Omelia per il Giubileo diocesano degli Insegnanti

Stemma Finis Terrae Mons. Gerardo Antonazzo

Lo sai che ti voglio bene

 

Giubileo diocesano degli Insegnanti

Cassino-Chiesa madre, 10 aprile 2016

Rivolgo con particolare piacere il mio saluto e cordiale apprezzamento a tutti voi insegnanti di ogni ordine e grado, impegnati nel compito educativo nei molti Istituti di istruzione presenti sul vasto territorio diocesano. Ho proposto questa iniziativa giubilare ritenendo prezioso non soltanto il vantaggio di una personale esperienza spirituale, ma anche socializzare un possibile contributo al vostro compito educativo. Grazie perché, con la collaborazione di don Nello, direttore dell’Ufficio per la pastorale scolastica, in molti avete accolto l’invito e siete qui convenuti per celebrare il giubileo diocesano della misericordia.

Ho pregato per te

La mia riflessione prende avvio dalla parola del vangelo di questa celebrazione. Il brano è scomponibile in due sezione: nella seconda parte ripercorriamo il dialogo tra Gesù risorto, apparso sulle rive del lago di Tiberiade, e l’apostolo Pietro. Il testo giovanneo lo chiama “Simon Pietro”, lasciando intendere una forma di “ripensamento” della sua posizione dopo i fatti drammatici che sembravano aver travolto il destino di Gesù di Nazareth. Simone è ormai ritornato alla vita ordinaria della pesca, attività nella quale era stato raggiunto dall’iniziale chiamata di Gesù. Ciò che si era compiuto sulla Croce aveva per loro il sapore del definitivamente fallito e chiuso. Storia finita, “acqua passata…non macina più”!

La delusione e la solitudine interiore di Simon Pietro, intento nuovamente a pescare, è inaspettatamente scossa dall’interpretazione che l’apostolo Giovanni fa di quella presenza sconosciuta, intercettata lungo la riva del lago: “E’ il Signore!”. Pietro allora reagisce nuovamente con entusiasmo. Il rinnegato deluso ritrova ora il suo vigore irruento e  tempestivo, fino a prevalere ancora una volta come figura centrale nel rapporto con il Maestro risorto. E’ allora che Gesù si rivolge direttamente a Pietro, compiendo la promessa fatta nel cenacolo, quando gli aveva parlato così: “Ho pregato per te, perché la tua fede non venga meno. E tu, una volta convertito, conferma i tuoi fratelli” (Lc 22,32).

Il rinnegato pentito

Dopo il rinnegamento, Pietro ha pianto. Ma ciononostante, sotto la croce non ci sarà. Ora, sulle rive del lago, Gesù lo cerca per sanare definitivamente il suo rinnegamento. Le ferite del triplice diniego hanno bisogno di rimarginarsi, fino alla piena guarigione. Gesù richiede una triplice professione di affetto, provocata dalla domanda: “Simone, figlio di Giovanni, mi ami tu…?”. Qui si rivela un aspetto peculiare della pedagogia del Risorto, il quale intende esercitare la grazia della sua misericordia per Simon Pietro: Gesù è misericordioso facendo verità. Non copre con il silenzio dell’ omertà  il rinnegamento dell’apostolo. Gesù non lo rimprovera e non gli rinfaccia nulla. Non lo vuole mortificare, non pretende la rivincita. Vuole solo educare Pietro all’autentico dispiacere, per guarire l’amarezza e il tormento della sua memoria. Gesù desidera  ricostruire nell’animo di Pietro la forza interiore di un pentimento davvero rigenerativo: “Signore, tu conosci tutto, tu sai che ti voglio bene”. Per gustare la dolcezza della misericordia non bisogna mai banalizzare o minimizzare i propri sbagli.

L’arte di educare

Carissimi, il compito di insegnare è finalizzato ad una relazione generativa con l’alunno. L’arte di educare richiede una disposizione interiore ad amare.

Scriveva s. Giovanni Bosco, grande educatore dei ragazzi e giovani,: “Quante volte ho dovuto persuadermi di questa grande verità. E’ certo più facile irritarsi che pazientare, minacciare un fanciullo, che persuaderlo; direi ancora che è più comodo alla nostra impazienza ed alla nostra superbia castigare quelli che resistono, che correggerli col sopportarli con fermezza e con benignità (…) Difficilmente quando si castiga si conserva quella calma che è necessaria per allontanare ogni dubbio che si opera per far sentire la propria autorità o sfogare la propria passione. (…) Non agitazione nell’animo, non disprezzo negli occhi, non ingiuria sul labbro; ma sentiamo la compassione per il momento, la speranza per l’avvenire, ed allora voi sarete i veri padri e farete una vera correzione. (…) Ricordatevi che l’educazione è cosa del cuore, e che Dio solo ne è il padrone, e noi non potremo riuscire a cosa alcuna, se Dio non ce insegna l’arte, e non ce ne mette in mano le chiavi”. (Dall’Epistolario).

Cari insegnanti, il mondo dell’educazione e della scuola è particolarmente sensibile ai temi del Giubileo della misericordia per diversi motivi. Ne richiamo alcuni.

Misericordia per voi significa varcare la porta santa del cuore di ogni alunno, attraverso la quale si spalanca dinanzi alla vostra opera educativa un vasto e variegato mondo umano. La professionalità dell’insegnante non è riconducibile alla sola didattica, alla capacità di istruire, trasmettere nozioni, esigere e verificare l’apprendimento. Insegnare è esercitare la misericordia, perché educare è farsi carico di un rapporto personale, un dialogo e una relazione integrale capace di coinvolgere non solo la mente dell’alunno ma la sua intera esistenza . Il bravo educatore genera alla singolarità, favorisce il valore peculiare e irripetibile di ogni persona. E’ solo nella relazione diretta e personale che l’educando viene aiutato a prendere consapevolezza di sé,  a gestire i propri limiti e le proprie risorse, a prendersi cura di sé, a crescere con fiducia nelle proprie potenzialità.

Insegnare è appassionarsi alla crescita della persona, è prendere a cuore il suo presente e farsi carico del suo futuro. Insegnare è un atto di misericordia “generativa” perché l’insegnante  partecipa  a pieno titolo alla formazione della personalità dell’allievo. La riuscita, o il rallentamento, o il fallimento degli obiettivi dell’alunno non vi lasciano mai indifferenti.

Quella dell’insegnamento esige una passione educativa  che gratifica ed esalta per i molti “successi”; ma non di rado toglie forse anche la pace al pensiero che dietro il volto di tanti alunni c’è una storia di vita difficile e sofferta. La vostra misericordia si esprime nella compassione verso i loro silenziosi, nascosti e turbolenti turbamenti.

Ho da confidarvi ancora un’altra considerazione. Ognuno di voi è maestro di misericordia quando educa ogni alunno al rispetto dell’altro, all’accoglienza, al dialogo, al confronto, alla differenza e alla tolleranza, all’integrazione nella diversità, al perdono per una fraternità riconciliata.

Infine, cari insegnanti, sappiate spendere la vostra misericordia nell’impartire forse la lezione più bella: insegnare agli alunni ad apprendere dai propri sbagli, errori, ribellioni e resistenze. Valutate pure i vostri alunni, è vostro dovere, ma senza mai svalutarli! Offrite sempre loro la speranza e la fiducia in se stessi. Il vostro doveroso giudizio su di loro non pregiudichi mai la possibilità di ricominciare.

+ Gerardo Antonazzo

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