tutti noi. “Oggi possiamo illuminare le nostre città in modo così abbagliante che le stelle del cielo non sono più visibili. Non è questa forse un’immagine della problematica del nostro essere illuminati? Nelle cose materiali sappiamo e possiamo incredibilmente tanto, ma ciò che va al di là di questo, Dio e il bene, non lo riusciamo più ad individuare. Per questo è la fede, che ci mostra la luce di Dio, la vera illuminazione, essa è un’irruzione della luce di Dio nel nostro mondo, un’apertura dei nostri occhi per la vera luce” (Benedetto XVI, Veglia pasquale 2012).
+ Gerardo Antonazzo