Relazione introduttiva del Vescovo Gerardo Antonazzo al Convegno Pastorale Diocesano

Convegno Pastorale Diocesano

 

Vivere è rispondere. La vita come vocazione

Relazione introduttiva del Vescovo mons. Gerardo Antonazzo

Isola del Liri, 18 giugno 2014

 

Grazie per la vostra numerosa e convinta partecipazione.

Saluto con particolare entusiasmo spirituale questa nostra convocazione diocesana, consapevole che il soffio dello Spirito creatore dà forma visibile e concreta alla nostra vita ecclesiale. Grazie per la bella partecipazione di tutti voi che siete l’assemblea di Dio: la gioia della reciproca accoglienza si fa inno di gratitudine per i ministeri e carismi che vivificano il nostro corpo ecclesiale. Pertanto porgo il mio abbraccio fraterno ai presbiteri, diaconi, religiosi e religiose; in particolare a voi, carisismi fedeli laici, la mia più viva riconoscenza per la spiccata sensibilità pastorale, che vedo crescere in modo esponenziale, con la quale dimostrate la serietà del vostro indispensabile protagonismo ministeriale nella missione evangelizzatrice della Chiesa.

In uno stato permanente di missione

Il Convegno segna il passo del nostro cammino organico e articolato. Nei mesi scorsi abbiamo avviato e sviluppato, in diverse tappe e modalità, una riflessione esigente sulle due priorità della nostra Chiesa particolare:

–  la conversione pastorale, per favorire un più evidente e strutturale ri-orientamento dei nostri progetti nel senso dell’annuncio kerigmatico della fede rispetto all’eccedenza delle sole devozioni e celebrazioni sacramentali e cultuali;

–  la conversione missionaria, per sviluppare lo slancio evangelizzatore delle comunità cristiane su tutto il territorio, diffusamente decentrato rispetto agli antichi centri urbani. Sono le periferie geografiche, che rischiano di diventare anche periferie religiose, oltre che umane, estesamente abitate da famiglie che rischiano il distacco pressoché completo, e forse anche definitivo, dalla vita della comunità cristiana, dai suoi ritmi, dai suoi itinerari, dai suoi progetti.

Papa Francesco al Convegno pastorale della diocesi di Roma ha affermato: “La conversione non è facile, perché è cambiare la vita, cambiare metodo, cambiare tante cose, anche cambiare l’anima. Ma questo cammino di conversione ci darà l’identità di un popolo che sa generare i figli, non un popolo sterile! Se noi come Chiesa non sappiamo generare figli, qualcosa non funziona! La sfida grande della Chiesa oggi è diventare madre…L’identità della Chiesa è questa: evangelizzare, cioè fare figli”[1].

Figli di una Chiesa madre

Lo slancio missionario della comunità cristiana manifesta il vero volto della Chiesa che è madre, perché mentre genera i suoi figli, se ne prende cura nella loro crescita, “finché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo” (Ef 4,13). E continua l’apostolo: “È lui infatti che noi annunciamo, ammonendo ogni uomo e istruendo ciascuno con ogni sapienza, per rendere ogni uomo perfetto in Cristo” (Col 1,28).

La crescita e lo sviluppo delle nostre comunità, indipendentemente dalla loro consistenza numerica, è fortemente condizionato dalla capacità di rigenerare nei credenti l’esperienza viva e gioiosa di una Chiesa che è Madre. Sviluppare, cioè, la consapevolezza di essere stati generati come figli dal suo grembo, e di essere allo stesso tempo Madre che continua a generare altri figli.

Ci ricordano i vescovi italiani: “Con l’iniziazione cristiana la Chiesa madre genera i suoi figli e rigenera se stessa. Nell’iniziazione esprime il suo volto missionario verso chi chiede la fede e verso le nuove generazioni. La parrocchia è il luogo ordinario in cui questo cammino si realizza”[2].

L’urgenza di educare

La Chiesa, come buona madre, non solo vuole generare i figli di Dio, ma sente che la propria funzione materna si estende a tutta la vita del cristiano con caratteristiche che mutano nel corso del tempo, senza mai interrompersi, come accade ai buoni padri e alle buone madri sulla terra. Padri e madri, infatti, lo si è perché si fa crescere un figlio, lo si educa nella diverse stagioni della sua crescita, accompagnandolo, in tanti modi diversi, lungo il corso della sua vita. Esiste, infatti, una maternità fisica, ma esiste anche una maternità psicologica, affettiva ed anche spirituale. Oggi la storia di molte persone soffre di “orfananza” diffusa.

La Chiesa che genera i suoi figli non deve lasciare “orfani” essa stessa coloro che ha fatto rinascere nell’acqua e nello Spirito. Resta per loro “Madre” nella misura in cui sa esercitare anche l’arte di educare.

Scriveva s. Giovanni Paolo II: ”L’educazione costituisce, pertanto, un processo singolare nel quale la reciproca comunione delle persone è carica di grandi significati. L’educatore è una persona che «genera » in senso spirituale. In questa prospettiva, l’educazione può essere considerata un vero e proprio apostolato.

Educare alla bontà della vita per una vita buona

Gli Orientamenti pastorali decennali della Chiesa italiana annunciano la bellezza di educare alla vita buona del Vangelo, una vita nuova caratterizzata da tutto ciò che è bello, buono e vero. La proposta educativa della comunità cristiana, il cui obiettivo fondamentale è promuovere lo sviluppo della persona nella sua totalità, secondo la grandezza della vocazione dell’uomo e la presenza in lui di un germe divino.

È tempo di affrontare tale crisi antropologica con la proposta di un umanesimo profondamente radicato nell’orizzonte di una visione cristiana dell’uomo, racchiusa tra la sua origine creaturale e la sua destinazione finale. Pertanto il fondamento di una convincente e rispettosa antropologia cristiana deve riguardare il bene fondamentale della vita, che la persona umana riceve come beneficiario e custode. Ancora prima di “educare alla vita buona del vangelo”, bisogna educare alla bontà, alla bellezza e alla verità della vita.

Facciamo nostre le parole dell’orante biblico, capace di stupore e di meraviglia di fronte al mistero e alla bellezza della creazione dell’uomo: “O Signore, Signore nostro, quanto è mirabile il tuo nome su tutta la terra… che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi, il figlio dell’uomo, perché te ne curi?Davvero l’hai fatto poco meno di un dio, di gloria e di onore lo hai coronato (Sal 8).

Chi è l’uomo? Quale il valore e il senso della sua vita? Il grande problema di oggi, è la perdita del senso e del valore della vita, ma è chiaro che non si può difendere la vita se non se ne percepisce la bellezza. Essa è diventata oggi, purtroppo, un terreno di lotta ideologica. 

“Facciamo l’uomo”

La grandezza della dignità dell’uomo è straordinariamente raffigurata nell’affresco michelangiolesco della Cappella Sistina. Nel Dio unico opera il Verbo sotto l’impulso dello Spirito. Le mani del Padre secondo sant’Ireneo sono il Figlio e lo Spirito Santo. Il particolare dell’affresco della creazione dell’uomo fa da icona al nuovo anno pastorale, ed esprime in modo sublime la bellezza della vita come dono  e come chiamata. Questa prospettiva decide a favore della relazione della creatura con il Dio creatore.

Straordinaria è l’invenzione degli indici alzati delle braccia protese, un attimo prima di entrare in contatto, come efficacissima metafora della scintilla vitale che passa dal Creatore alla creatura forgiata, di straordinaria bellezza che riflette la perfezione e la potenza divina, ridestandola. Il momento così immortalato acquistava un valore eterno e universale, sospeso in un trepidante avvicinamento che non avviene, ma è già perfettamente intellegibile.

 Vivere è rispondere

La vita come dono genera la responsabilità dell’uomo, cioè la sua capacità di rispondere alla chiamata di Dio.

Si chiedeva Giovanni Paolo II:In che cosa consiste l’educazione?Per rispondere a tale domanda vanno ricordate due verità fondamentali: la prima è che l’uomo è chiamato a vivere nella verità e nell’amore; la seconda è che ogni uomo si realizza attraverso il dono sincero di sé”[3].

Scrivono i Vescovi italiani: “L’accoglienza del dono dello Spirito porta ad abbracciare tutta la vita come vocazione. Nel nostro tempo, è facile all’uomo ritenersi l’unico artefice del proprio destino e pertanto concepirsi senza vocazione. Per questo è importante che nelle nostre comunità ciascuno impari a riconoscere la vita come dono di Dio e ad accoglierla secondo il suo disegno d’amore…

La nostra azione educativa deve “riproporre a tutti con convinzione questa ‘misura alta’ della vita cristiana ordinaria’: tutta la vita della comunità ecclesiale e delle famiglie cristiane deve portare in questa direzione’[4]. La Chiesa attinge alla sua grande tradizione spirituale, proponendo ai fedeli cammini di santità, con un’adeguata direzione spirituale, necessaria al discernimento della chiamata”[5].

La dimensione vocazionale della vita matura nel contesto di un’esperienza significativa della fede che, se da una parte aiuta a volgere lo sguardo indietro, per riconoscere nell’amore di Dio il terreno nel quale affondano le radici della propria esistenza, dall’altro apre all’esperienza ordinaria di Dio, per interpretare la propria storia alla luce della fede.

La prospettiva vocazionale della vita matura dentro una visione di fede. La casa di Nazerth è l’icona di come l’esperienza della fede dà pieno compimento alla propria esistenza: Maria, infatti, si dispone alla Parola del suo Creatore, l’ ascolta, la interiorizza, passando anche attraverso il dubbio e la domanda, per esprimere infine la propria risposta: “Avvenga per me secondo la tua parola” (Lc 1,38).

Nondimeno, anche a ciascuno di noi è dato di lasciarci educare al progetto di Dio, nel contesto di una buona esperienza di fede, per sentirci dire dal Maestro, come ai due ciechi ai quali restituisce la luce degli occhi: “Avvenga per voi secondo la vostra fede” (Mt 9,27-31).

Grazie del vostro ascolto, e buon lavoro a tutti.

 

+ Gerardo Antonazo

 

[1] PAPA FRANCESCO, Discorso Convegno pastorale di Roma, 16 giugno 2014

[2] Nota pastorale della CEI, Volto Missionario della Parrocchia in un mondo che cambia, 7

[3] Giovanni Paolo II, Lettera alle famiglie, 1994, n. 16

[4] Giovanni Paolo II, Novo millennio ineunte, 31

[5] Conferenza Episcopale Italiana, Educare alla vita buona del vangelo, 23

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