Custodire per meditare, glorificare per lodare

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Omelia per la solennità di Maria Santissima Madre di Dio

01 gennaio 2014

La tenerezza di Maria e la sollecitudine dei pastori fanno da felice legame spirituale tra la solennità del Natale e quella odierna.
Maria e i pastori sono costituiti, all’inizio del nuovo anno, quali primi maestri spirituali. Maria, madre di Dio, insegna a custodire e a meditare; i pastori insegnano a “glorificare” e a “lodare” Dio: “Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore. I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro” (Lc 2,19).
Vogliamo, pertanto, iniziare il cammino di questo nuovo anno con il cuore raccolto di Maria, e la semplicità esultante dei pastori.

Maria custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore

“Il silenzio di Maria a Natale è più che un semplice tacere; è meraviglia, è adorazione; è un ‘religioso silenzio’, un essere sopraffatta dalla realtà…Maria, per prima, ha elevato a Dio quello che san Gregorio Nazianzeno chiama un ‘inno di silenzio’” (R. Cantalamessa).
Nella scena della Natività, Maria tace. Partorisce la Parola, e a davanti al Verbo fatto carne ‘non ha parole’. E’ solo perfetta spettatrice della “teofania” di Dio. Non viene riferita di lei una sola parola in tutto il racconto del Natale. Maria, nel suo silenzio fecondo, “custodisce” e “medita”.

“Custodire”’ è operazione dell’intelligenza spirituale.
Maria raccoglie con scrupolo ogni particolare che emerge dagli eventi che accadono, mette in relazione tra di loro i vari elementi che lei custodisce, riflette, elabora, e con acutezza spirituale riconduce all’iniziativa di Dio, accolta già a Nazareth, nell’evento dell’Annunciazione.
Custodire non è un atto passivo, ma attivo e dinamico. La custodia degli eventi nella nostra vita educa alla vera intelligenza spirituale, educa alla comprensione profonda, e non di superficie, della nostra esistenza, nella quale nulla capita a caso.
E’ questo il vero significato dell’intelligenza, nel senso proprio dell’ “intus legere”: legĕre significa “scegliere”, “leggere”, con l’avverbio intus, “dentro”. Chi ha intelligenza è dunque qualcuno che sa “leggere-dentro”, “leggere oltre la superficie”, comprendere davvero, comprendere le reali intenzioni; significa anche “leggere-tra”, “leggere tra le righe”, stabilire delle correlazioni tra elementi diversi. Così Maria legge “dentro”, in profondità, e legge “tra” le righe dei fatti accaduti.
L’intelligenza del custodire apre la strada alla meditazione del cuore.

“Meditare” è operazione del cuore.
La meditazione favorisce e accompagna il coinvolgimento personale. Maria si sente coinvolta totalmente dagli eventi suscitati da Dio. Lei è parte essenziale. Attraverso le domande del suo cuore, raggiunge il significato profondo della sua missione e vi aderisce ancor più con tenerezza di vera Madre. Maria ama con tutto il suo cuore ciò che comprende sempre più chiaramente. E’ stupita e felice di sentirsi al centro dell’opera di Dio, insieme al suo Figlio. Maria medita tutto questo, il suo cuore “riscalda” i suoi pensieri, purificati ormai da ogni timore e dubbio. E, partendo dalla certezza del cuore, considera il suo futuro unito ormai inseparabilmente a quello del Figlio.
Maria insegna alla Chiesa la custodia delle cose di Dio, da cui apprendere sempre meglio quanto il Signore sta operando nella nostra vita, e ad amare tutto ciò che disporrà per il nostro futuro.
“Custode non dimentica, Ella è attenta a tutto quanto il Signore Le ha detto e fatto, e medita, cioè prende contatto con diverse cose, approfondisce nel suo cuore. Maria ha vissuto pienamente la sua esistenza, i suoi doveri quotidiani, la sua missione di madre, ma ha saputo mantenere in sé uno spazio interiore per riflettere sulla parola e sulla volontà di Dio, su quanto avveniva in Lei, sui misteri della vita del suo Figlio” (Benedetto XVI, Udienza 17 agosto 2011).
Sant’Agostino paragona la meditazione sui misteri di Dio all’assimilazione del cibo e usa un verbo che ricorre in tutta la tradizione cristiana: “ruminare”; i misteri di Dio cioè vanno continuamente fatti risuonare in noi stessi perché ci diventino familiari, guidino la nostra vita, ci nutrano come avviene con il cibo necessario per sostenerci. E san Bonaventura, riferendosi alle parole della Sacra Scrittura dice che “vanno sempre ruminate per poterle fissare con ardente applicazione dell’animo” (Coll. In Hex, ed. Quaracchi 1934, p. 218).
Meditare quindi vuol dire creare in noi una situazione di raccoglimento, di silenzio interiore, per riflettere, assimilare i misteri della nostra fede e ciò che Dio opera in noi; e non solo le cose che vanno e vengono.

I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio

I pastori sono gli amici degli angeli, quindi di Dio, gli ultimi della società, prediletti per ricevere il primo annuncio della nascita del Salvatore, e costituiti, alla pari degli angeli, annunciatori della gioia e della luce incontrata nella grotta di Betlemme.
Oggi la liturgia li riconsegna ancora una volta a noi quali celebranti della gloria e della lode di Dio, lungo le strade degli uomini e donne dei loro villaggi.
Alla pari della moltitudine di angeli che in cielo lodava Dio e diceva: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli” (Lc 2,13-14), i pastori cantano e raccontano la gioia dell’incontro con il Bambino Gesù, “glorificando e lodando Dio”.
“Gloria non indica qui solo lo splendore divino che fa parte della sua stessa natura, ma anche e più ancora la gloria che si manifesta nell’agire personale di Dio e che suscista ‘glorificazione’ da parte delle sue creature” (R. Cantalamessa)

Nell’Antico Testamento la gloria (kabod) significa “peso”, e indicava l’incidenza forte della presenza di Dio nella vita di Israele. Il popolo riconosceva la “gloria” di Dio, nel senso che proclamava la sua azione efficace a favore di Israele. Dunque la gloria indicava la presenza efficace del Signore, la sua azione “pesante” contro i nemici del popolo, e a favore di coloro che aveva eletto come porzione privilegiata.

Anche nel Nuovo Testamento la gloria (doxa) è collegata con la presenza di Dio, che agisce nella persona di Cristo, e sta a significare che la sua salvezza è presente. Gesù “glorifica” il Padre, perché con i segni che egli compie dimostra l’azione potente e salvifica di Dio. Sono i segni del Regno.
I pastori dunque “glorificano” Dio perché proclamano il compimento della salvezza, dichiarano che Dio a Betlemme ha manifestato la sua gloria perché ha agito in modo determinante, “pesante” perché decisivo, per la salvezza dell’umanità.
La gloria è la magnificenza di Dio che impressiona profondamente la creatura.

La manifestazione della gloria di Dio lascia il posto alla risposta della meraviglia e della lode da parte dell’uomo. I pastori lodano la bellezza della misericordia del Signore, la novità della sua sorprendente decisione di farsi “bambino” nella carne umana.
I pastori ci educano a glorificare e lodare Dio con grande e convinta forza d’animo. Dio agisce, compie le sue promesse, rivela la sua tenerezza di Padre, ama la nostra esistenza, e in essa desidera manifestare la forza della sua azione trasformante.

+ Gerardo Antonazzo

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