UNA SCELTA DI PARTE
Meditazione per la Veglia missionaria diocesana,
Cassino, chiesa s. Giovanni Battista, 16 ottobre 2015
La celebrazione diocesana della Veglia missionaria ci coglie nel vivo del primo periodo dell’anno pastorale (ottobre-novembre) che, secondo lo schema del progetto diocesano, ci chiede di riflettere e promuovere la presenza evangelizzatrice della comunità cristiana sul territorio, in una prospettiva squisitamente missionaria. I mesi di ottobre-novembre, infatti, sono dedicati allo studio e alla programmazione pastorale guidata dal primo dei cinque verbi del Convegno di Firenze, il verbo “uscire”, posto all’inizio e a fondamento della natura “estroversa” e missionaria della Chiesa.
La dinamica esodale
Il verbo “uscire” non ci riguarda per un semplicistico movimento fisico, ma per la partecipazione all’esistenza stessa di Gesù, uscito da Padre per abitare in mezzo a noi, senza una pietra ove posare il capo, nato nella periferia di Betlemme e morto fuori della porta di Gerusalemme. L’originaria e costante ‘ekstasis’ (uscita) di Dio verso il mondo si compie nell’esodo di Gesù, nella dinamica pasquale della sua pro-esistenza.
La scelta di parlare di “una Chiesa in uscita” da parte di papa Francesco nella sua prima esortazione apostolica potrebbe sembrare soltanto una coerente risonanza conciliare, “la Chiesa è missionaria per sua natura” (Ad gentes, 2). In realtà, rappresenta una prospettiva ecclesiologica fondamentale, in cui si configura un effettivo modello di Chiesa. Il dinamismo di uscita, infatti, percorre tutta la sacra Scrittura: Abramo, Mosè, Geremia, nell’Antico testamento; i settantadue discepoli, gli apostoli, la prima comunità, nel Nuovo testamento. Da questo movimento costante, verso cui il Dio di Gesù sospinge, nasce la gioia dei credenti, che “ha sempre la dinamica dell’esodo e del dono, dell’uscire da sé, del camminare e del seminare sempre di nuovo, sempre oltre” (Evangelii gaudium, 21). Lo spirito missionario della vita cristiana corrisponde al non esistere per sé, al morire per dare vita, grazie a Colui che la genera dal suo costato trafitto, dall’uscita di acqua e sangue
Il silenzio dei poveri
Quale è la direzione che la “Chiesa in uscita” deve perseguire? Verso dove andare? Verso chi? Il tema annuale della Giornata Missionaria Mondiale sgombra ogni dubbio e incertezza ipocrita, e in modo quasi perentorio e inescusabile dichiara: “Dalla parte dei poveri”.
La parola di Dio stasera ripropone l’icona biblica della parabola evangelica di Lc 10,25-37. Solitamente ci si sofferma per meditare esclusivamente la sublime scelta che il samaritano compie verso l’uomo incappato nelle mani dei briganti che lo maltrattano. I commentatori solitamente si concentrano sul gesto e sulle parole del soccorritore. Nel silenzio dell’uomo ferito e abbandonato, di fronte al quale passa tanta gente senza nulla operare a suo favore, magari facendo finta di non vedere volgendo lo sguardo dalla parte opposta, dobbiamo riconoscere il silenzio di tutti i poveri del nostro misero mondo. E’ il silenzio di chi non è riconosciuto nella sua dignità. E’ il silenzio della dignità di chi soffre nella miseria senza fare rumore. E’ il silenzio di chi non ha voce di fronte all’arroganza dei potenti e dei prepotenti. E’ il silenzio di chi attende che qualcuno si fermi e raccolga l’invocazione di aiuto. E’ il silenzio di chi non conta nulla, ma continua soltanto ad essere sfruttato. Poveri non si nasce, ma si diventa per colpa dell’egoismo di chi accaparra ricchezze all’insegna dell’ingiustizia, dello sfruttamento delle risorse, e del nuovo colonialismo mascherato di esportazione della democrazia dietro la quale passa l’esportazione di armi e ogni genere di ordigni bellici per fomentare i disordini, per destabilizzare le società e per meglio giustificare i propri interventi.
Farsi povero
Non si possono capire i poveri né stare dalla parte dei poveri da ricchi: “Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli” (Mt 5, 3). Per servire coloro che sono poveri di beni materiali bisogna farsi “poveri in spirito”: “Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà” (2Cor 8,9). I ricchi sono onesti non solo se agiscono nella legalità (sarebbe già tanto!), ma anche perché imparano a servire i poveri; i ricchi servono, se, come ha fatto il Figlio di Dio, sanno farsi poveri nel segno della compassione e della condivisione. Allora sì, anche i ricchi diventano una benedizione e non una maledizione!
Solo se aumentano i “poveri” del vangelo, coloro cioè che non sono schiavi dei loro beni perché condividono i loro beni con chi è nel bisogno, allora diminuiscono i “morti di fame”. Farsi poveri significa entrare nella dinamica virtuosa della sobrietà e della solidarietà nel nome di Gesù, per condividere con gli altri e farsi prossimo ai bisogni e alle loro condizioni di vita: “Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me (Mt 25,40).
Dalla parte dei poveri
Sì, è una scelta di parte! Anche faziosa, se vogliamo. Ma i poveri lo meritano. E’ il Vangelo: i poveri devono essere preferiti a tutto e a tutti. I poveri materiali, i quali non hanno scelto di esserlo, non sono lo “scarto” umano, ma la “carne di Gesù Cristo” (Papa Francesco). Tutte le volte in cui non vogliamo stare ‘dalla parte dei poveri’, sono loro che vengono dalle nostre parti. I migranti sono i poveri che noi abbiamo ‘creato’ e che ci ostiniamo a non riconoscere, a non ascoltare, a non soccorrere. Le povertà di tante persone, meglio dire le miserie, che noi non abbiamo saputo ‘abitare’ e abbracciare, adesso abitano la nostra Europa, “costretta” a quel valore di “solidarietà” che la coglie come di sorpresa perchè impreparata a viverla già al suo interno e obbligata all’accoglienza improvvisata dei più poveri che spingono sulle frontiere europee difese da nuovi terribili muri.
Quando Papa Francesco sogna una “Chiesa povera per i poveri” non provoca solo la parte istituzionale, ma il popolo di Dio: tutti indistintamente dobbiamo ri-comporre una Chiesa povera per i poveri, perché solo i poveri saranno cittadini del regno di Dio.
+ Gerardo Antonazzo