Giubileo dei corpi di polizia interforze

Stemma Finis Terrae Mons. Gerardo Antonazzo

VIVERE NELLA LIBERTÀ CRISTIANA

Giubileo dei Militari e Corpi di sicurezza-Interforze
Sora-Chiesa Cattedrale, 18 marzo 2016

A tutti voi, carissimi agenti e militari dei diversi corpi di polizia e di sicurezza, il mio saluto e la mia cordiale accoglienza. Condivido con particolare piacere spirituale la celebrazione del vostro Giubileo della misericordia che vi dispone anche a vivere con particolare sensibilità cristiana le prossime feste pasquali.

Grazie per aver voluto respirare anche voi il grande clima giubilare della misericordia che Papa Francesco ha proposto non solo alla Chiesa, ma anche all’umana società, nazionale e internazionale, allo scopo di incoraggiare tutti gli uomini di buona volontà nella ricerca sincera di processi reali di riconciliazione e di pace, frutti di una retta giustizia e di un ordine sociale più equilibrato solidale.

La preghiera inziale di questa celebrazione eucaristica (Colletta) ci offre una stupenda chiave interpretativa del segno che abbiamo vissuto varcando la Porta santa della misericordia di questa nostra Chiesa Cattedrale. Ci siamo appellati subito al perdono e alla misericordia del Signore con queste parole: “…spezza le catene che ci tengono prigionieri…e guidaci alla libertà che Cristo ci ha conquistata”. Il passaggio attraverso la Porta santa (la Porta rimanda a Cristo come ‘porta’ che introduce a vita nuova), contiene un alto valore simbolico ed esprime il desiderio della nostra conversione, cioè l’impegno personale e la reale intenzione di cambiamento della nostra esistenza ordinaria nella quale ci riconosciamo peccatori in “parole, pensieri, opere e in omissioni”. Siamo approdati alla Porta santa e alla celebrazione eucaristica da peccatori, mendicanti del perdono e della misericordia: Dio ci accoglie, a condizione di voler cambiare i nostri errati stili di vita.

Pertanto, quello della Porta santa è un gesto “esodale”: esprime cioè il nostro “uscire” da una condizione di vita caratterizzata da tante forme di schiavitù e di dipendenza dai faraoni moderni, per entrare nella “terra promessa” della libertà dei figli di Dio purificati dalla tenerezza del Padre. L’incontro con Gesù cambia la vita, la rende nuova. Approdiamo alla Porta santa per “passare” dall’uomo vecchio all’uomo nuovo, secondo l’espressione dell’apostolo s. Paolo, il quale scrive ai cristiani di Corinto: “Se uno è in Cristo è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco, ne sono nate di nuove” (2Cor 5,17). E ai cristiani di Colossi: “Vi siete spogliati dell’uomo vecchio con le sue azioni e avete rivestito il nuovo, che si rinnova, per una piena conoscenza, ad immagine del suo Creatore” (Col 3,9-10). La novità dello Spirito raggiunge il nucleo più profondo della persona, ristrutturandolo e rinnovandolo dall’interno (Rm 6,4). E ai cristiani di Efeso scrive: “Dovete deporre l’uomo vecchio con la condotta di prima, l’uomo che si corrompe dietro le passioni ingannatrici. Dovete rinnovarvi nello spirito della vostra mente e rivestire l’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella santità vera” (Ef 4,22-24). I primi cristiani, pagani e spesso anche schiavi affrancati, sentivano la novità di questo diverso orientamento della loro vita in modo così vivace da esprimerlo con le immagini della risurrezione, della creazione, della rinascita, del risveglio. Queste immagini sottolineano una sorta di passaggio dalla morte alla vita, dalla schiavitù alla libertà, dal chiuso dell’egoismo, dall’indifferenza egoistica agli spazi aperti della carità.

Uomo “vecchio” è la persona che si lascia imbrigliare dalle opere dell’egoismo: “Fornicazione, impurità, libertinaggio, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere” (Gal 5,19-21). “L’elenco che Paolo offre trova purtroppo facili attualizzazioni: avidità di denaro e conseguenti atti delinquenziali per ottenerlo, disprezzo della propria e altrui vita (vedi le ultime gravi tragedie consumate tra giovani disumanizzati dalla barbarie dei vizi), tempo libero vissuto nella noia, uso di droghe, violenza e libertinaggio sessuale, fragilità e suicidio, sfruttamento dei genitori, sincretismo religioso, satanismo e magia, rigurgiti razzisti e disprezzo degli immigrati, cecità di fronte alle tragedie umane” (Catechismo dei giovani, cap. 5).

Ritrovarsi al di là della Porta santa significa celebrare la speranza di un’esistenza liberata da queste catene, per vivere nella “libertà che Cristo ci ha conquistata” (Colletta). Questa libertà non è il libertinaggio scriteriato della persona senza regole, perché questo ci farebbe ricadere nuovamente nei difetti della creatura deformata dai vizi. E’, invece, la libertà del cuore che impara ad amare e a servire la propria e altrui esistenza nel segno del vero bene come regola suprema per edificare con responsabilità il senso e il valore della vita. La morale della libertà cristiana è la morale dell’amore. La libertà cristiana è ben lontana dall’essere un appello alla facilità o alla bella vita; anzi essa è la più esigente delle vocazioni, essendo un appello all’amore. Ora, nulla è più esigente dell’amore. L’Apostolo ricorre difatti a un termine fortissimo, il più forte che esista: “Fatevi schiavi gli uni degli altri”. Schiavi! E i suoi destinatari sapevano per esperienza che cosa significasse la schiavitù. Infatti, continua l’apostolo: “Tutta la Legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: Amerai il tuo prossimo come te stesso” (Gal 5,14). La vita cristiana è dunque una schiavitù? Si. Ma una schiavitù d’amore. Di conseguenza, essa è la suprema libertà.

Carissimi agenti e militari, il mio augurio per voi è che sappiate valorizzare il vostro ruolo non solo come professione, seguendo la corretta dimensione istituzionale di un fedele compimento del vostro servizio di tutela della sicurezza nazionale e dell’ordine pubblico, ma anche come disposizione spirituale, interiore, vocazionale nel poter esercitare il vostro servizio come un atto di amore e di misericordia che si fa carico del bene degli altri. In tale maniera raggiungerete un doppio vantaggio: non solo quello di compiere atti di obbedienza istituzionale, ma anche atti di servizio che vi faranno sperimentare un cuore veramente libero e felice di amare.

 

+ Gerardo Antonazzo

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