NUOVO UMANESIMO E ANTROPOLOGIA CRISTIANA – Prof. Don Giovanni Ancona

Scuola diocesana di formazione teologica

Lezione per l’inaugurazione anno scolastico 2015-2016

 


NUOVO UMANESIMO E ANTROPOLOGIA CRISTIANA

 

Prof. Don Giovanni Ancona

 

 

L’uomo è persona in Cristo

Uno dei concetti più significativi che la riflessione teologica cristiana ha offerto al pensiero umano è sicuramente l’idea di persona. Maturata nel contesto dell’approfondimento teologico circa il mistero cristologico-trinitario, l’idea di persona è stata successivamente applicata all’uomo, al fine di individuarne la sua specificità creaturale. Gli elementi essenziali contenuti nel concetto di persona vengono sinteticamente ricondotti alle sue dimensioni di comunionalità, dialogicità. comunicabilità. La persona, in altre parole, è riconducibile al suo essere una identità relazionale, la quale trova in Cristo la sua perfetta espressione e che, concretamente, si rende visibile nelle specifiche relazioni che il Figlio intrattiene con il Padre, con i fratelli nell’umanità e con l’intero creato. Pertanto, data la strettissima connessione che esiste tra Cristo e il farsi dell’uomo, quale creatura di Dio, si deduce che la persona di Gesù Cristo costituisce il modello universale concreto della persona umana. Nella fede, cioè, tutti gli umani sono chiamati a divenire persone in Cristo.

La relazione con Dio

La prima e fondamentale (fondativa) relazione che l’uomo deve realizzare, al fine di rispondere alla sua vocazione ad essere persona, è quella con Dio, attraverso la mediazione di Gesù Cristo e nella forza dello Spirito. Tale imperativo è fondato nella stessa struttura creaturale dell’essere dell’uomo. L’identità dell’uomo, in quanto creatura, infatti, è una identità dialogicamente strutturata. Dio, cioè, creando l’uomo, «non crea una natura in più fra le altre, ma un tu; lo crea chiamandolo con il suo nome, mettendolo davanti a sé come essere responsabile (= datore di risposta), soggetto e partner del dialogo interpersonale. Crea, insomma, non un mero oggetto della sua volontà, ma un essere co-rispondente, capace di rispondere del proprio io. Crea una persona». Di qui si percepisce bene come il divenire persona dell’uomo è essenzialmente modulato dal ritmo dell’incontro e del dialogo con un’alterità e, primariamente, con l’Altro. Non vi è alcuna possibilità che l’uomo possa compiere il suo essere personale attraverso una scelta solipsistica, che, autoreferenzialmente, faccia guardare esclusivamente al proprio io. La persona c’è dove vi è una risposta all’appello dell’altro e, fondamentalmente, dell’Altro. In più, l’appello di Dio all’uomo, secondo la fede cristiana, non è una parola astratta, una sorta di accattivante slogan, ma una parola concreta e visibile nella carne del Figlio di Dio, Gesù, il quale è il vero ed esclusivo interlocutore del Padre. In questo senso, Gesù Cristo, il vero Adamo, l’uomo definitivo, non è solo il modello che ogni uomo deve imitare, almeno nelle sue intenzioni più profonde, al fine di compiere la propria vocazione a divenire persona, ma il ‘luogo’ concreto in cui è possibile, per la forza dello Spirito, realizzare questo compito significativo. Ciò fa comprendere come il divenire persona da parte dell’essere umano non è un processo che si ispira a un riferimento personale, sia pure assoluto, ma un processo dinamico in cui lo stesso Dio è coinvolto con i suoi doni di grazia in Cristo e nello Spirito. Il divenire persona, cioè, è un percorso che vede il coinvolgimento relazionale di Dio e dell’uomo, attraverso la mediazione della persona di Cristo, ed è per questo che divenire persona è un evento salvifico. Ampiamente condivisibili le affermazioni di W. Kasper in proposito: «La persona non si esaurisce in un puro riferimento ma è anche partecipazione all’essere divino. In ultima analisi la persona dell’uomo potrà essere dunque definita da Dio ed a partire da Dio; Dio stesso rientra nella definizione della persona umana. In questo senso la Scrittura parla dell’uomo come di “immagine e somiglianza” di Dio (Gen. 1, 27)».

            L’essere persona di ogni uomo, quindi, è possibile nella fede battesimale cristiana per il fatto che lo stesso uomo, grazie alla potenza dello Spirito, diviene conforme a Gesù Cristo, l’uomo perfetto, la vera immagine del Padre. Divenire persona, in altri termini, è divenire figli di Dio nel Figlio Gesù. Più l’uomo si relaziona a Cristo e più si avvicina al suo traguardo che è quello di compiere in pienezza la propria identità personale. E questa è una possibilità per ogni uomo, in quanto Gesù Cristo è l’evento universale, che coinvolge la totalità della creazione. Non a caso il Vaticano II afferma: «Cristo, infatti, è morto per tutti e la vocazione ultima dell’uomo è effettivamente una sola, quella divina, perciò dobbiamo ritenere che lo Spirito santo dia a tutti la possibilità di venire a contatto, nel modo che Dio conosce, col mistero pasquale».

            Stando così le cose, si comprende bene che la fede non costituisce un ostacolo alla realizzazione dell’identità personale dell’uomo; anzi, la fede costituisce il più alto incentivo alla costruzione dell’essere persona di ogni uomo. Tra l’altro, i progetti culturali contemporanei di riduzionismo dell’umano in senso biologico e la distruzione del soggetto, sì che l’uomo sia solo un materiale somatico, non rendono ragione di quanto l’uomo intende essere e di quanto desidera per la sua vita presente e futura. Il recupero della realtà personale dell’umano, quindi, è un’operazione ineludibile se si vuole proclamare l’unicità e il valore assoluto dell’uomo e della sua vita.

La relazione con l’altro

            Il divenire persona dell’uomo non si concretizza esclusivamente nella relazione, per così dire, verticale con Dio, ma anche e significativamente nella relazione orizzontale, con l’altro simile nella carne. Anzi, la relazione con i propri simili è la concreta attuazione della relazione fondativa con Dio, l’attuazione della relazione creativa. Si può dire che la relazione orizzontale è in qualche modo il ‘sacramento’ della relazione verticale. In parole più semplici, la risposta dell’uomo all’appello di Dio, che lo chiama a divenire persona in pienezza, trova la sua storica concretizzazione nella risposta che l’uomo dà all’appello dell’altro, o meglio all’appello che è l’altro in sé e per sé. Questo dato costitutivamente creaturale è importante ai fini della considerazione dell’umano come persona. L’identità relazionale, infatti, si costruisce proprio nel lasciarsi interpellare dall’altro e nella determinazione libera all’incontro, al dialogo con il tu interpellante. Ciò, però, non deve indurre a pensare che il rapporto io-tu sia sufficiente alla realizzazione, sia pure in divenire, dell’essere persona per ogni uomo. La relazione io-tu, infatti, non è un dato astratto dal vivere concreto, ma un dato che si comprende nella realtà molteplice della presenza degli altri. Il tu, cioè, viene percepito come altro tra e con gli altri; la relazione io-tu e comprensibile e vivibile nel contesto del noi, nel contesto della comunità degli umani. Tale dinamica esistenziale, nell’ottica della fede, fa sì che la percezione che ogni uomo ha del suo essere relato ai propri simili e il suo progettarsi in una particolare socialità, che è già data e che è a disposizione, si trasformi in relazione con l’altro, che ora viene percepito e incontrato come prossimo, come fratello, e che la socialità del vivere diventi comunità, fraternità solidale e accogliente. Certo, la condizione storica dell’uomo non sempre facilita il dispiegarsi di tale relazionalità, ma è indubbio che il cammino di ogni uomo verso la pienezza della sua identità relazionale è segnato dal compito di vivere nella comunione con l’altro e con i molti. Questo vale per tutti ed è riconoscibile da tutti, sebbene i progetti culturali contemporanei si istruiscano in senso individualistico e quindi senza particolari evidenze del dato della relazionalità e della dialogicità tra gli umani. La percezione più significativa della relazionalità tra gli umani, poi, della comunionalità tra l’io e il tu, aperta ai molti, è particolarmente visibile nel rapporto donna-uomo. Qui la relazionalità si traduce in riconoscimento, dono, affidamento, fedeltà, apertura, oltrepassamento. Non a caso, la vita che scaturisce dalla relazione feconda tra donna e uomo è segno di un’apertura illimitata alla costruzione del rapporto io-tu come un noi. Nella fecondità creatrice dell’amore, uomo e donna oltrepassano il proprio io per dare vita a un noi ed esprimono massimamente il loro percorso di vita, teso alla pienezza del loro divenire persone.

            Entrando più in specifico nella visione cristiana dell’uomo come persona, va sottolineato il fatto che la relazione io-tu nel noi è già un dato creaturale e salvifico originario. Dio, infatti, non crea esseri umani destinati a vivere individualisticamente, così come intende salvare gli stessi umani non indipendentemente dalla comunità da lui voluta da sempre, la quale, per l’opera di Cristo e l’azione dello Spirito, si costituisce come la comunità dei salvati, come chiesa. Il divenire persona, nella fede cristiana, non implica quindi il solo riferimento a Cristo, ma anche alla sua comunità, che è il suo Corpo. La conformazione a Cristo, che inizia con il battesimo, è un percorso personale che viene concretamente vissuto nel contesto delle relazioni fraterne della comunità; non è possibile, cioè, conformarsi a Cristo senza conformarsi al suo Corpo ecclesiale. Il divenire persone, nello specifico antropologico di donna e di uomo, è un percorso che si compie nel noi della comunità, alla quale si è da sempre chiamati a vivere e a sperare nella pienezza della propria identità di umani.

La relazione con il creato

            Il divenire persona dell’essere umano passa anche attraverso il mondo creato. Quest’ultimo, infatti, non è una sorta di palcoscenico su cui l’uomo deve esibirsi, ma un elemento costitutivo che media il processo di personalizzazione. L’uomo, cioè, si comprende e si realizza nella propria identità anche in relazione al mondo, sia pure nell’assunzione di un ruolo di superiorità responsabile nei confronti di esso. Il mondo creato, qui, non è l’astratta natura, ma il mondo proprio, l’ambiente che circonda l’uomo e che gli è connaturale, in quanto spazio vitale della sua esistenza, e di cui ne porta i segni nella sua carne.

            La chiave di volta che permette di interpretare la giusta relazione tra uomo e mondo creato è la superiorità responsabile, che l’uomo possiede nei confronti dell’intera creazione. Nell’orizzonte della fede, infatti, l’essere dell’uomo, creato ad immagine e somiglianza di Dio, si esprime anche nel compito di dominare e custodire la terra, secondo il comando genesiaco (cfr. Gn 1, 28; 2, 15). Tale compito, però, non è l’istituzione di una relazione tra uomo e mondo che si esplicita in una volontà di dominio radicale, che pone lo sfruttamento della terra a obiettivo unico e fondamentale, colmando così i desideri egoistici degli umani. La relazione uomo-mondo, invece, è una relazione di custodia responsabile, di coltivazione e di cura, che fugge ogni sorta di abuso e di sfruttamento, e che si pone come agire con-creativo con l’attività creatrice di Dio stesso. Di qui si comprende bene come questa relazione uomo-mondo creato è dimensione significativa del processo di personalizzazione dell’umano; una relazione che va attuata non indipendentemente da quella con Dio e con i fratelli. L’attività umana che si concretizza in questa direzione relazionale, quindi, «come deriva dall’uomo, così è ordinata all’uomo. L’uomo, infatti, quando lavora, non soltanto modifica le cose e la società, ma anche perfeziona se stesso. Apprende molte cose, sviluppa le sue facoltà, è portato ad uscire da sé e a superarsi». Ancor più, lo specifico cristiano riferisce a Cristo e al suo mistero salvifico il senso più compiuto dell’attività umana nel mondo. La relazione uomo-mondo, in altre parole, è anch’essa determinata e qualificata dalla mediazione cristologico-salvifica, come tutto il processo del divenire persona. Nella luce del mistero di Cristo, infatti, assumono il senso più vero le cose che l’uomo produce per il bene proprio e della società, secondo il criterio della giustizia e della carità. L’essere persona, in definitiva, non esclude nulla di quanto Dio ha donato alla sua creatura, perché essa possa compiersi secondo il suo progetto di pienezza e di salvezza integrale.

L’essere personale è libero

            L’essere e l’agire dell’uomo, in quanto persona, sono determinati, orientati, da una realtà che, tra tutti gli esseri creati, è propria degli umani: la libertà. Quest’ultima è l’alveo del sapere di sé dell’uomo e delle sue decisioni e istruisce le sue molteplici relazioni. Tra persona e libertà, in altri termini, vi è una profonda connessione, non sempre evidente nel contesto dei vissuti umani, ma sicuramente importante e decisiva per la costruzione dell’identità di ogni uomo.

Il concetto di libertà umana

            Cosa si intende per libertà umana? Il primo passo da fare per comprendere la libertà è quello per cui essa va sempre considerata in relazione all’umano. È facile accorgersi, infatti, che «ovunque ci siano degli uomini, essi tendono sempre alla libertà, anche se in diversi modi ed entro diversi orizzonti di comprensione». L’aspirazione alla libertà, in altre parole, è un dato essenziale per l’esperienza umana, al punto che tutta la storia degli umani può venire trascritta a partire dalla libertà in atto. Uomo e libertà si coniugano inevitabilmente.

            Quanto alla sua ‘natura’, la libertà non consiste, grossolanamente, in una capacità nativa dell’uomo, che gli permette di scegliere ciò che vuole e desidera. Così, purtroppo, essa viene intesa da molti. Ma se la si considera in questi termini, la libertà non sarebbe altro che un dato puramente oggettivo, materiale, facente parte della stessa realtà umana. In questo senso, l’intera realtà umana sarebbe come pre-determinata e verrebbe meno, di conseguenza, l’idea di uomo quale soggetto responsabile, in cammino verso la pienezza della propria identità personale. Molto opportunamente si esprime in proposito J.L. Ruiz de la Peña: «Dicendo libertà, si sta dicendo che l’uomo non è una grandezza prefabbricata da istanze precedenti ed esteriori alla propria inseità; che non è un oggetto, ma un soggetto il cui essere gli viene proposto come compito. Il carattere processuale, la condizione itinerante sono proprietà dell’essere personale; l’uomo è homo viator (Marcel), non una realtà data, ma una realtà che avviene e che diviene». Pertanto, la libertà autentica è quella che si coniuga con il farsi dell’identità umana e cioè essa è una qualità donata all’uomo e che si istruisce come compito proprio nell’orizzonte della realizzazione dell’identità personale. In tal senso, essa diviene significativamente comprensibile quando si considera l’elemento promissorio del divenire pienamente persona dell’uomo creato. Tale logica, infatti, fà sì che la libertà venga riconosciuta dallo stesso uomo e istruita secondo il proprio progetto di umanizzazione. Quest’ultimo costituisce il luogo più autentico per l’esercizio della libertà. La direzione che deve assumere la scelta libera dell’uomo è solo quella che conduce alla compiutezza del suo essere personale. Per cui, «non si è più liberi perché si possa fare ciò che ad ognuno pare e piace; si è più liberi in quanto si opta in direzione dell’essere-più-uomo, più-se-stesso, più-persona. Orbene, essere persona […] significa disporre di sé, e solo dispone di sé colui che si fa disponibile, che si mette a disposizione. È libero colui che possiede se stesso, e solo possiede se stesso chi, lungi, dal rinchiudersi su se stesso in una mortale autoclausura, si apre al rischio della relazione col tu e al futuro del suo progetto esistenziale».

            Va da sé, allora, che la libertà si traduce nell’esperienza vissuta dell’uomo, quale creatura di Dio, secondo il registro proprio dell’esperienza umana e credente in particolare. In tal modo, la libertà non è mai una qualità umana che gode dell’assolutezza, ma è essa stessa ‘in cammino’ ed è quindi soggetta ai condizionamenti, agli errori, alle lotte; ma soprattutto essa è la traduzione di una scelta per Dio e per il prossimo; essa è presa di posizione nei confronti dell’assoluto motivo del vivere e della pienezza della vita. Infatti, per quanti credono «la vera libertà è […] segno altissimo dell’immagine divina. Dio volle lasciare l’uomo “in mano al suo consiglio”, così che esso cerchi spontaneamente il suo Creatore, e giunga liberamente, con la adesione a lui, alla piena e beata perfezione».

Liberi in Cristo

            Nella considerazione credente cristiana dell’essere persona dell’uomo il tema della libertà è fondamentale, nel contesto della relazione che lega gli umani a Dio e al loro prossimo e quindi decisivo lungo il percorso del divenire dell’uomo figlio nel Figlio, persona in Gesù Cristo. Creato ad immagine di Dio, l’uomo si scopre, proprio nel legame con Dio, nella fede, chiamato ad essere figlio e a percorrere tale itinerario secondo libertà, quale realtà a lui donata dal suo Creatore. Qui, l’esperienza della libertà, come dono e quindi come compito, che si coniuga indissolubilmente con il processo del divenire persona, pone l’uomo in una condizione di esistenza teologale. La relazione con Dio, inscritta nell’essere immagine del suo Creatore da parte dell’uomo, lungi dall’essere una forma di dipendenza alienante, è un’esperienza libera e liberante, in quanto fondata e vissuta sul piano dell’amore. Anzi, è proprio tale relazione fondativa il vero motivo della libertà. Infatti, «la creazione dell’uomo (maschio e femmina) come immagine è la forma fondamentale di gratuità che pone la libertà in essere e rende possibile alla libertà di essere se stessa». La libertà, in tal senso, è la scelta di diventare figli di Dio, secondo il suo progetto di sempre (predestinazione); essa è un autodeterminarsi per Dio; è riconoscimento di Dio e affidamento a lui come Padre. «Detto aforisticamente: credere e fare l’esperienza della libertà sono un’unica e medesima cosa». La libertà della persona credente, quindi, è esperienza di relazione forte con Dio; essa è esperienza di figliolanza; è itinerario di costruzione della propria identità personale; ma essa è anche esperienza di fratellanza, di relazione all’altro e al proprio mondo. L’autodeterminarsi per Dio, infatti, comprende sempre il fratello: «Chi non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede […] chi ama Dio, ami anche il suo fratello» (1Gv 4, 20-21).

            Cosa significa essere autenticamente liberi e la via concreta per essere realmente liberi non è, per gli umani, una mera dottrina, un’ideologia, ma è una persona totalmente riuscita: Gesù Cristo. Questi è l’uomo perfetto e quindi l’uomo libero per eccellenza; egli è la libertà in persona che rende liberi quanti si conformano a lui. L’azione del suo Spirito, che guida e accompagna il processo di conformazione dei credenti alla sua persona e alla sua vicenda, è anche guida e accompagnamento nell’affidarsi libero di essi alla sua esperienza libera e liberante. Tale via del divenire figli nel Figlio è esperienza libera, che fonda, allo stesso tempo, la libertà dell’uomo che crede: liberi in Cristo. Credere cristianamente, allora, è fare esperienza di un Dio che è libertà e che libera, attraverso il suo figlio Gesù, nella forza potente dello Spirito. La libertà è qui un dono che trova spiegazione solo a partire da Dio. Infatti, «il criterio della libertà non può essere un concetto di libertà sviluppato a partire dall’uomo, ma è quella libertà che in Gesù Cristo, nella sua opera e nella sua parole, ci si presenta come dono indeducibile, e che per quanto sia assolutamente contingente viene sperimentato anche come assolutamente necessario da colui che ad esso si affida». Liberi in Cristo, in altre parole, è un dono necessario e, in quanto tale, si esprime propriamente come compito, nel contesto del vivere credente, nell’ecclesialità dell’esistenza di battezzati. In tal modo, la libertà cristiana si trasforma in servizio alla e per la libertà di quanti fanno lo stesso cammino di ‘conquista’ della propria umanità anche al di là dei ‘confini’ della propria comunità ecclesiale. Tutto ciò implica, di certo, la lotta per la liberazione da ogni forma di male e di miseria che minacciano l’uomo, ma soprattutto implica il servizio alla dignità degli umani, i quali tendono alla pienezza della loro identità e implica, parimenti, il servizio al mondo che è costitutivo dell’umanità. Tuttavia, la consapevolezza che deve guidare i credenti è che la loro libertà, in quanto libertà in Cristo, non è assoluta e definitiva. La libertà ha una patria: Dio stesso. La libertà ha una destinazione escatologica; essa ha la stessa destinazione dell’essere persona in Cristo, la quale avrà compimento alla fine del tempo e che coinvolgerà inevitabilmente anche la sua storia e il suo mondo (cfr. Rm 8, 19-25).

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