Dalla resistenza delle ragioni alla resa del dialogo
Basilica S. Maria Maggiore – Trento, 17 novembre 2016
Omelia al Convegno nazionale
Ufficio nazionale per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso
Il dono della Parola è necessaria al dialogo: dia-logos è ciò che la parola crea, la condizione attraverso cui gli uomini possono incontrarsi con Dio e tra di loro. Il dialogo inizia dall’ascolto, accoglienza della parola altrui, e perciò “altra”, quella che, forse, non immagino e non mi aspetto. E’ questo l’ascolto fecondo della Parola, da cui germogliano le nostre parole umane, umili e fragili, forse improprie, spesso inadeguate. Nella vita della Chiesa è il parlare di Dio all’uomo che provoca e illumina il nostro parlare a Dio. Questo processo di dialogo, mentre ci dona la grazia della Parola, ci consegna alla Parola, per diventarne “uditori” in grado di rispondervi con la vita.
Il brano del vangelo di san Luca proclamato (19,41-44) segue al racconto del cammino trionfale di Gesù verso Gerusalemme, tra la folla festante e la critica dei farisei. Alla vista della Città santa Gesù piange su di essa. Non è l’unico caso in cui Gesù fa il lamento su Gerusalemme (cfr. 13,34-35; 23,28-31). Qui, caso rarissimo, Gesù piange (anche in Gv 11,35 per la morte dell’amico Lazzaro). Il pianto è accompagnato dal lamento, che ha il tono di un duro rimprovero: “Se avessi compreso anche tu…ma ora è stato nascosto ai tuoi occhi”. Gesù lega poi questo lamento alla notizia tristissima della fine della Città (chiara allusione all’assedio e alla distruzione da parte delle legioni romane di Tito, nell’agosto-settembre dell’anno 70 d.C.). E conformemente alla tradizione ebraica inserisce questo disastro nella volontà di Dio, un piano da scoprire (v. 42). L’originalità di Gesù sta nella motivazione: la città santa non ha riconosciuto a tempo debito la venuta del suo Re messia (v 44). Il pianto di Gesù è provocato dalla chiusura della Città santa nei confronti della novità messianica. Le sue presunte sicurezze religiose diventano muraglia impenetrabile, fino ad impedire l’iniziativa divina. Una Città arroccata sulle proprie ragioni religiose non riconosce la rivelazione del Messia, la novità assoluta e sorprendente dell’iniziativa di Dio. Ma Gesù porterà comunque a compimento il suo progetto del Padre a Gerusalemme, vincendo ogni resistenza. Resta il dato che la chiusura non merita che il pianto.
Anche il testo di Apocalisse (5,1-10) parla del pianto. Giovanni, nella sua esperienza estatica (4,2) vede il mondo celeste nel quale si svolgerà l’azione principale. E’ una grandiosa liturgia che avrà conseguenze per la terra. Lo sguardo del veggente si focalizza su un libro sigillato, chiuso, posto “nella mano destra” di Dio. Il seguito dell’Apocalisse induce a pensare che il rotolo chiuso contenga il disegno di salvezza di Dio per l’umanità. I sigilli che tengono chiuso il testo rende impossibile la sua lettura: ciò provoca le lacrime del veggente. Come nel vangelo, anche in questo brano il motivo del pianto è la “chiusura”, l’impossibilità di leggere, quindi di conoscere l’annuncio della redenzione operata da Dio. La chiusura del libro viene comunque risolta dall’iniziativa dell’Agnello “in piedi, come immolato”. Non resta che passare dal pianto al canto nuovo, dal lamento alla lode: “Tu sei degno di prendere il libro e di aprirne i sigilli”. L’apertura dei sigilli libera definitivamente l’annuncio del kerigma. La Pasqua ha rivelato pienamente e definitivamente le intenzioni salvifiche: la salvezza dell’Agnello è universale, riguarda “uomini di ogni tribù, lingua, popolo e nazione”, con l’intento di fare di tutti “per il nostro Dio, un regno e sacerdoti”.
Nel rifiuto della Città santa e nel rotolo sigillato possiamo intravedere anche la tentazione di una Città arroccata, una Chiesa in difesa, custode di una dottrina arrotolata, chiusa, rigida e intoccabile.
Credo che la svolta positiva dell’ecumenismo può essere solo kerigmatica, deve cioè riguardare la centralità dell’annuncio pasquale. La svolta kerigmatica dell’ecumenismo rompe ogni chiusura, guarisce le divisioni, riconcilia le differenze, risana la memoria ferita, rimargina le ferite della storia, perchè ci chiede di puntare all’essenziale della fede. La centralità del kerigma cambia la prospettiva del rapporto tra le Chiese e le comunità cristiane: “Come pastori siate non predicatori di complesse dottrine, ma annunciatori di Cristo, morto e risorto per noi. Puntate all’essenziale, al kerygma. Non c’è nulla di più solido, profondo e sicuro di questo annuncio”, ha dichiarato il Papa al Convegno di Firenze (10 novembre 2015).
Gesù rimprovera Gerusalemme di non aver “riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata” (kairòs). Vogliamo riconoscere nell’attuale cammino ecumenico una speciale “visita” di Dio: il nostro è tempo di grazia. La parola che sintetizza meglio il kairòs divino dell’ecumenismo di oggi è “misericordia”. L’ultimo capitolo del documento “Dal conflitto alla comunione” dichiara con chiarezza: “Cattolici e luterani devono rendere testimonianza comune della misericordia di Dio” (n. 243). Il cammino ecumenico rende una testimonianza credibile della misericordia nella misura in cui il perdono, il rinnovamento e la riconciliazione saranno un’esperienza quotidiana tra di noi.
Questa radicale conversione kerigmatica dell’ecumenismo fluidifica il passaggio dalla resistenza delle ragioni dottrinali alla resa del dialogo fraterno, dell’incontro, dell’abbraccio, della conoscenza, della stima . dell’apprezzamento delle ragioni dell’altro, del camminare insieme. Una chiesa aperta alla grazia redentrice di Cristo è capace non solo di accogliere, ma anche di andare incontro: “L’unità si fa camminando, per ricordare che quando camminiamo insieme, cioè ci incontriamo come fratelli, preghiamo insieme, collaboriamo insieme nell’annuncio del Vangelo e nel servizio agli ultimi siamo già uniti. Tutte le divergenze teologiche ed ecclesiologiche che ancora dividono i cristiani saranno superate soltanto lungo questa via…Le differenti tradizioni teologiche, liturgiche, spirituali e canoniche, che si sono sviluppate nel mondo cristiano, quando sono genuinamente radicate nella tradizione apostolica, sono una ricchezza e non una minaccia per l’unità della Chiesa (Discorso del 10 novembre 2016).
E’, questa, la conversione dai vicoli stretti, e spesso vicoli ciechi della dottrina, ai viali scorrevoli della misericordia.
+ Gerardo Antonazzo