Intervento di Suor Pina Del Core nel Convegno Pastorale Diocesano

Ricerca di senso, tra paura e fiducia

I giovani di fronte alle scelte vocazionali

Pina Del Core

19 giugno 2014

 

Qualche premessa

Il tema del mio intervento si inserisce a pieno titolo nel percorso pastorale diocesano che intende lasciarsi provocare dalla bellezza della vita, come dono di Dio, e dalla gioia di dare una risposta al progetto di Dio su ciascuna persona e che è sempre orientato alla felicità.

La vita come vocazione e come risposta ad un appello rivolto ad ogni essere umano è un tema esistenziale e profondamente umano, prima che religioso e cristiano. Comporta per questo una riflessione di taglio antropologico, psico-sociologico ed educativo.

Nel suo messaggio per la Giornata Mondiale delle Vocazioni 2014 Papa Francesco ha evidenziato con chiarezza quello che mi sembra sia il focus del convegno: «Ogni vocazione, pur nella pluralità delle strade, richiede sempre un esodo da se stessi per centrare la propria esistenza su Cristo e sul suo Vangelo. Sia nella vita coniugale, sia nelle forme di consacrazione religiosa, sia nella vita sacerdotale, occorre superare i modi di pensare e di agire non conformi alla volontà di Dio. E’ un ‘esodo che ci porta a un cammino di adorazione del Signore di servizio a Lui nei fratelli e nelle sorelle’ (Discorso all’Unione Internazionale delle Superiore Generali, 8 maggio 2013)».

Rispondere ad una vocazione comporta sempre un ‘esodo’, un andare nella direzione di un progetto intravisto, di un sogno che inizialmente potrebbe presentarsi nebuloso, incerto e che comunque presuppone un rischio: il rischio di scegliere, il rischio di decidere, rischio che in ultima analisi è il rischio della libertà. Dubbio, incertezza, rischio, sembrano costituire allora lo sfondo, lo scenario possiamo dire ‘normale’ per ogni essere umano che voglia orientarsi al futuro; non meraviglia allora la presenza di vissuti carichi di ansietà e paura, anche se ad essi vengono associati nello stesso tempo sentimenti di speranza, di ricerca, di curiosità che sollecitano dinamismi di scoperta, di intraprendenza, di fiducia.

Il tema della vita come vocazione e come risposta si ricollega chiaramente a un altro tema molto delicato e complesso, quello delle scelte vocazionali, o meglio il problema della scelta e della decisione, come pure la questione della progettualità adolescenziale e giovanile e della ricerca di senso.

L’esperienza, lo studio, la ricerca personale, l’insegnamento, le supervisioni degli studenti e i molteplici contatti di accompagnamento mi hanno condotta a ripensare continuamente alle problematiche e alle sfide che la cultura e il mondo giovanile pongono all’educazione, in particolare per un’educazione alle scelte di vita, nell’intento di individuare criteri e chiavi di lettura dei fenomeni sempre più cangianti che caratterizzano la condizione dei giovani e delle ricadute di tali fenomeni sulla scelta e sulla decisione vocazionale e quindi sulle vocazioni e sulla formazione alla vita religiosa e sacerdotale.

Riflettendo sul problema delle scelte vocazionali dei giovani emergono alcune istanze che si possono così sintetizzare:

* La difficoltà dei giovani a prendere decisioni di fronte alle scelte di vita sta influenzando, anche le scelte vocazionali, intese come risposta alla chiamata che viene da Dio, per cui la ‘crisi vocazionale’ presente nelle nuove generazioni è quasi sempre una ‘crisi di scelta’.

* Urgente e prioritaria è la necessità di educare al senso della scelta, alla libertà di scelta ma anche all’accoglienza del mistero che accompagna ogni decisione, perché essa implica sempre una rischiosa consegna di sé, un affidamento a qualcosa o a Qualcuno. La scelta vocazionale presuppone la capacità di affidarsi a Qualcuno per cui esiste un rapporto stretto tra fiducia e scelta vocazionale, tra vocazione e ricerca di senso della vita, tra vocazione e apertura all’Altro, al mistero, tra decisione umana e decisione cristiana.

* Ciò interpella la qualità della Pastorale Giovanile e Vocazionale, come pure la coerenza di vita dell’animatore/animatrice vocazionale o di qualunque educatore/educatrice, chiamati ad aprirsi loro per primi alla chiamata misteriosa di Dio.

* E indispensabile individuare delle chiare linee pedagogiche per poter aiutare i giovani ad aprirsi alla fiducia e alla lettura del mistero, cioè del senso profondo d’ogni realtà, qualità indispensabili per compiere delle scelte vocazionali coraggiose.

Un altro aspetto da considerare, oltre alla problematica delle scelte e della decisione, è quella della ricerca di senso della vita che in un tempo di complessità e di crisi – non soltanto economica ma antropologica ed esistenziale – sta crescendo in maniera esponenziale.

Basti pensare come – nonostante che la politica e le istituzioni non godano più della fiducia da parte dei cittadini, soprattutto dei giovani – stia crescendo l’esigenza di dare senso e orientamento alla propria esistenza e di trovare luoghi e persone di riferimento in grado di offrire ragioni per vivere, di fare proposte capaci di convocare, raccordare e investire le molteplici energie di creatività e di innovazione.

Se da una parte persiste tra i giovani la tendenza al pragmatismo, al consumismo anche culturale, all’immediatezza del presente, all’utilitarismo e all’edonismo, dall’altra sta nascendo la necessità di nuove solidarietà, di cui il volontariato e il pacifismo risultano tra le migliori espressioni, divenendo addirittura matrici di identità personale e sociale.

Si tratta di nuovi segnali, che via via si fanno più chiari e più forti, di una nuova ricerca di senso delle generazioni più giovani. «Una ricerca – come afferma il Presidente dell’Eurispes – affidata alla riscoperta di un sistema di valori dal quale trarre punti di riferimento e di stabilità di fronte alla complessità di una società che non proponendo una propria gerarchia di valori costringe i singoli ad un’elaborazione continua e personale. Una ricerca sospinta dallo spirito dei singoli, dalla ripresa di senso individuale, da una micro-progettualità che se ancora non è riuscita ad elaborare programmi complessi e compiuti e ancora non sa con certezza che cosa vuole, ha già deciso però che cosa non vuole. Ci troviamo di fronte a persone e a gruppi che si riappropriano della loro capacità di scelta, che rifiutano le logiche delle micro e macro-compatibilità, che pure sono ancora attive ed operanti».[1]

Il quadro tracciato dalle ricerche sugli adolescenti e i giovani a proposito di scelte di vita ha disegnato una condizione giovanile come sospesa tra problemi e risorse, tra sogni, idealità e realizzazioni, tra progetti e concrete attuazioni esistenziali. Le ragioni di quest’ambivalenza, che in molti casi può diventare ambiguità, sono molteplici. Alla sua origine stanno fattori sociali, educativi, culturali.

Ed è proprio in rapporto a quest’orizzonte, che vorrei soffermarmi sull’aspetto educativo, senza dimenticare la rilevanza degli altri aspetti, richiamando l’attenzione su alcuni nodi fondamentali che consentono di illuminare e comprendere l’attuale situazione di spaesamento in cui si trova l’uomo contemporaneo: continuamente in bilico tra la volontà di perseguire un fine e un atteggiamento di resa – a volte cinica, a volte rassegnata – dinanzi ad un volume di esperienze concrete che non sempre si mantengono all’altezza delle domande e dei bisogni formativi delle nuove generazioni e tanto meno delle promesse che fanno balenare.

  1. Giovani e scelte vocazionali

La questione delle scelte vocazionali, in particolare le scelte di vita religiosa o sacerdotale, va considerata nel contesto del problema più generale delle scelte. La difficoltà dei giovani a prendere decisioni di fronte alle scelte di vita, in effettiinfluenza anche le scelte vocazionali. In realtà, compiere delle scelte di vita risulta particolarmente difficile, sia quando tali scelte sono ‘obbligatorie’, sia quando il futuro è indeterminato e imprevedibile, sia quando le scelte non sono mai definitive. Esiste una quarta situazione – su cui molti ricercatori concordano – in cui le scelte della vita non costituiscono problema: quando cioè la persona è giunta a possedere un senso unitario della vita, cioè quando ha elaborato una progettualità personale dentro la cornice di una ‘biografia individuale’. Tale senso unitario, pur nelle diverse e frammentate esperienze di vita, si può raggiungere proprio mediante la realizzazione di scelte di vita, fatte in coerenza con un chiaro quadro di significati e di valori.

Per questo, in ambito educativo e pastorale, è prioritaria la necessità di educare al senso della scelta, alla libertà di scelta ma anche all’accoglienza del misteroche accompagna ogni decisione, perché essa implica sempre la consegna di sé. Ogni scelta vocazionale, infatti, presuppone la capacità di affidarsi a Qualcuno, per cui esiste un rapporto stretto tra fiducia e scelta vocazionale, tra vocazione e ricerca di senso della vita, tra vocazione e apertura all’Altro, al mistero.[2]

1.1.Rapporto tra giovani e scelte di vita

Come si collocano i giovani di fronte alle scelte, specialmente le scelte impegnative che riguardano il futuro e la propria realizzazione esistenziale? Fino a che punto sono consapevoli dei rischi inevitabilmente associati all’atto decisionale che tali scelte comportano? Quali sono i fattori che contribuiscono a determinare la scelta e la decisione? Quali sono gli atteggiamenti e gli stili decisionali dei giovani?

Lo sforzo di individuare tali fattori può aiutare gli educatori e gli operatori pastorali a comprendere la complessità e la difficoltà dello scegliere oggi e nello stesso tempo a saper accompagnare i giovani nel gestire i processi decisionali con minore conflittualità.

Nel tentativo di comprendere il rapporto tra giovani e scelte di vita si può correre il rischio di cadere nei soliti ‘luoghi comuni’: indecisione cronica, scelte di vita sempre più difficili, paura della definitività nei confronti di qualsiasi scelta vocazionale, paura di scegliere, ecc. Entrando nel vissuto psicologico delle persone e considerando la risonanza esistenziale o semplicemente la ricaduta di alcuni fenomeni culturali sui singoli o sui gruppi, si costata la grande ambivalenza di significato dello ‘scegliere’ nel contesto odierno.

Flessibilità, cambiamento e mobilità rappresentano oggi dei concetti chiave nel processo di sviluppo dell’identità adolescenziale e giovanile: le nuove opportunità di scelta sia formative che professionali richiedono la maturazione di capacità e risorse personali di cui i giovani non sono ‘attrezzati’, per una serie di fattori che non dipendono soltanto dalle biografie individuali. Non si può dimenticare che essi – come del resto anche gli adulti – si trovano a vivere in pieno la crisi della società fordista e del welfare state che ha rimesso in discussione la sequenza studio-lavoro-pensione per entrare nella cosiddetta ‘società fluida’ nell’età dell’incertezza e della flessibilità, laddove l’attesa del futuro sembra divenuta più drammatica e conflittuale.[3]

La varietà e la molteplicità delle offerte formative scolastiche e professionali, mentre da una parte attraggono e costituiscono dei miraggi per un futuro allettante, dall’altra rappresentano un ostacolo, soprattutto quando non vengono offerti criteri di riferimento per effettuare una scelta che tenga conto delle capacità e delle risorse, dei progetti e delle aspirazioni della persona, ma anche delle esigenze della società, in particolare del mercato del lavoro e delle organizzazioni lavorative presenti nel territorio.

Del resto, in una società come la nostra, in cui i valori fluttuano continuamente e le scelte di vita possono facilmente venire cambiate, rimandate ad altro tempo o addirittura eluse, sarà possibile scegliere e decidere il proprio futuro e come si configureranno tali scelte? Come educare gli adolescenti e i giovani a fare delle scelte che siano significative ed appaganti, ma anche ‘produttive’?

In fondo si può dire che la fatica di scoprire e di scegliere una propria vocazione, è simile al disagio che si sperimenta nel vivere all’interno di una società fortemente connotata dall’incertezza.[4] Quando le strade che stanno davanti e le opportunità di realizzazione sono molteplici, la persona non sa districarsi e fa fatica a decidere se scegliere una strada “per sempre” oppure assumere l’atteggiamento dell’esploratore che cambia sempre percorso alla scoperta di nuove strade; se imboccare un chiaro percorso da seguire, con una successione di tappe e una meta finale, oppure assumere l’atteggiamento del nomade, davanti al quale i percorsi possibili si moltiplicano e si preferisce tenere aperte mille altre alternative. I giovani in tal senso incarnano la moderna cultura della mobilità tesa a rifiutare l’idea della vita come un itinerario predefinito e fisso, a favore di un orientamento alla sperimentazione e alla discussione continua del proprio progetto di vita.

1.2. Il contesto in cui i giovani compiono le loro scelte

Scegliere e decidersi in contesti complessi è una realtà che accomuna gli uomini e le donne di tutte le società ormai globalizzate, segnate dalla complessità e dalla individualizzazione.

Nelle società primitive tradizionali ogni scelta veniva fatta in modo semplice, anche perché c’era poca varietà di opzioni e l’orizzonte del rischio e dell’incertezza erano ridotti. In una società complessa, invece, scegliere tra varie alternative è un vero problema: affrontare il proprio avvenire in un mondo sempre più complesso e imprevedibile specie in rapporto ai vari ambiti di lavoro e alle più svariate possibilità di realizzazione personale costituisce un’impresa gigantesca e difficile.

Spesso ci si ritrova da soli e in balia di se stessi, quasi paralizzati dall’indecisione, a doversi arrangiare secondo la logica di “fai da te”, senza poter contare sulla guida di qualcuno o di qualche riferimento che offra indicazioni per orientarsi tra le diverse e talvolta opposte alternative. Si osservano, infatti, con molta frequenza fenomeni di incertezza, conflitti tra preferenze, frustrazione per possibilità svanite, paura del rischio, pressioni familiari e sociali, ecc., che mettono in serio imbarazzo il o la giovane che deve operare una scelta per il suo futuro.

In una società fortemente individualizzata ciascuno ha la responsabilità delle sue azioni per se stesso e per la propria famiglia, deve cioè farsi carico di sé ed anche degli altri: la scelta è divenuta sempre più ‘personale’, dal momento che non c’è una regola sociale comune, non ci sono riferimenti etici che orientino la persona a capire cosa deve fare della sua vita. In questo contesto i giovani non sono aiutati a scegliere né a prendere decisioni e così la comunità umana nel suo insieme quando si interroga su cosa conviene fare per assicurare a tutti i suoi membri delle opportunità di realizzazione. Sul piano del vissuto psicologico individuale, allora, si è amplificata la paura di scegliere, che può tradursi o in un rimando continuo delle scelte oppure nell’indifferenza, fino al rifiuto di compiere delle scelte decisive.

L’evento decisionale, soprattutto in rapporto alle scelte esistenziali, si presenta particolarmente arduo. Le ragioni di tale difficoltà vanno ricondotte, prima che a fattori personali o familiari a fattori sociali e storico-culturali, come l’incertezza e l’instabilità dell’attuale società, la complessità e la globalizzazione crescente a tutti i livelli, il rischio e l’instabilità dei modelli di vita ‘tradizionali’. [5]

  • Incertezza, instabilità e rischio

I giovani sono chiamati a scegliere in una società dell’incertezza e del rischio che colpisce in primo luogo le identità e i modelli vita, in un clima socioculturale e politico molto instabile, imprevedibile e incerto. Come già sosteneva J. F. Lyotard, indicando i tratti della condizione postmoderna dell’uomo di oggi, ci troviamo dinanzi ad uno scenario in cui la complessità, l’incertezza e la distruzione di ogni residua certezza si intrecciano con la solitudine, la precarietà esistenziale e l’individualismo. Continuamente esposta al ‘rischio’, la libertà dei singoli e dei gruppi non trova più ‘spazi di sicurezza’ che consentano di gestire il peso e l’inquietudine del ‘dover scegliere’, non più sostenuta da appartenenze e riferimenti stabili.

Ed è la comunità umana nel suo insieme a vivere tale stagione di incertezza, divenuta ormai una nuova categoria strutturale del vivere quotidiano, non sapendo dove, né come collocarsi di fronte ad un futuro dai confini sempre più indefiniti. I giovani, perciò, si trovano a dover fare le proprie scelte di vita in un clima sociale, culturale, politico e occupazionale talmente instabile che rende più forte il travaglio dell’orientarsi tra una molteplicità di riferimenti, causando la procrastinazione e il rimando nel fare opzioni decise e marcatamente operative.

Applicando la categoria del rischio alle scelte esistenziali, come il matrimonio, la vocazione religiosa e sacerdotale o altre forme di realizzazione personale, bisogna costatare che nelle società complesse necessariamente si deve pensare in termini di rischio, che lo si voglia o no, perché – come sottolinea Giddens – «si deve fare i conti con un futuro personale molto più aperto che in passato, con tutte le opportunità e tutte le incognite che ciò comporta».[6]

Certo il rischio più radicale è quello della libertà. Non c’è scelta senza libertà, come pure non c’è libertà senza la possibilità di esercitare la propria capacità di scegliere in modo libero e responsabile. In tal senso, ogni essere umano è chiamato a farsi artefice della propria vita, quotidianamente alle prese con il rischio: questo sia nelle scelte scolastiche e lavorative sia nelle scelte esistenziali e vocazionali. Nulla, infatti, è garantito, nulla può essere dato per scontato, sempre esposti a infinite possibilità alternative o a facili ritorni sulle proprie decisioni nella convinzione della reversibilità [7] di ogni scelta.

Se ciò vale per tutte le scelte, ancor più per le scelte di vita, quelle più ‘tradizionali’ e comuni come il matrimonio, la vita religiosa o sacerdotale. L’incertezza quasi endemica della società ha colpito anche quei modelli di vita che hanno costruito l’identità e la felicità di intere generazioni del passato. Essi non sono più quello che erano un tempo, sia nel loro significato intrinseco sia nel vissuto soggettivo delle persone. Matrimonio e famiglia, più che istituzioni stabili sono divenuti il luogo in cui gli individui si trovano uniti prevalentemente per la qualità delle emozioni. Non costituiscono più qualcosa di naturale, un modello di vita proposto ai giovani come una tappa dell’esistenza che tutti attraversano.

L’aver impostato queste fondamentali vocazioni, non come un ‘progetto di vita’ o un ‘impegno’ ma come una ‘relazione’ da vivere, produce notevoli conseguenze sul piano dei significati, dei valori e quindi delle scelte. La stabilità tradizionalmente richiamata dal matrimonio, visto appunto come un rapporto ‘stabile’, viene messa in discussione, sicché tale scelta di vita è entrata in crisi.

  • Precarietà del lavoro e … dell’esistenza

Il precariato è il dato che accomuna soprattutto i giovani che accedono al lavoro subito dopo la fine dell’obbligo scolastico o formativo e quelli che vi entrano dopo avere raggiunto la laurea o aver frequentato un master o una scuola di specializzazione.

Il fenomeno della disoccupazione giovanile è crescente, è sempre più femminile e geograficamente più forte al Sud. Con gli ovvii adattamenti alle situazioni locali e all’andamento tendenziale del fenomeno, in questa fotografia il rischio di abbandonare lo studio in vista del miraggio di trovare un lavoro – una buona offerta di lavoro – è ancora molto alto per la popolazione giovanile.

I giovani di fronte alle scelte future si presentano incerti ed indecisi oppure sommari ed imprecisi, ma non avventati e incoscienti. Sono semplicemente ‘precari’ e ‘sospesi’, e non per loro colpa … La società, infatti, pensa che il precariato possa addirittura costituire un’ovvia ‘soluzione’ per salvare la società sul piano economico, sociale ed anche psicologico.

Cosa comporta sul piano individuale e dello sviluppo della personalità questa situazione di precarietà, di insicurezza e ambiguità nei confronti del mondo del lavoro, dell’inserimento sociale e della vita? Ne deriva una situazione di incertezza circa i contorni da dare alla propria identità adulta, una grande difficoltà a identificarsi con la cultura del luogo di lavoro in cui sono inseriti e dal quale possono essere in ogni momento espulsi, una forte ambivalenza nei confronti del futuro, un futuro che non riescono ad immaginare per lo meno sul piano produttivo e riproduttivo ma ancor più sul piano esistenziale.

1.3.           Diversi modi di collocarsi dinanzi al futuro

Entrando nel vissuto psicologico delle persone e considerando la risonanza esistenziale o la ricaduta di alcuni fenomeni culturali sui singoli o sui gruppi, ci si rende conto dell’ambivalenza di significato dello scegliere nel contesto odierno. Il modo di porsi dinanzi al futuro da parte delle nuove generazioni sembra essere fortemente condizionato dal contesto sociale, economico e politico del proprio paese.

Come emerge dalle ricerche e dall’esperienza, si possono costatare delle costanti sia quanto ad atteggiamenti, sia in rapporto allo sviluppo della progettualità personale e professionale, e conseguentemente in riferimento alle scelte e ai processi decisionali.

  • Le rappresentazioni del futuro

Quali sono le rappresentazioni del futuro che sottendono alle aspettative dei giovani e ai loro sogni sul futuro? Indagare su questi aspetti non è facile: si tratta di porre l’accento sul sistema di prefigurazioni del Sé futuro o del Sé ideale, ma anche guardare ai molteplici Sé possibili, oltre a tenere conto del divario o della discrepanza che potrebbe esserci tra il Sé reale e presente e il Sé ideale o futuro. Toccare questo tema comporta entrare nei complessi processi di formazione dell’identità, tra cui la definizione di sé che costituisce un punto cruciale e la progettazione di sé che è un elemento strutturante dell’identità personale.

L’analisi delle rappresentazioni del futuro permette di comprendere la rappresentazione di un Sé futuro, cioè la proiezione di sé nel futuro, il progetto personale o progetto di vita, che costituisce un indicatore di cambiamento individuale da parte dell’adolescente, oltre che un fattore di crescita e di formazione dell’identità.

Dai dati delle ricerche emerge che i giovani hanno una certa consapevolezza del proprio futuro personale, con idee più chiare sul futuro della loro vita privata (coniugi o single, padri o madri, religiosi/e, sacerdoti o missionari,…) che sul futuro professionale. Tuttavia, pur non sminuendo la rilevanza delle cose che potranno accadere, la maggioranza dei giovani esprime una chiara ed evidente tensione verso la dimensione presentistica dell’esistenza e una certa difficoltà a prefigurare i propri percorsi futuri. Ciò lo si nota soprattutto nell’indeterminatezza delle scelte fino a 25-30 anni, che probabilmente prospetta il prevalere di un orientamento pragmatico al proprio futuro.

Da un lato è cresciuta la tendenza a pensare al futuro in maniera ottimistica e fiduciosa: 3 giovani su 5 hanno una visione positiva circa le possibilità e sorprese che il futuro potrà loro offrire, ma non è trascurabile la percentuale di coloro (1 su 3) che ne hanno timore e quindi vedono il loro avvenire pieno di rischi e di incognite. Mentre ritengono che sia importante avere obiettivi e mete, tuttavia credono che sia meglio tenersi aperte molte possibilità.

La visione del futuro è quella di un vasto campo di possibilità sempre aperto a nuove opportunità e, perciò, a nuove scelte. Sicché, impegnarsi in scelte troppo vincolanti ‘non piace’ o forse non vale la pena: nulla deve apparire tanto irreversibile perché ciò che non può essere cambiato diventa un ostacolo alla capacità di adattamento e di risposta a un mondo che sottopone a sempre nuove sfide da affrontare.[8]

L’idea di flessibilità, che porta i giovani a una sorta di ‘adattamento’ al mercato del lavoro, sembra non essere solo una condizione che riguarda la sfera lavorativa ma si estende a tutti gli aspetti della biografia della persona, fino ad investire la stessa idea di futuro come dimensione costitutiva dell’identità. Diminuisce, quindi, la tensione progettuale che polarizza l’impegno e aumenta un senso di impotenza che pare annebbiare e rallentare i processi di crescita.

  • Progettualità futura e ricerca di senso

In rapporto alla progettualità futura, anche il sociologo Garelli sostiene che i giovani abbiano delle idee piuttosto chiare nell’ambito della sfera della vita privata, ma si presentano più disorientati nell’individuare delle traiettorie professionali. «Questo dato può richiamare ipotesi esplicative differenti: da un lato, l’ambito affettivo può apparire un settore della vita su cui l’individuo può esercitare maggiore controllo, a differenza di quello professionale su cui intervengono fattori e dinamiche molto più complesse. Dall’altro lato, però, ciò può anche indicare che i giovani, da un punto di vista progettuale, investono più sugli affetti che sulla carriera: la vita relazionale e sentimentale diventa così il perno della costruzione della propria identità adulta».[9]

Il futuro acquista rilevanza e profondità soprattutto a partire dall’adolescenza, nella misura in cui l’adolescente diviene capace di visualizzarlo in un progetto che, a partire dal presente, orienta le sue energie e le sue azioni nella direzione di uno scopo che è differito nel tempo. È in questa fase che si avverte sempre più l’esigenza di organizzare la vita di ogni giorno e di fare progetti per il suo futuro. L’attenzione al futuro e la progettualità producono così, uno stimolo motivazionale, tanto da portare l’adolescente ad abbozzare dei progetti di azione ed a stabilire gli scopi della sua esistenza.

La progettualità non è un’acquisizione spontanea e automatica. Ha bisogno di determinate condizioni per potersi sviluppare. Essa diventa possibile, quando malgrado i timori, prevale la speranza e la fiducia nel tempo: la speranza di riuscire non solo a compiere delle scelte, ma anche di attuare delle scelte cui poter annettere un significato per la propria esistenza. «Senza speranza non appare possibile un investimento nell’avvenire; essa si fonda su due elementi, generalmente compresenti, anche se l’importanza relativa di ognuno di essi varia secondo il vissuto personale degli individui: 1) la fiducia nelle proprie capacità; 2) la convinzione che esistano, attualmente e in prospettiva, le condizioni concrete per la realizzazione di un progetto di vita».[10]

La progettualità si sviluppa quando, nonostante le ambivalenze, prevale la fiducia, unitamente al desiderio di iniziare a costruire nel presente per raggiungere un fine lontano nel tempo. Essa si pone come nucleo propulsore di atteggiamenti e di scelte per il futuro. Ma occorre ribadire che la possibilità di fare scelte realistiche e corrispondenti alle aspirazioni personali, di elaborare un progetto di vita è collegato alla scoperta e alla elaborazione dei valori che danno significato e senso alla vita. Per questa ragione progettualità e ricerca di senso sono strettamente collegate.

Dall’analisi delle ricerche sociologiche e psicologiche si evidenzia che perfino la precarietà sta facendo emergere una profonda domanda di vita che va nella direzione della ricerca di un senso, per dare unità e finalità alla molteplicità delle proprie esperienze. Ciò non significa che scompaiano le difficoltà di stabilizzazione identitaria, tipiche di una società demograficamente plurietnica e culturalmente pluralista. Esse continuano ad essere rilevanti, tra il rischio di una identità flessibile fino alla sua evanescenza e una rigidità etnocentrica, incapace di relazioni con la diversità dell’altro.

La ricerca di senso è fortemente collegata alla ricerca d’identità e ciò dipende soprattutto dai sistemi di significato e di valori presenti nel mondo giovanile

Assai spesso la prima e più immediata risposta a questa domanda di senso viene ricercata con una certa “avidità” e ansia di sicurezza nell’ambito ristretto delle relazioni interpersonali, soprattutto quelle amicali e affettive accanto a quelle familiari. Essa caratterizza i giovani in particolare nel loro rapporto con i valori e le cose più importanti della loro vita.

Esaminando i sogni e i progetti per il futuro, colpisce la scarsa consistenza dei progetti cosiddetti ‘tradizionali’ i cui percorsi sono già definiti contro progetti ampi, imprecisi, vaghi, ancora da esplorare sul piano dei percorsi concreti di attuazione e di scelte.

In tale contesto anche la famiglia, pur presentandosi ancora come l’approdo più sicuro ed invocato, non sembra costituire più una scelta appetibile quanto a vocazione personale.

  1. Processi decisionali: quale accompagnamento?

La capacità di progettare delle scelte rimanda necessariamente alla capacità di trovare uno scopo nella vita, e la possibilità di fare delle scelte di vita è collegata al sistema personale di valori. Ciò resterebbe nel vago se non si mettesse a confronto con la capacità di ‘far fronte’ alle situazioni o alle difficoltà che s’incontrano nel mettere in atto i processi di scelta e di decisione.

Nel contesto di una accresciuta problematicità della scelta e di una lentezza nei processi decisionali presente nella cultura contemporanea, in particolare nel mondo giovanile,  si fa sempre più urgente una educazione alle scelte e un accompagnamento educativo che faciliti i processi decisionali dopo aver fatto un cammino di discernimento vocazionale.

2.1.  Atteggiamenti e stili decisionali [11]

Gli atteggiamenti della persona, che è sempre protagonista ed attore nei confronti della realtà, possono modificarsi a seconda della struttura della situazione, del significato ad essa attribuito, delle aspettative e dei vantaggi che ci si aspetta di ricavare. Ciò è frutto dei processi di socializzazione, mediante i quali il soggetto acquisisce delle strategie per fronteggiare le diverse situazioni sociali o personali, mantenendo su di esse un controllo efficace.

Quando si tratta dei processi decisionali, è chiamata in causa, da una parte la capacità di problem solving e dall’altra la motivazione (intrinseca ed estrinseca) del soggetto. Entrambi rendono possibile la realizzazione di scelte e di decisioni e soprattutto il superamento del conflitto o dello stress ad esse connesso. Difatti, la nozione di far fronte (coping) si è sviluppata nel contesto degli studi sullo stress, in particolare lo stress psicologico che si verifica quando la persona si rende conto che la realtà le pone delle richieste che vanno al di là delle sue risorse o capacità, al punto tale da influenzare il proprio benessere.[12]

Gli stili con i quali i giovani fronteggiano le difficoltà e si pongono dinanzi a situazioni come quelle della scelta o della presa di decisione, richiedono un insieme di abilità cognitive, emotive e comportamentali diverse.

Nell’ambito della ricerca psicosociale sono stati individuati tre stili di coping più frequenti: orientamento al compito, orientamento alle emozioni, evitamento-fuga.  La strategia maggiormente utilizzata è quella di carattere razionale, cioè di orientamento al compito che comporta un atteggiamento attivo nei confronti del problema, teso alla ricerca della soluzione. In tal caso, si tratta prevalentemente di giovani in cui è presente un maggiore autocontrollo, migliori risorse psichiche ed una visione più chiara del proprio futuro.

Il secondo stile di fronteggiamento è quello determinato dal registro emozionale, laddove si offre una risposta emotiva che sposta l’attenzione dalla realtà al soggetto. Tale strategia è utilizzata prevalentemente da soggetti in cui l’autocontrollo è carente, le risorse personali sono diminuite da una bassa autostima e le idee circa il futuro sono ancora poco chiare.

La terza modalità di far fronte alle difficoltà è quella della fuga, cioè della tendenza a non farsi carico del problema, bensì ad evitarlo con il rimandarne la soluzione. È tipico dei giovani che presentano come tratto caratteristico uno scarso senso di responsabilità, ma anche idee poco chiare sul futuro.[13]

Quando ci si trova di fronte a scelte o decisioni difficili si mettono in atto delle modalità di coping che mirano alla soluzione di un conflitto. Ne derivano stili decisionali diversi: alcuni sono ‘adattativi’, altri invece ‘disadattativi’. Tra gli stili decisionali, quello più comune e diffuso è la «procrastinazione»,[14] oggi divenuto un altro modo tipico di scegliere dei giovani e che consiste nella tendenza a rimandare sempre la scelta e la decisione, soprattutto quelle importanti e/o difficili.

2.2.  Libertà e responsabilità per una educazione alla scelta

Parlare di scelta e di decisione significa inevitabilmente parlare di libertà e di responsabilità personale. E ciò comporta una particolare attenzione alle innumerevoli sfide della contemporaneità che trovano nella libertà uno di nodi più critici. Siamo in presenza di una rivoluzione pervasiva tra le più sconcertanti, non solo a livello tecnologico, ma degli ambiti più importanti dell’esperienza umana di vita, come la famiglia, le relazioni, l’amore, il potere, ecc. Sono posti in gioco i dinamismi identitari e di crescita personale, i sistemi educativi e politici, le relazioni e gli atteggiamenti, le scelte di vita.

Da qui emerge con forza la necessità di un’educazione alla libertà critica, perché la persona sia in grado di scegliere con libertà i propri percorsi maturativi tra le molteplici e diversificate opportunità offerte dalla società complessa e consumistica.

Si tratta di una istanza nuova che affiora dalla modernità e dalle trasformazioni della libertà tipiche della complessità sociale e culturale. Infatti, nell’evoluzione della riflessione e della coscienza filosofica del Novecento si è approfondita sempre più la portata e l’importanza della libertà e della responsabilità fino a giungere ad una trasformazione dell’idea stessa di responsabilità, che ha assunto un respiro comunitario e relazionale molto più marcato, riconoscendo alla dignità della singola persona umana un ruolo primario, in quanto soggetto corresponsabile della giustizia nella società. [15]

La responsabilità, come la libertà, si misura sempre con la decisione. E la decisione è legata alla scelta. Si tratta di un atto umano riferito intenzionalmente ad un’azione futura che dipende dalla persona. La decisione nei confronti di qualcosa o qualcuno ha un profondo legame con il soggetto, o meglio, con l’identità. «La scelta ha sempre, anche per chi non ne sia cosciente, una direzione riflessa: decidendo qualcosa io mi decido, è di me stesso che decido. La decisione e l’azione è mia. Ogni decisione, anche negli atti meno riflessi, ha un legame costituivo con il soggetto, che peraltro non esiste al di fuori del suo agire».[16]

Per decidere con responsabilità allora è necessario aver raggiunto una certa autonomia personale, per la quale la persona, a partire dalla sua identità, cioè da un proprio centro interiore, dopo aver scelto ciò che è bene o ciò che è essenziale, ciò che conta o è importante per lei, e ne prende una decisione, è in grado di assumersi tutte le conseguenze della scelta fatta. Ciò è segno di maturità in quanto presuppone la capacità di far fronte all’insuccesso, alla colpa e alla solitudine nel momento in cui ci si trova da soli, contro tutti, nel sostenere la propria opinione. Suppone la capacità di prendere posizione, non soltanto a livello di idee, ma soprattutto di saper far fronte a livello emozionale le difficoltà o le tensioni che ne potranno conseguire, in particolare nel caso di disaccordo o di pressioni da parte del gruppo o dell’ambiente.

Non tutti riescono a maturare la capacità di prendere decisioni equilibrate e costruttive, perché non tutti hanno incontrato un contesto favorevole di maturazione. La scelta o la decisione, infatti, non è un calcolo di vantaggi e svantaggi fra alternative diverse, né una semplice valutazione delle probabilità maggiori di riuscita. Si tratta di imparare a soppesare le ragioni delle proprie opzioni e, in tal senso, si esige un’educazione appropriata. Ciò dipende in gran parte dagli orientamenti di valore, dalle convinzioni e dai significati che la persona intravede in apertura alla prospettiva del proprio futuro. Sono chiamati in gioco fattori, come l’auto-percezione, ma anche la conoscenza di informazioni adeguate, il sistema motivazionale, i significati e i valori che danno senso alla vita ed anche la rete di condizionamenti, di vincoli, di contingenze e opportunità presenti nell’ambiente e nella storia della singola persona.[17]

Optare per le diverse alternative che si presentano durante tutto il processo evolutivo e in generale nel corso dell’esistenza, richiede che la persona maturi un’adeguata capacità decisionale. In tale modo sarà in grado di gestire bene le sue scelte, imparando a valutare le conseguenze e i rischi dell’adesione ad un progetto determinato e, quindi, ad assumerne la responsabilità.

Dal punto di vista antropologico ed esistenziale la decisione è posta in atto se ci si confronta con un progetto generale di sé nel futuro che per quanto abbia un ‘nome’ (una specifica professionalità, il matrimonio, l’impegno politico, una vocazione sacerdotale o religiosa,….), non ha mai dei contorni precisi, e ciò può generare incertezza, timore, inquietudine. Tale processo sarà facilitato se la persona ha raggiunto una discreta conoscenza e comprensione di sé e possiede un minimo di fiducia in se stessa e nella vita. Tuttavia, per superare la paura di sbagliare, peraltro implicita nella condizione di chi sta per fare una scelta, occorre che abbia dei criteri di riferimento, interiori ed esteriori. Ha bisogno, cioè, di sapere chi è, cosa vuole da sé e dalla vita e in quale direzione si propone di andare. É necessario, cioè, che abbia risposto, almeno in parte, alle domande di identità e di senso nella vita.

Di fronte alle domande poste dalla vita non sempre si riesce a trovare risposte. La complessità dell’esistenza e la sua misteriosità non fanno intravedere con evidenza le alternative tra cui operare una scelta. Il peso della responsabilità, allora, mentre entusiasma perché rende costruttori del proprio futuro, dall’altra ci pone in stato di conflitto, di ricerca che talvolta si può fare angosciosa. [18] Ciò si verifica soprattutto quando ci si trova dinanzi alla necessità di dover decidere quale direzione dare alla propria vita. Se vivere è rispondere, qual è allora il senso e lo scopo della vita? Decidersi per uno scopo o un progetto comporta dire di ‘no’ ad altri progetti e conseguentemente accettare le conseguenze e i rischi che il ‘sì’ al progetto scelto comporta. Si tratta, perciò, di un atto di responsabilità a cui occorre preparare i giovani. E questo implica un cammino di crescita nella libertà, anche quando si è ‘costretti’ a scegliere, perché non si può non scegliere. Difatti, se non siamo noi a scegliere saranno altri a scegliere per noi. Del resto, non c’è scelta che sia completamente irreversibile, tuttavia anche se dovessimo cambiare siamo noi a non essere più quelli di prima. E ciò a motivo della plasmabilità e del potere strutturante del progetto di vita: noi diventiamo quello che scegliamo.

La responsabilità di fronte alle proprie scelte esige la maturazione della capacità di lasciare campo aperto alle possibili strade o direzioni che si possono intraprendere, ma nello stesso tempo implica il non lasciare tutto ‘sospeso’, o il vivere ‘per prova’, esplorando tutte le possibilità di scelta senza mai giungere ad impegnarsi per nessuna di esse.

2.3. Sviluppare competenze decisionali, di auto-regolazione e auto-determinazione

La scelta vocazionale comporta un processo decisionale complesso, in un certo senso più complesso di qualunque altra scelta. Per questa ragione non è mai esente da conflittualità e insicurezza, comporta da una parte lo sviluppo di capacità e competenze auto-valutative del Sé, in particolare della propria immagine di sé proiettata nel futuro che implica l’attitudine a riflettere su se stessi e sul proprio futuro indipendentemente dalla realtà presente e concreta. Nello stesso tempo, richiede la messa in atto dei processi decisionali e di autovalutazione delle proprie risorse in vista di un obiettivo da raggiungere che consente la maturazione dell’identità, o meglio, la ri-esplorazione del sé e la ri-collocazione della propria identità attraverso la ristrutturazione del proprio spazio di vita. Infatti, la decisione o le decisioni prese dal soggetto divengono estremamente importanti per il processo di costruzione dell’identità, nel senso che ‘costringono’ a definirsi e ad assumere una posizione nei confronti del proprio futuro.

Galimberti definisce la scelta come un atto o una conseguenza dei propri atti, ed è assunta come fondamento della responsabilità individuale. Spesso il termine è impiegato come sinonimo di decisione quando si riferisce alla formulazione di un giudizio in merito all’attuazione o meno di un’azione oppure di selezione quando il riferimento è agli elementi migliori di una serie in base a caratteristiche misurate con criteri funzionali di atti che conducono a preferire qualcosa invece di qualcos’altro. Tale atto, che ha come suo presupposto la libertà e come sua componente il rischio, si colloca tra la deliberazione e l’esecuzione.[19] Entrano in gioco, inoltre, altre attitudini come l’auto-regolazione e l’auto-determinazione.

La decisione vocazionale si presenta abbastanza complessa nella sua dinamica, molto più di quanto avvenga nelle decisioni abituali che accompagnano quotidianamente la nostra esperienza, perché si tratta di una decisione significativa per la propria esistenza, che imprime una direzione alla vita, struttura e ri-struttura la personalità producendo cambiamenti talvolta anche radicali.

La decisione, come fenomeno umano, viene descritta come «una delle forme con cui l’uomo reagisce ad una situazione plurivalente, cioè che contiene più possibilità e attrae in varie direzioni». [20]Tale processo non è soltanto ‘cognitivo’, né solo ‘volitivo’ o ‘emotivo’, legato all’interesse, all’attrazione, al piacere, ma coinvolge tutta la persona nelle sue dimensioni essenziali e profonde. La decisione comporta l’interazione e l’integrazione di tutti questi livelli nell’unità dell’io: è la personalità nel suo insieme che deve operare una scelta. In ambito vocazionale ciò comporta il confronto tra la propria realtà personale (aspirazioni, sogni, progetti, capacità, risorse) e il disegno di Dio. A livello cognitivo, è importante conoscere qual è la figura e qual è lo sfondo: il progetto di sé (sapere chi sono, cosa voglio, perché lo voglio) in quanto figura e il progetto di Dio in quanto sfondo. Entrambi sono fondamentali, ma ad un certo punto devono coincidere.

Ogni vera decisione mette la persona di fronte al problema della propria esistenza, per questo si esige un certo grado di maturità che consenta il consolidarsi di atteggiamenti i quali possono entrare in conflitto: si tratta di un cammino che ha bisogno di essere accompagnato nei suoi momenti e nelle sue tappe iniziali.

L’accompagnamento spirituale o formativo dovrebbe prestare attenzione, come suo obiettivo prioritario, all’individuazione dei diversi momenti del processo decisionale per sostenere la persona nella sua ricerca senza aver paura della conflittualità o dell’ansietà derivante dall’incertezza o dal dubbio. Esso si caratterizza appunto come spazio di personalizzazione dell’itinerario spirituale o formativo, e mira a favorire un cammino di integrazione di tutti gli aspetti della personalità attorno alla fede in Cristo, in particolare al nucleo della chiamata e dei suoi valori in una evoluzione dinamica, ma soprattutto un percorso di autonomia e di libertà, di verità e di assunzione di responsabilità.

Ogni proposta formativa per l’accompagnamento dei giovani sarà efficace e adeguata nella misura in cui saprà sollecitare processi di crescita che facilitano la rielaborazione delle esperienze, aiutare a scoprire e purificare le motivazioni che stanno alla base della scelta vocazionale, condurre ad una sintesi sapienziale nella concretezza del quotidiano.

L’orientamento educativo, in particolare l’orientamento vocazionale, comporta il ‘mettere la persona al centro, affinché sia in grado di orientarsi nelle scelte di vita che dovrà compiere al fine di inserirsi nella realtà in cui si trova a vivere, in coerenza con l’elaborazione di un progetto personale che è continuamente soggetto a verifiche. Si tratta di accompagnare la persona lungo un processo di maturazione ‘continuato’ nelle diverse fasi della vita, potenziando le capacità individuali al fine di facilitare i processi decisionali relativi alle varie transizioni e avendo come obiettivo ultimo la realizzazione integrale di sé, così da inserirsi da protagonista e in modo creativo e critico nella società in trasformazione.[21]

  1. Gli atteggiamenti dei giovani di fronte alla vocazione

Il rapporto tra giovani e scelte vocazionali rappresenta nel contesto odierno, come si è visto, un fenomeno di particolare complessità, ma lo è ancor di più il rapporto tra giovani e vocazioni religiose, perché si intrecciano tutti gli elementi, a volte contraddittori, del mondo giovanile, che, in questi ultimi decenni, hanno frammentato e ricomposto anche il campo religioso. Tutte le ricerche su ‘giovani e religione’ hanno evidenziato elementi che sembrano contrapposti, come ad esempio: attaccamento e autonomia, forte identità cattolica e debole identificazione con la Chiesa cattolica, continuità e discontinuità nelle pratiche religiose, riconoscimento della Chiesa come fonte di valori morali e rivendicazione di libertà nelle proprie scelte etiche. Si ripresenta, quindi, anche nel campo religioso e in quello delle scelte alla vita religiosa, la complessità presente nella società in generale. Tra i segni di questa complessità vi è pure il declino delle vocazioni religiose, sia maschili sia femminili, come pure la crisi delle vocazioni matrimoniali e/o di impegno esistenziale.

A tutti i livelli si costata la fatica di scegliere una propria vocazione, e ciò non è nulla di tanto diverso dal disagio che provano tutti di vivere all’interno di una società fortemente connotata dall’incertezza. Là dove si aprono molteplici strade, l’individuo non sa districarsi e decidere se scegliere una strada o l’altra oppure se sceglierla nell’immediato o “per sempre”. La persona, cioè non sa se assumere l’atteggiamento dell’esploratore che cambia sempre percorso alla scoperta di nuove strade oppure se assumere un chiaro e preciso percorso da seguire, con una successione di tappe e una meta finale, o ancora se scegliere il nomadismo come stile di vivere, in cui si moltiplicano i percorsi possibili e si tengono sempre aperte mille altre alternative.

In tal senso, i giovani riflettono pienamente la moderna cultura della ‘mobilità’ che porta a rifiutare l’idea della vita come un itinerario predefinito e fisso, e a privilegiare un orientamento alla sperimentazione e alla continua rimessa in discussione del proprio progetto di vita.

Nelle società avanzate quasi nulla è più pre-determinato dalla nascita: lavoro, identità, appartenenze politiche e religiose, perfino le identità di genere. Nelle società tradizionali invece tutto era conseguente alle condizioni di nascita. Alla nascita di un bambino si poteva immaginare che tipo di lavoro, di carriera, di matrimonio, di appartenenza religiosa, di stile di vita e di consumi avrebbe intrapreso. Ora quasi più nulla nella vita è pre-ordinato dal contesto sociale, culturale, religioso, quindi, siamo ‘obbligati a scegliere’.

Mentre, si sono moltiplicate le opzioni e le scelte, parallelamente è diminuita l’intensità delle ‘legature’ cioè dei vincoli connessi alla scelta. Le legature sono date dalle appartenenze religiose, dai campi dell’agire religioso strutturalmente precostituiti, dentro i quali il singolo credente viene collocato. «Se le legature religiose sottolineano soprattutto l’elemento del senso e dell’ancoraggio, le opzioni religiose sono perlopiù possibilità di scelta, alternative di azione nei comportamenti religiosi. In entrambe tuttavia sono presenti elementi ambivalenti: le legature sono certamente valori che “danno senso”, ma possono diventare anche vincoli o catene; le opzioni sono certamente presupposti di libertà e di possibilità, ma possono anche indebolire le coordinate di riferimento dell’individuo. E tuttavia le opzioni non smettono di essere auspicabili solo perché mancano le legature che danno loro senso». [22]

In realtà, nel contesto attuale sembra stiano crescendo ‘nuove legature’ che forse ancora sfuggono agli occhi dei ricercatori, anche se più vistose, come ad esempio, le disperate forme di ricerca di legami e relazioni o di ‘dipendenze’, specie quelle derivanti dalle nuove tecnologie comunicative.

3.1. Quale idea di «vocazione»?

Come viene percepita la realtà della vocazione e dentro quali logiche? Per i giovani la vocazione risulta una realtà ‘lontana’, relegata solo alla dimensione religiosa dell’esistenza o viene percepita come qualcosa che può dare un senso alla vita, come un ‘progetto’ che a cui poter orientare le proprie energie affettive e volitive? L’orizzonte di significato dei giovani è aperto o è chiuso alle grandi prospettive di impegno, di dedizione e realizzazione, oppure si limita alle possibilità ed opportunità, oggi più o meno scarse, che la società offre loro nell’immediato della vita quotidiana? Come viene accolta ed elaborata l’identità vocazionale, che si presenta come una ‘nuova’ identità,nell’insieme delle esperienze e dei vissuti, dei sistemi di significato e degli stili di vita e delle scelte che compongono la loro identità personale e sociale già in qualche modo costruita?

È interessante in proposito la già citata ricerca su Giovani e vocazione, che ha messo in evidenza come i giovani non sembrano assolutamente refrattari all’idea di vocazione, anzi sembra che non abbiano smesso di sognare e di essere attratti da grandi ideali. Ancora i giovani ammirano scelte di vita più vincolanti e impegnative che rispondano, cioè, ad una ‘chiamata’ particolare che richiede forza d’animo, coraggio e fedeltà nell’impegno.

Infatti, il 10,7% dei giovani considerati nella ricerca dichiara di aver pensato di avere la vocazione religiosa, ovvero di diventare prete/suora o membro di un istituto religioso. Si tratta di un dato consistente, soprattutto se si pensa al numero progressivamente decrescente e decisamente più esiguo di giovani che oggi di fatto abbracciano questa vocazione. Essi, dunque, avvertono il fascino di prospettive più ampie, di condizioni di vita, professionali o esistenziali, a cui ‘sentrisi chiamati’ e per le quali è possibile esercitare una scelta, un progetto a cui ancorare la propria esistenza.

Prevale nei giovani un’immagine positiva della vocazione che viene associata in primo luogo all’idea di realizzazione (79%) e di soddisfazione (71%), con una percentuale minore è sentita più come una forma di espansione e di libera espressione del Sé che non di rinuncia (13%) e imposizione (8%). [23]

I giovani leggono la scelta di vita religiosa come una decisione individuale nella direzione di un pieno sviluppo della propria personalità. Si tratta di una concezione di vocazione che risente della concezione della vita più in generale, considerata come un percorso fatto da scelte individuali nella direzione di una strada che viene intrapresa se ritenuta migliore, più che derivante dalla percezione di ‘sentirsi chiamati’ a qualcosa e da qualcuno. Tutta la vita viene concepita come una questione di ‘vocazione’, e non necessariamente legata ad una chiamata religiosa, piuttosto come ricerca di un senso della vita o del proprio sé profondo: seguire la propria vocazione significa sviluppare le proprie potenzialità e risorse, assecondare le proprie inclinazioni, realizzare un progetto.

Difatti, il 31,8% dei giovani definisce la vocazione come un’inclinazione o un talento personale; il 24,5% come l’impegno per un ideale o una causa; il 16,8% come un progetto da realizzare; mentre il 26,9% connette il termine in sé ad una chiamata alla vita religiosa. Parallelamente essi si riconoscono in una visione più inclusiva ed universalistica di vocazione, nel senso che riguarda tutti e non solo pochi ‘eletti’: il 51,5% ritiene che tutti abbiano una vocazione, e che la difficoltà consista solo nel riuscire a seguirla; il 26,5% sostiene al contrario che non esista la vocazione, ma solo le scelte individuali, mentre il 22,0% ritiene che solo alcune persone, che fanno scelte di vita particolari, abbiano una vocazione.

  • Un riferimento inequivocabile alla fede in Dio

Un fattore discriminante nel modo di concepire la vocazione è dato dall’orientamento religioso: ciò che colpisce è la dichiarazione di appartenenza – cioè di identità religiosa – alla religione cattolica (l’84,3% si dichiara cattolico; il 2,6% appartenente ad altre religioni; il 13% senza religione). Del resto, la vocazione in quanto tale non avrebbe senso senza un chiaro riferimento al primato di Dio.

  • Diversi modelli di vocazione e impegno verso gli altri

Accanto ad una visione ottimistica e positiva di vocazione emerge la convinzione che ogni persona ha una missione o un compito da realizzare e che una vita degna di chiamarsi tale non è data dalla sommatoria di scelte casuali o da esperienze da cercare.

La dimensione progettuale e di impegno personale, oltre che di predisposizione, è presente nella concezione vocazionale dei giovani. Il 31,8% definisce la vocazione come un’inclinazione o un talento personale; il 24,5% come l’impegno per un ideale o una causa; il 16,8% come un progetto da realizzare; mentre il 26,9% la vede come una chiamata alla vita religiosa. Parallelamente il 51,5% ritiene che tutti abbiano una vocazione, e che la difficoltà consista solo nel riuscire a seguirla; il 26,5% sostiene al contrario che non esista la vocazione, ma solo le scelte individuali, mentre il 22,0% ritiene che solo alcune persone, che fanno scelte di vita particolari, abbiano una vocazione.

Emerge allora un’idea più personalista e ‘laica’ di vocazione, nel senso che essendo una opportunità per tutti, offre alle persone la possibilità di realizzazione e di sviluppo dei propri talenti e progetti. Nello stesso tempo si evidenzia l’idea che essa sia connessa costitutivamente alla dimensione dell’impegno: un impegno rivolto a se stessi e agli altri (75%). Ciò fa riflettere sul fatto che l’investimento delle energie è orientato prima sulla realizzazione e sulla cura di sé che sulla dedizione e sul sacrificio per il servizio agli altri.[24]

La vocazione, in tal senso, deve essere intesa come sviluppo (aspetto dinamico) e come progetto che va gradualmente scoprendosi ed elaborandosi in armonia con la propria identità. Nel quadro di una concezione integrale della persona, infatti,  la vocazione è una realtà dinamica e storica, che s’inserisce nel processo maturativo della personalità, si sviluppa e si consolida nel tempo e in un contesto umano e relazionale. L’appello di Dio solitamente è rivolto a una creatura che è presa nella totalità delle sue risorse attuali e potenziali e in tutti i suoi dinamismi. È la persona nella sua unicità ed interezza che è chiamata da Dio, non si può dunque pensare che la vocazione possa investire solo una parte, oppure che possa coincidere con un aspetto o una dimensione della personalità.

In sintesi, come commenta Garelli, è diffusa nei giovani un’idea ‘feriale’ di vocazione, capace di nobilitare l’esperienza ordinaria e di dare senso alle piccole opzioni della vita quotidiana dai rapporti con gli amici alle dinamiche affettive, dall’ampliamento delle possibilità espressive al divertimento. Ma nello stesso tempo vi è la chiara tendenza a riconoscere l’importanza di vocazioni più impegnative come una sorta di nostalgia di grandi orizzonti di senso e di ideali alti.

3.2.   Presenza poco rilevante di adulti significativi

In tutto il processo di esplorazione della propria vocazione, i giovani trovano difficoltà ad individuare attorno a sé figure di adulti e “altri significativi”, capaci sia di indirizzarli, sia di richiamarli ad un’idea alta di vocazione, sia di testimoniargli forme di vocazione realizzate.

Gli stessi educatori, sacerdoti, religiosi e religiose, manifestano una eccessiva discrezione nel proporre in modo esplicito mete impegnative, come quelle della vita consacrata, intimoriti dalla cultura prevalente e dal carattere controcorrente di questa scelta.

Da queste figure significative, oltre ai genitori che sono ritenuti pur sempre un punto di riferimento, si direbbe che i giovani trovano ‘rassicurazioni’ piuttosto che stimoli e provocazioni positive. Quando si chiede agli intervistati se qualcuno nel corso della loro vita li ha aiutati a capire e a perseguire le proprie vocazioni, specie quelle religiose, oltre un terzo di loro (36,6%) non riesce ad individuare alcuna figura rilevante in tal senso. Ed anche tra chi invece individua alcune figure significative da questo punto di vista, il 41,2% indica i genitori come punto di riferimento ed il 14,5% gli amici, restringendo quindi il contesto degli “altri significativi” al nucleo più ristretto delle proprie cerchie sociali.

Ciò che colpisce è che il confronto con esperienze di vocazioni, di realizzazioni vocazionali riuscite avviene più con modelli ‘orizzontali’ (gli amici, i coetanei) che ‘verticali’ (gli adulti).

3.3.  Carenza di mediazioni di accompagnamento

Osservando la realtà e confrontandola con i dati delle ricerche, si può ipotizzare che manchino non tanto le figure genitoriali affettive, quanto figure di adulti-guida, di accompagnatori che si pongono accanto ai giovani indicando la strada per trovare le strategie idonee a sostenere l’instabilità, l’incertezza e la precarietà delle scelte e delle decisioni che ormai caratterizza anche le fasi successive della vita.

Nello specifico delle scelte vocazionali, pur avvertendo un certo fascino ed ammirazione per chi ha il coraggio di entrare in seminario o in un convento, ancora di più per chi vive esperienze di servizio e di missioni di frontiera, ai margini della società e della storia, non trovando figure vocazionali significative sui luoghi ordinari della loro esistenza quotidiana, dopo aver riflettuto per uno e tre anni, rinunciano all’idea che si era accesa nella loro vita, magari dall’infanzia o dall’adolescenza.

È fondamentale allora affrontare in maniera più decisa la questione dell’accompagnamento, preparando a questo delle persone capaci di educare orientando e accompagnando.

  1. Le sfide educative: cosa fare?

Cosa fare concretamente per aiutare i giovani ad accostarsi al rischioso, ma anche affascinate compito di scegliere la direzione da dare alla propria vita, con maggiore serenità e sicurezza, e a gestire i risvolti negativi della precarietà, dell’insicurezza e del disorientamento che connotano la società e il contesto in cui sono immersi? Come facilitare il complesso processo di scelta e di decisione soprattutto di fronte alle scelte esistenziali attorno a cui convogliare le proprie energie di vita? Quali sono gli ostacoli, le tensioni, le criticità che andrebbero affrontate dagli educatori e dalle comunità, dalle istituzioni educative per aiutare i giovani che manifestano un certo fascino ed attrazione per la scelta di vita sacerdotale o religiosa ad arricchire nel tempo tale scelta nella creazione di alcune condizioni, prima di tutto interiori, personali ( disposizioni umane e spirituali di fondo, cammino di crescita nella fede, maturazione affettiva e relazionale, libertà interiore e autonomia di giudizio, apertura alla verità e alla gratuità, ecc.) e poi ambientali, comunitarie?

Gli interrogativi posti costituiscono degli indicatori per indentificare le strade, per cogliere le strategie e i percorsi da fare, come singoli e come comunità, come accompagnatori e come maestri di vita. Tra le tante sfide ne indico solo alcune che mi sembrano prioritarie e di fondo… del resto la riflessione è aperta ad ogni provocazione e proposta, specialmente se contestuale alle diverse situazioni di lavoro educativo e pastorale.

4.1.   Educare a scegliere e a decidere

Un primo nodo critico da affrontare dal punto di vista educativo è dato dallo ‘scegliere’ in quanto tale. La generale fatica del ‘dover scegliere’, la paura di scegliere, costituiscono una sfida da affrontare non tanto nell’immediato ma molto alla lontana: è necessario impostare tutto il processo educativo come educazione alla scelta e alla decisione.

Una particolare attenzione va ai nuovi bisogni formativi emergenti dal mondo giovanile e alle tensioni che i giovani vivono senza che ne siano direttamente responsabili: il richiamo va alle tante cose che accadono nell’attuale società dell’incertezza e che hanno reso gli impegni a lungo termine sempre più rari, il coinvolgimento durevole (fedeltà all’impegno preso) una eccezione, la necessità di ridurre i rischi e di evitare di precludersi qualsiasi possibilità di fronte alle molteplici opportunità fluide e mutevoli offerte dalla società.

L’educazione alle scelte comporta un’attenzione specifica ai processi decisionali, innanzitutto a partire dalla comprensione delle difficoltà decisionali degli adolescenti e dei giovani, specie nelle situazioni critiche di scelta, dall’individuazione degli stili e/o strategie decisionali che mettono in atto, per aiutarli attraverso dei percorsi formativi (training) che abbiano lo scopo di insegnare la presa di decisione e di sviluppare le competenze necessarie per far fronte allo stress e al disorientamento derivante dal conflitto tra opzioni alternative e critiche.

Ciò comporta la valorizzazione del ruolo delle emozioni e della personalità nei processi decisionali, oltre allo sviluppo delle competenze cognitive implicate nella raccolta di informazioni necessarie per valutare le alternative di scelta.

Si tratta di promuovere una maturazione integrale della persona, che trovi il suo punto di partenza nello sviluppo dell’autonomia, premessa indispensabile per la maturazione di una libertà ‘critica’: innanzitutto davanti ai propri impulsi e poi alle sollecitazioni molteplici di una cultura che propone una libertà individuale sovrana, una libertà peso e problema che non sa più né dirigersi verso mete ideali, né gestire nel quotidiano comportamenti e atti umani perché siano veramente liberi e ‘responsabili’.

Non è facile, di fatto, creare le condizioni perché i giovani facciano esperienza di accettare il rischio e l’insuccesso che sempre è collegato alla decisione per un’opzione anziché per un’altra: difficile accettare le ‘legature’, i vincoli che ogni scelta, come del resto ogni legame, ogni e porta con sé.

4.2.   Accompagnare i processi di formazione dell’identità

La decisione vocazionale oggi divenuta più problematica si colloca sullo sfondo di una generale difficoltà nella scelta che, nel divenire vocazionale, di fatto precede in senso cronologico la decisione.

Al di là dei molteplici fattori di tipo sociale e storico-culturale o del disagio vocazionale di cui soffrono le istituzioni e le comunità religiose, una chiave di lettura di tale difficoltà si può trovare nella problematica attuale intorno all’identità. Ogni processo decisionale e ogni scelta vocazionale s’incontra o si scontra con il processo di formazione dell’identità. La difficoltà a orientarsi nella vita e a fare delle scelte fondanti, infatti, è considerata come uno degli indicatori principali della mancata crescita nell’identità.

Il divenire di qualsiasi progetto di vita, sia professionale sia vocazionale, procede di pari passo con la crescita nell’identità personale e dipende, specie in età adolescenziale, dalle identificazioni con persone, comunità, ambienti e proposte di vita che diventano modelli di riferimento per giungere ad assumere una scelta di vita coerente con il proprio progetto di vita.

La decisione vocazionale, infatti, s’impone nel momento preciso in cui, sulla base di adeguate motivazioni, è necessario compiere delle scelte. Poiché le condotte devono essere coerenti, devono salvaguardare nella persona delle esigenze centrali rispetto ad altre periferiche o esigenze di prospettiva rispetto ad altre puramente contingenti, la persona deve sapere optare di fatto per ciò che è meglio per se stesso. È una spinta alla ricerca, quasi una domanda di significato, un bisogno di senso nella vita. Questa tensione dinamica incide notevolmente sullo sviluppo dei processi d’identità, in particolare sulla maturazione del concetto di sé; sull’evoluzione affettivo-sessuale, sulla definizione personale di un quadro di progetti e valori. Impegno e motivazioni, decisionalità e ricerca di senso non appaiono all’improvviso durante l’adolescenza. Sono il frutto di un lungo processo di formazione che trova nell’accompagnamento personale e di gruppo il luogo privilegiato di realizzazione personalizzata.

Un’attenzione particolare va ad alcuni processi essenziali per l’identità e che costituiscono una sfida nell’attuale società: solitudine e autonomia, progettualità e temporalità, maturazione affettivo-sessuale e relazionale.

Occorre coltivare alcuni atteggiamenti ed attenzioni educative che sono a monte di ogni percorso di accompagnamento vocazionale, come:

* Un atteggiamento di fiducia e speranza nella consapevolezza che la progettualità giovanile è un dinamismo interiore che ha bisogno di essere attivato e liberato. La fiducia accordata può diventare un fattore di spinta ad elaborare progetti di realizzazione di sé e, soprattutto, ad affrontare le difficoltà della decisione e di un impegno duraturo.

* Il sostegno dell’adulto educatore che si pone accanto in maniera discreta e fiduciale può essere un fattore propulsivo che non solo aiuta a vincere dubbi e incertezze nel processo di decisione vocazionale, ma incoraggia nell’attuazione del progetto di vita intravisto.

* La tensione progettuale si orienterà più facilmente nella direzione dell’impegno verso scelte significative se l’adolescente è accompagnato nel cammino di scoperta dei valori per cui vale la pena di impegnarsi.

* La domanda di relazione, largamente presente nei giovani, chiede all’educatore di crederci e di non abdicare al proprio ruolo di guida, di sostegno, di comunicatore della propria esperienza di vita. Si tratta di qualificare l’interazione, perché non sia autoritaria o eccessivamente protettiva e permissiva, ma piuttosto partecipativa e dialogale.

4.3.Curare la formazione degli educatori/formatori

In una stagione di complessità occorre riaffermare l’importanza dell’accompagnamento, come spazio educativo ed esperienza significativa di crescita, come uno spazio ‘nuovo’, non unicamente come luogo fisico o psicologico, ma come tessuto e tempo di relazione personale, come luogo dove si attesta la cura, l’interesse, la sollecitudine per l’altro e per la sua maturazione, dove si chiarisce e si può esprimere il progetto di costruzione di sé e d’inserimento nella società, dove si socializzano le paure e l’insicurezza circa il domani, dove si fa discernimento sul Disegno di Dio e si maturano decisioni responsabili.

Nodo centrale però resta la formazione, a livello personale e di gruppo, per acquisire le competenze relazionali e affettive, ma anche pedagogiche e spirituali richieste dal delicato compito dell’accompagnamento e per imparare a vivere questo ‘ministero’ come espressione e luogo di spiritualità.

È urgente assicurare percorsi di formazione che privilegiano l’accompagnamento e il sostegno alla famiglia (alla genitorialità) la cui centralità educativa è indiscussa, nonostante le fatiche e le difficoltà cui è soggetta al momento attuale; cammini di crescita personale degli educatori/accompagnatori; lo sviluppo di competenze relazionali e specificamente ‘orientative’.

In conclusione

Le scelte e i processi decisionali costituiscono il nuovo campo di battaglia in cui si giocano i progetti professionali e vocazionali. Educare alle scelte di vita, o meglio ancora orientare alle scelte, è divenuta una questione cruciale nell’attuale ‘società dell’incertezza’. E qui si coglie l’arduo compito degli educatori e degli operatori di orientamento, che sono chiamati a favorire nei giovani l’acquisizione di competenze decisionali in grado di elaborare e costruire il progetto personale, ad accompagnare i processi decisionali e a discernere il disegno di Dio sulla loro vita.

Concludo, dicendo chenonostante le incertezze che rendono difficile  lo  scegliere e il decidere, non si può rinunciare a sognare o progettare il futuro. Più che esorcizzarlo occorre affrontarlo agendo semplicemente nel presente per costruirlo giorno dopo giorno nel quotidiano.

È necessario avere il coraggio di scommettere sul futuro con flessibilità e fiducia. Ciò vuol dire che se scommettere sul futuro comporta fede-fiducia in qualcosa o qualcuno che abbia un senso per cui vale la pena investire le proprie energie, nello stesso tempo bisogna pensare in modo ‘strategico’ per mantenersi flessibili di fronte alle situazioni che cambiano continuamente e per saper adattare il progetto-programma a tali evoluzioni.

È importante infine non perdere la fiducia pedagogica di fondo che consiste nell’individuare nel cuore dei giovani le potenzialità per ricostruire orizzonti di senso condivisi, al di là della crisi dei valori presente nella nostra società.

«Dove c’è una meta c’è anche la volontà».[25] Se la libertà di decidere per che cosa e dinanzi a chi essere responsabili viene rimessa alla coscienza inviolabile del singolo e alla sua libertà è anche vero che l’educatore – e le nostre comunità – non deve rinunciare al proprio ruolo di testimone dei valori: a lui il compito di proporre sfide, indicare scopi e mete ideali, illuminare le dimensioni di senso dell’esistenza perché i giovani possano assumere autonomamente i propri orientamenti di valore e fare delle scelte corrispondenti.


[1] FARA Gian Maria, Lo spreco di futuro: i giovani tra abbandono e ricerca di senso, Prolusione accademica alla Pontificia Facoltà di Scienze dell’Educazione «Auxilium», Roma, 25 ottobre 2011.

[2] Cf Del Core Pina, Giovani e scelte vocazionali, tra paura e fiducia. Le sfide da affrontare per un’educazione alle scelte della vita, in Ricerca di Senso, Analisi Esistenziale e Logoterapia Frankliana 9 (2011) 2, 181-216.

[3] Sono significative le intuizione di sociologi, come Bauman e Beck, esperti conoscitori dei processi socioculturali in atto nelle nostre società, che indicano il problema della scelta come centrale per la comprensione del modo con cui l’uomo contemporaneo si colloca nel mondo (cf Bauman Zigmunt, Modernità liquida, Bari, Laterza 2002; Beck Urlich, I rischi della libertà. L’individuo nell’epoca della globalizzazione, Bologna, Il Mulino 2000).

[4] Si veda al riguardo BAUMAN Zygmunt, La società dell’incertezza, Bologna, Il Mulino 1999.

[5] Cf Del Core Pina, Scelte: fattori dominanti, in Rogate Ergo LXVI (2003) 8/9, 6-12.

[6] Giddens Antony, Il mondo che cambia. Come la globalizzazione ridisegna la nostra vita, Bologna, Il Mulino 2000, 42.

[7] Il fenomeno della reversibilità, in questi anni sempre più diffuso nel mondo giovanile, è collegato all’idea che i giovani hanno del futuro, per cui il mantenersi aperti a molte possibilità – quelle molteplici offerte dalla società – li conduce ad assumere un atteggiamento che necessariamente è segnato dalla reversibilità, cioè dalla possibilità di ritornare sui propri passi per aprirsi a nuove ulteriori scelte. Se i percorsi possibili si moltiplicano è importante imparare a trovare le alternative, tra cui c’è anche quella della fuga. Di fronte ad una società dominata dalla mobilità sociale e professionale essi assumono un orientamento più flessibile volto, più che alla decisione o determinazione definitiva, ad una esplorazione e sperimentazione continua, in una sorta di patteggiamento con se stessi e con i propri progetti di vita.

[8] Cf Del Core, Pina, Atteggiamenti e stili decisionali degli adolescenti e dei giovani, in Rivista di Scienze dell’Educazione XLV (2007)1, 62-64.

[9] Garelli Franco, Chiamati a scegliere. I giovani italiani di fronte alla vocazione, Cinisello Balsamo (MI), San Paolo 2006, 34; Garelli Franco-Palmonari Augusto-Sciolla Loredana, La socializzazione flessibile. Identità e trasmissione dei valori tra i giovani, Bologna, Il Mulino 2006.

[10] Rampazi Maria Rita, Il futuro, in Cavalli Antonio (a cura di), Il tempo dei giovani, Bologna, II Mulino 1985, 215-263, 217; si veda pure: Id, Storie di normale incertezza. Le sfide dell’identità nella società del rischio, Milano, Led 2009.

[11] Cf Del Core Pina, Atteggiamenti e stili decisionali degli adolescenti e dei giovani, in Rivista di Scienze dell’Educazione XLV (2007) 1, 55-77.

[12] In questo ambito sono pionieristici gli studi di Lazarus Richard S., Psychological stress and the coping process, New York, Mc Graw-Hill 1966. Il processo di coping, per la sua natura di attività cognitiva, esige innanzi tutto la capacità di valutazione della situazione, ma anche la capacità di risolvere, di padroneggiare e tollerare i problemi derivanti dalla situazione. Entrano in gioco allora altri fattori di carattere emotivo ed affettivo, oltre che razionale, che possono facilitare o condizionare l’atteggiamento del soggetto, tra cui l’autostima e l’autoefficacia.

[13] Cf Grassi Riccardo, Giovani, religione e vita quotidiana, Bologna, Il Mulino 2006, 173-175.

[14] Cf mann Leon, Stili decisionali degli adolescenti: la procrastinazione, in Soresi Salvatore (a cura di), Orientamenti per l’orientamento. Ricerche ed applicazioni dell’orientamento scolastico-professionale, Firenze, ITER 2000, 67-79. Janis e Mann hanno individuato anche altri stili decisionali, come ad esempio, la vigilanza, l’ipervigilanza (panico), l’evitamento difensivo e la compiacenza (Janis Irving L. e Mann Leon, Decision Making: A psychological analysis of conflict, choice and commitment, New York, Free Press 1977).

[15] Cf Alici Luigi–Botturi Francesco–Mancini Roberto, Per una libertà responsabile, Padova, Edizioni Messaggero 2000, 102-110.

[16] Chiodi Maurizio, Libertà ed esperienza. Teologia e pensiero della modernità. Un punto di partenza per un dialogo costruttivo, in Brena Gian Luigi (a cura di), La libertà in questione, Padova, Edizioni Messaggero 2002, 67.

[17] Cf Del Core Pina, La paura di scegliere: dinamica della decisione e scelte di vita, in Rivista di Scienze dell’Educazione, XL (2002) 3, 442-455.

[18] Viktor Frankl, fondatore della Logoterapia, così definisce la responsabilità specialmente di fronte a decisioni esistenziali gravi: «Cos’è dunque la responsabilità umana? È ciò verso cui si è ‘attratti’ e a cui ci si ‘sottrae’. La stessa parola […] allude del resto al fatto che nell’uomo esistono delle forze contrarie che cercano di trattenerlo, di togliergli la responsabilità che è sua propria. Nella responsabilità c’è veramente qualcosa di ‘abissale’, di ‘fondamentale’. E quanto più a lungo e più profondamente riflettiamo su ciò, quanto più non ci sforziamo di cogliere cosa sia la responsabilità umana, tanto maggiormente ci rendiamo conto che essa è contemporaneamente qualcosa di terribile e di meraviglioso. Terribile: il sapere che, in ogni istante, ho la responsabilità del momento futuro, che ogni decisione, sia la piccola che la grande, è una decisione ‘per tutta l’eternità’, che in ogni istante realizzo una possibilità e non un’altra. Ogni attimo, infatti, racchiude in sé migliaia di possibilità, ma io non posso sceglierne che una sola se voglio realizzarla, mentre condanno tutte le altre, anch’esse per ‘tutta l’eternità’. Meraviglioso: il sapere che il futuro e con esso quello delle cose e delle persone che mi circondano, è in un certo senso dipendente, per quanto in misura minima, dalla mia decisione di ogni momento. Ciò che realizzo e faccio mediante il mio decidere, lo salvo nella realtà e lo conservo per sempre» (Frankl Viktor E., Logoterapia e analisi esistenziale, Brescia, Morcelliana 2001, 71-72).

[19] Cf Galimberti Umberto, Scelta, in Id., Dizionario di psicologia, Torino, UTET 1992, 838.

[20] Thomae Hans, Dinamica della decisione umana, Pas-Verlag, Zurich 1964, 11-12. Il concetto di decisione è sinonimo di ‘scelta’, di ‘risoluzione’, ma include anche l’idea di ‘preferire’, ‘scartare’, fare un taglio, lasciare qualcosa per prenderne un’altra. Si tratta di fare una scelta tra varie alternative possibili e questo non avviene in maniera puntuale, ma è un processo che non è mai esente da conflittualità.

[21] Cf Viglietti Mario, Presentazione, in Cospes (a cura di), Orientare alle scelte. Percorsi evolutivi, strategie e strumenti operativi (Coordinamento di Pina Del Core-Sandro Ferraroli-Umberto Fontana), Roma, LAS 2005, 6.

[22] Berzano L.-Genova C., Vocazioni tra rinuncia e autorealizzazione, in Rivista di Scienze dell’Educazione, 45 (2007)1, 37-54, 39-40.

[23] Cf Garelli, Chiamati a scegliere 83-103.

[24] Questi dati trovano una conferma dalle recenti acquisizioni della psicologia che evidenziano come il progetto vocazionale si sviluppi in connessione con la definizione di sé e il progetto di sé e dipenda – specie in età adolescenziale – dalle identificazioni con persone, comunità, ambienti e proposte di vita che costituiscono dei modelli di riferimento per giungere ad assumere una scelta di vita coerente con il proprio progetto di vita.

[25] Frankl Viktor E., Psicoterapia nella pratica medica, Firenze, Giunti Barbera 1974, 173.

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