IL MAESTRO DELLA MADONNA DI ALVITO
La lunetta di S. Maria del Campo
Nella sacrestia della Collegiata di San Simeone Profeta ad Alvito è conservato un affresco con la Madonna e Gesù Bambino tra i santi Francesco d’Assisi e Antonio di Padova, proveniente dal vicino Santuario di S. Maria del Campo[1]. L’opera, che decorava la lunetta del portale, è un’importante testimonianza della diffusione del linguaggio rinascimentale nel nostro territorio ad opera di un artista, purtroppo ancora sconosciuto, che dopo essersi formato sui modi dei grandi maestri, seppe elaborare con originalità quanto appreso, pervenendo ad uno stile qualitativamente molto alto e ad una personale cifra espressiva[2].
Della lunetta si occupò per primo Corrado Maltese che affiancandole alcuni affreschi presenti in varie chiese di Alatri, ricompose una parte della produzione dell’anonimo autore da lui convenzionalmente chiamato “Maestro della Madonna di Alvito”[3].
Nel corpus di opere Maltese individua, su un gotico campano di ascendenza iberica, influssi di Benozzo Gozzoli e della pittura umbra, elementi del rinascimento toscano attinti di prima mano e una sensibilità cromatica riconducibile a Domenico Veneziano; inoltre, lo studioso riconosce negli affreschi influenze del Crivelli, con particolare riferimento ai polittici abruzzesi, e, più in generale, vi trova rimandi ad artisti di ambito veneto-marchigiano, soprattutto per le tipologie facciali riscontrabili nelle opere di Nicola d’Ancona e di Giovanni Angelo di Antonio, col quale non esclude possa identificarsi il Maestro della lunetta alvitana.
Una personalità estremamente colta, dunque, quella già delineata dallo storico dell’arte, su cui, tuttavia, si può dire qualcosa in più, proprio analizzando l’affresco di S. Maria del Campo.
Il volto della Vergine, che da solo consentirebbe l’attribuzione delle opere alatrensi al Maestro, per essere una costante del suo linguaggio figurativo, richiama in maniera evidente le Madonne di Antoniazzo Romano per il disegno dell’ovale, la particolare espressione della bocca, l’attaccatura dei capelli e i larghi piani della fronte e della guancia sinistra (si veda, in particolare, la “Madonna col Bambino” dell’Aquili, conservata nel Museum of Fine Arts di Houston). Il modello, però, qui è reinterpretato: alla dolcezza elegiaca, ineffabile e quasi impersonale delle Madonne di Antoniazzo si sostituisce il realismo e la carnalità di una contadina dallo sguardo fiero, puntato dritto negli occhi dell’osservatore, e dall’aspetto quasi sensuale, come lo stesso Maltese ebbe ad osservare. La Madonna di Alvito è una figura concreta e ben piantata nel ritrovato spazio rinascimentale. I volumi robusti e monumentali sono ormai una sicura conquista del pittore che è pienamente e irreversibilmente proiettato nel nuovo linguaggio, come evidenzia anche la conoscenza di Piero della Francesca. Nelle figure centrali l’artista disegna geometrie perfettamente studiate. Si noti, a questo proposito, il trattamento della veste della Madonna, che cade in pieghe precise e parallele, simili alle scanalature di una colonna marmorea, o il panneggio che ricopre le gambe del Bambino, articolato in angoli retti e triangoli. Ma si osservino anche il semicerchio creato dalla ripresa del manto della Madonna, la linea netta della mano con cui questa sostiene il Figlio e nel complesso la perfezione e la pulizia delle linee e delle curve presenti nel gruppo. Nulla qui indulge al decorativismo tardogotico, finalizzato solo a soddisfare lo sguardo; al contrario tutto è razionale, essenziale, ed il risultato è una particolare imponenza di forme che colpisce con forza ed efficacia l’osservatore. In più traspare, discreto, composto, e proprio per questo particolarmente profondo, il legame affettivo tra madre e figlio: l’atteggiamento matronale, quasi superbo, della Madonna si stempera, infatti, nella dolcezza dello sguardo che il Bambino le rivolge e in quel modo tutto infantile di giocare con il suo anello per stabilire un più intimo contatto.
Rispetto al gruppo divino, le figure di San Francesco e Sant’Antonio, rispettivamente a destra e a sinistra della Madonna, appaiono più tradizionali nella loro fissità devozionale – imposta, peraltro, dall’economia della composizione -, ma in essi è la stessa atmosfera di maestosa compostezza, la stessa intensità espressiva. Il Santo di Assisi conferma gli influssi crivelleschi già suggeriti dal Maltese, mentre per il Sant’Antonio la lettura stilistica diventa azzardata, se non impossibile, visto il cattivo stato di conservazione che ci restituisce la figura quasi al suo stato di sinopia.
Per le influenze sin qui riscontrate l’affresco può collocarsi nell’ultimo trentennio del XV secolo, ma è possibile addirittura avanzare una datazione precisa o comunque restringere con un buon margine di sicurezza il lasso di tempo in cui fu eseguito.
La presenza di S. Francesco d’ Assisi e di S. Antonio da Padova – il primo riconoscibile dalle stimmate, il secondo dal giglio e dal libro – indica come l’opera sia strettamente correlata all’istituzione del cenobio di Minori Conventuali nella chiesa di S. Maria del Campo. Il convento, non più esistente, fu eretto nel 1458 a spese di Piergiampaolo Cantelmo, duca di Sora e di Alvito, che in questo modo acquisiva lo jus patronato sulla chiesa e sul suo beneficio[4]. E’ documentato, tuttavia, che i monaci si insediarono nel cenobio solo nel 1476 quando Sisto IV (1471-1484) consegnò la chiesa a fra Lorenzo de Candia, appartenente all’Ordine dei Frati Minori, in seguito alla rinuncia dell’ultimo rettore secolare Benedetto Andrea Vetuzi[5]. E’ probabile, quindi, che il monastero sia stato riqualificato a partire da quell’anno, ovvero quando finalmente la piccola comunità ne prese possesso, e che in quell’occasione siano stati realizzati l’affresco con i santi titolari dell’ordine e l’iscrizione sottostante[6]. Quest’ultima, graffita e dipinta su uno strato di stucco, risulta oggi completamente abrasa, ma la trascrizione riportata da Francesco Saverio Castrucci, sebbene sia estremamente lacunosa, contiene elementi preziosi per la sua interpretazione[7]. In particolare vi si legge “[F]RANCISCI [… ] AD HONOREM […] IND […] SALVTIS […] XVIII SIXTO IIII”, ovvero quanto basta a confermare la celebrazione di un avvenimento importante, quale appunto l’effettiva istituzione del convento in onore del “Divo Francesco” durante il pontificato di Sisto IV e precisamente nel 1478, come indicano le cifre romane “XVIII” riferite all’annus salutis , l’unico che possa essere compreso tra gli estremi cronologici del pontificato di Sisto IV (1471-1484). Stante l’ipotesi della sua contemporaneità con l’iscrizione, l’affresco può, dunque, datarsi al 1478 o comunque tra il 1476, anno della venuta dei conventuali, e il 1484.
Il dipinto presenta un’ampia lacuna in corrispondenza del petto di S. Francesco, che nell’ultimo restauro non si è ritenuto di dover reintegrare, e notevoli cadute di colore sulla restante superficie pittorica[8]. Come già accennato, del volto di S. Antonio non resta che lo stato preparatorio, mentre il manto azzurro della Madonna è compromesso da tracce di verde dovute forse all’ossidazione di un sale di rame usato come pigmento. Nel complesso, tuttavia, l’affresco è ancora godibile per la sua cromia vivace e delicata ad un tempo e perfettamente leggibile nella sua complessità stilistica.
Ci si augura che ulteriori scoperte possano arricchire il catalogo dell’anonimo artista e magari portare alla sua identificazione. Nel frattempo la speranza è che si prosegua nella tutela, valorizzazione e promozione di questa e delle altre opere che costituiscono l’immenso patrimonio artistico del nostro territorio.
Romina Rea
Pubblicato su “Paese Mio”
Anno III – Settembre 2011, n° 9
[1] Nella chiesa di S. Simeone sono conservati altri quattro pannelli con affreschi provenienti dallo stesso Santuario.
[2] L’affresco fu staccato nel 1951 in occasione di un restauro realizzato dalla Soprintendenza alle Gallerie del Lazio. Attualmente la lunetta ospita una copia di Gianfranco Renzi.
[3] Corrado Maltese attribuisce al Maestro di Alvito una Madonna con Gesù Bambino, l’affresco con Cristo in pietà e S. Sebastiano, l’ affresco con Cristo in Pietà e la Maddalena e il S. Sebastiano nella Cappella della Sanità; la Madonna con Gesù Bambino S. Francesco di Assisi e S. Antonio di Padova nel Convento delle Suore Calvariane; un frammento di affresco con la Madonna, Gesù Bambino e una santa nella chiesa di S. Francesco; la lunetta con il Cristo in pietà e un santo vescovo e il dittico con S. Sebastiano e S. Leonardo nella chiesa di S. Silvestro. (Cfr. Arte nel Frusinate dal secolo XII al XIX secolo.Mostra di opere d’arte restaurate a cura della Soprintendenza alle Gallerie del Lazio, Palazzo della Provincia, Frosinone 1961; C. Maltese, “Il Maestro della Madonna di Alvito”, in Bollettino d’Arte, Serie IV (1948-1964), 1963, pp. 239-244 e C. Maltese, “Aggiunta al Maestro della Madonna di Alvito, in Arte in Europa, I, 1966, pp. 405-406.)
Per gli affreschi di Alatri attribuibili al Maestro di Alvito si veda anche: A. Dono, Storia dell’affresco in Alatri, Roma 1990, pp. 63-84; pp. 115-120; pp. 123-124; pp. 127-135.
[4] D. Antonelli, Alvito dalle origini al sec. XIV nella ricorrenza del IX centenario della fondazione della città (1096-1996), Castelliri 1999, p. 240.
[5] Ivi, p. 241.
[6] Del cenobio ci dà notizia Giovanni Castrucci: “Attaccata a questa chiesa [S. Maria del Campo] vi è un picciol monastero, nel quale vi assistono un sacerdote venerando ed antico di detti padri [conventuali], con due laici.” (cfr. G. P. M. Castrucci, Descrittione del ducato d’Aluito nel regno di Napoli, in Campagna Felice diuisa in due parti. Di Gio. Paolo Matthia Castrucci, d’Aluito dottor filosofo, e medico. Stampata nell’anno 1633 e ristampata nell’ anno 1684 con aggiunta in margine di diuerse cose, di cui al presente il sudetto stato si ritroua accresciuto, IV ed., Napoli 1863, p. 39.)
[7] F. S. Castrucci, La chiesa di S. Maria del Campo presso Alvito, Isola del Liri 1926, p. 91. L’autore riporta una trascrizione fatta dal fratello Silvio quando già l’iscrizione era in gran parte illeggibile.
[8] L’ultimo restauro, ad opera della Soprintendenza per i Beni Aritistici e Storici di Roma, risale al 1981.