La fede diventi alfabeto di Dio

«Riscoprire come la fede si deve innalzare ad alfabeto di Dio».

Fratel Enzo Biemmi (religioso appartenente alla Congregazione dei Fratelli della Sacra Famiglia), così ha parlato della fede del secondo annuncio, mostrando come il quadro odierno della trasmissione della fede ha subito troppi incidenti e stalli. Gli incontri avvenuti nella chiesa di San Carlo ad Isola del Liri, nei giorni 10, 11 e 12 c.m. hanno riportato una notevole affluenza di persone, e nell’interesse dei partecipanti è nato il desiderio di rinnovare la fede seguendo i suggerimenti e le proposte del relatore. Partendo dallo stato di fatto si è decretata la fine del cristianesimo di tradizione; da una fede ereditata a una proposta; da una fede per conversione a una per convinzione(EG 27). Certamente fratel Enzo, ci parla di abbandonare la nostra pastorale di conservazione per aprirci ad una pastorale missionaria.

Nelle due serate si è sottolineata la fine del cristianesimo sociologico e della reazione della nostalgia delle tradizioni e di un passato fatto di ritualismo, si è parlato del lievito dell’annuncio come una prospettiva di metanoia (conversione) degli occhi; una conversione non morale ma motivata nella volontà di aderire a Cristo. Per questo dal primo annuncio del Kerygma, si è passati ad un modo di incarnare l’annuncio: «Si nota la mancanza di farsi carne nei passaggi di vita dell’uomo nell’odierno». Una crisi della cristianità, ci ribadisce Biemmi, che deve farci venire la voglia di mutare la prospettiva della catechesi; dobbiamo «spostare la conversione da un cambiamento di tipo morale ad un pensiero di occhi nuovi» (EG 164–165).

La catechesi, quindi, deve spostarsi sulle famiglie e sugli adulti poiché sono loro il principio della vera trasmissione generazionale. Il kerygma nelle varie stagioni della vita dell’uomo designa l’alfabeto di Dio: una vera e propria struttura di affermazione dell’essere discepoli a partire dalla decisione di seguire la volontà di Dio per trasmettere un annuncio in carne ed ossa, esperienze e vita che parlano di sè all’altrui attenzione. Insomma, la Chiesa deve riscoprire la Missione: riorganizzare la pastorale dallo stile classico dei doveri–poteri della Chiesa ad una ministerialità laicale, dando forma ad una ritualità in cui si devono abbandonare i luoghi sacri per le strade deserte.

Nella terza serata le sei zone pastorali si sono riunite per dare vita a dei laboratori di proposte, luci ed ombre e passi concreti, per una verifica nelle nostre comunità gettando le basi di una evangelizzazione di rinnovo. Il progetto pastorale vede la figura dell’Evangelizzatore come colui che coglie la domanda di senso, fa strada insieme al prossimo, annuncia Cristo come una Buona Notizia, non crea barriere ed impedimenti, condivide il cammino di riscoperta della fede e per ultimo sa scomparire di scena. «Più che mai abbiamo bisogno di uomini e donne che, a partire dalla loro esperienza di accompagnamento, conoscano il modo di procedere, dove spiccano la prudenza, la capacità di comprensione, l’arte di aspettare, la docilità allo Spirito, per proteggere tutti insieme le pecore che si affidano a noi dai lupi che tentano di disgregare il gregge. Abbiamo bisogno di esercitarci nell’arte di ascoltare, che è più che sentire… L’ascolto ci aiuta ad individuare il gesto e la parola opportuna che ci smuove dalla tranquilla condizione di spettatori. Solo a partire da questo ascolto rispettoso e capace di compatire si possono trovare le vie per un’autentica crescita, si può risvegliare il desiderio dell’ideale cristiano, l’ansia di rispondere pienamente all’amore di Dio.

Alessandro Rea

Categorie: Diocesi,Tutte Le Notizie