Un’azione pastorale capace di missionarietà

PARROCCHIA SANTA MARIA ASSUNTA

CONSIGLIO PASTORALE

13 giugno 2014

 

Carissimi,

            la comunità cristiana abita un territorio che si configura come parrocchia, ma che si realizza in una tensione missionaria verso l’esterno.

            Siamo qui per capire, come il Consiglio Pastorale, nella presa di coscienza del suo servizio alla comunità e nel discernimento, ripensi un’azione pastorale capace di missionarietà.

            La capacità di progettazione e verifica pastorale è impegno di maturazione di questo organismo di partecipazione ecclesiale, luogo dove si esprime la corresponsabilità di tutti i membri del popolo di Dio nella costruzione continua della comunità parrocchiale.

            Siamo chiamati, allora, a lasciarci interpellare dalla missio ad gentes. E’ questo l’obiettivo di un percorso che, facendo riferimento alla missionarietà, vuole coinvolgere la parrocchia, non solo alla celebrazione dei sacramenti, ma anche alla trasformazione del territorio.

            Non si tratta di individuare strategie per la raccolta fondi e neppure di programmare iniziative a sostegno delle opere missionarie, ma di riscoprire la dimensione missionaria dei singoli e della comunità grazie ad un discernimento da vivere all’interno della comunità lasciandosi guidare dalla Parola di Dio, dal contesto dentro il quale si vive e dalle azioni pastorali messe in atto dalla comunità stessa.

            Non si tratta di fare supplenza a noi presbiteri, ma di promuovere la molteplicità dei doni che il Signore offre e la varietà dei servizi di cui la Chiesa ha bisogno. Una comunità con pochi ministeri, concentrata tutta nell’orizzonte di pochi, che rifiuta impegni e corresponsabilità, non può essere attenta a situazioni tanto diverse e complesse. Solo con un laicato corresponsabile, la comunità può diventare effettivamente missionaria.

            Un appello a noi tutti a sentirci in questo nostro territorio missionari!

           

            Quale possibile itinerario con il Consiglio Pastorale Parrocchiale?

  1. Che la parrocchia sia in affanno non è un mistero. Il rischio di buttare tutto a mare o di rifugiarsi nelle

tradizioni è in agguato e porta con sé non pochi sostenitori. C’è anche chi fa finta di non vedere, basta una festa, con po’ di processione, per rincuorare l’animo e continuare come se niente fosse.

            Certo le celebrazioni ritornano ogni anno puntualmente: la messa di prima comunione, la cresima, matrimoni e battesimi ed i funerali, rimangono comunque un “pezzo” forte. Non che tutto questo non ci debba essere, perché fa parte della  cura della fede, ma proprio la domanda sulla fede diventa importante.

            Quando sentiamo parlare di missionarietà ci viene subito da pensare a qualche terra lontana, dove ci sono leoni e serpenti ed il missionario, possibilmente con la barba lunga, percorre chilometri e chilometri per annunciare il vangelo, raccontare di Gesù, condividere la sua stessa fede.

            Convincerci che di “missionarietà” dobbiamo parlare e vivere anche noi, è l’obiettivo di questo incontro. Sì, perché tutti i battezzati, come persone e come comunità, sono abilitati alla missione.

            “Dalla conservazione alla missione…”: è questo l’itinerario da percorrere, ma occorre esserne convinti e consapevoli. Non basta affermare che “oggi la missione è qui da noi” perché ci sono in giro un po’ di “musi neri”! Il primo passo è allora la lettura dell’esistente, della stessa prassi pastorale della comunità, impegnandosi soprattutto a cogliere le motivazioni che muovono in un certo modo, che determinano scelte ed azioni, interventi e proposte. Non si tratta di “buttare al macero”, ma grazie al discernimento pastorale, di rimuovere le incrostazioni che corrono il rischio di soffocare quello che conta.

 

  1. Alcune provocazioni da non perdere.

 “Cerchiamo di gestire onorevolmente il nostro declino”: affermava un sacerdote con una prospettiva davvero incoraggiante! E’ davvero il “tempo della missione”. Messi da parte gli equivoci e le limitazioni geografiche che volevano “territori di missione” quelli oltre oceano e identificavano la missione con la raccolta dei soldi, le pesche di beneficienza, le adozioni a distanza, è vero che il “tempo della missione” appartiene alla nostra comunità. E perché non restino solo parole, lasciamo scorrere alcune suggestioni.

  1. La stanchezza.

E’ un po’ l’aria che si respira in giro. Il dopo Concilio si è accompagnato ad un brulichio di novità, di entusiasmo, anche con qualche degenerazione e lacerazione, ma adesso sembra tutto archiviato. “Le abbiamo provate tutte, ma non si riesce a cambiare la situazione”: è un considerazione ricorrente, anche tra di noi. Anche questo organismo di partecipazione pastorale può sembrano aver perso mordente!

E allora vorrei dire a me e a voi tutti che la stanchezza si vince con il progettare insieme: gettiamo avanti il pensiero e l’azione, questa è la scommessa.

  1. Pochi ma buoni.

Equivale a stringere il cerchio attorno ai fedelissimi restando in attesa che altri possano aggiungersi. Forse non se ne sente neppure il bisogno rinchiudendosi, da una parte, in una specie di rigidità, di intransigenza che, armata di identità e purezza, evita ogni contatto con ciò che è esterno, con il “mondo” spesso lontano da Dio, oppure, da un’altra parte, si trasforma in forte bisogno di autoreferenzialità impegnandosi a gestire quei servizi religiosi, che ancora vengono richiesti, o quelle devozioni popolari, che sembra facciamo parte del bisogno del sacro, che sembra siano un movimento di ritorno. Entrambe le posizioni sono molto lontane dalla missione: la prima dice assolutamente di no ad ogni “estraneo”, la seconda si rassegna a conservare anche solo un ruolo sociale. E allora vorrei dire a me e a voi: la fiducia in ciascuno, aperti a chi si affaccia alla porta della nostra comunità!

 

  1. Le carte da giocare.

            E’ necessaria una pastorale missionaria!

            Sono convinti i Vescovi: “una pastorale missionaria che annunci nuovamente il Vangelo, ne sostenga la trasmissione di generazione in generazione, vada incontro agli uomini e alle donne del nostro tempo testimoniando che anche oggi è possibile, bello, buono e giusto vivere l’esistenza umana conformemente al Vangelo e, nel nome del Vangelo contribuire a rendere nuova l’intera società” (Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia).

            Tutto riferito alla partita della vita che ciascuno e la nostra  comunità è chiamato a giocare oggi, come sempre, nell’annuncio del Vangelo.

                        Fino ad ora le nostre comunità erano bene organizzate nel coltivare la fede, dando per scontato che la fede ci fosse, dato che veniva assicurata e trasmessa dal contesto ed in particolare dal vissuto famigliare. Oggi non è più così ed il cambiamento è radicale.  La sfida di oggi è quella di rigenerare la fede, far ripartire processi di fede, come il progetto diocesano ci ha suggerito nell’anno trascorso, con le sue relazioni, orientamenti e provocazioni. Ripartiamo da quei contenuti e dalle sollecitazioni che il Vescovo ci ha dato nell’ultima assemblea pastorale.

            La conversione parte da qui per suscitare, nel nostro cuore, un modo “differente” di essere uomini e donne che, a partire dalla riscoperta dell’importanza di essere popolo di Dio, chiede ad ogni credente di assumere il compito della testimonianza e della comunicazione della fede.

             E’ oggi indispensabile per la nostra comunità parrocchiale creare forme di relazioni interpersonali, dove l’incontro, l’ascolto, la capacità di dialogare non siano qualcosa di straordinario, ma segni di una comunione che sa valorizzare le diverse identità nell’esperienza determinante della sequela. Le proposte vissute quest’anno avevano questa finalità: ne raccogliamo qualche frutto? Siano cresciuti in questa consapevolezza? Il rapporto centro periferia è salvaguardato? La parrocchia è vissuta come il luogo ove tutto ha origine e trova il suo culmine? C’è molta distanza ancora, molti di noi fanno fatica da entrare in questa nuova visione di pastorale. Perché?

                        Ecco le carte da giocare: possibile, bello, buono e giusto.

Possibile: è la convinzione che il Vangelo attraverso i secoli ha trovato casa in ogni nostra famiglia perché esprime il meglio dell’uomo. Cosa siamo disposti a fare per ridirlo ad ognuna delle famiglie della nostra comunità?

Bello: è la possibilità di salvezza che riempie il mondo di senso, la possibilità di “entrare” nel mistero di Dio. Come la celebrazione eucaristica possa continuare ad aiutare ad incontrare il dono di Dio, lasciandosi stupire della Sua vicinanza? La celebrazione eucaristica in parrocchia, il desiderio di incontrarsi tutti in unica messa, possibile e come?

Buono: è la tensione a realizzare ciò che fa bene alla vita, che apre alla relazione, che immerge nel desiderio di Dio. Cosa è buono nella nostra pastorale da raccogliere e proporre con forza? Il progetto della catechesi e dell’ACR può essere rivisto e la sua incisività più missionaria?

Giusto: è la scommessa che si accompagna alle relazioni umane, che dà volto alla comunità. Come lasciarsi guidare da questa istanza? Come gli stessi operatori pastorali, tutti noi,  possono accoglierla e determinarla nel nostro servizio? La qualità delle relazioni delle relazioni: libere, franche, vere, forti…..

            Accanto a ciò, però alcune verifiche serie ci attendono: il cammino d’iniziazione cristiana, il servizio alla carità, le tradizioni, l’utilizzo delle strutture, l’arte del celebrare.

            Non si tratta di operazioni di restauro e neppure di “piangerci addosso” cercando consolatori, ma di incarnare nella storia concreta la “bellezza” del Vangelo.

            Proporlo al bimbo che va alla messa di prima comunione come la proposta più seria del suo cammino di crescita, al preadolescente che riceve la cresima e che fatica capire cosa c’entra Gesù con la sua storia quotidiana, al giovane tampinato da mille suggestioni e attraversato dalla tentazione di fare da solo, ai genitori spesso ignari di avere un ruolo fondamentale nel futuro della comunità sociale, politica e religiosa, ai vecchi stanchi di aspettare e nello stesso tempo desiderosi di allungare i tempi. Ma il Vangelo è bello per noi che siamo qui?             .

            Lo “stile” pastorale

            Pensare la pastorale è compito del CPP per giungere a produrre conclusioni operative riguardo alle attività pastorali della parrocchia. Per questo è importante sviluppare nella comunità una disponibilità continua ad intendere la realtà in ordine alla prospettiva evangelica.

Suggerisco alcuni passi:

  • Rievangelizzare la comunità.

             Verificare  alcune scelte e fare di ogni luogo e di ogni Cappellania il luogo della disponibilità e della verità dei gesti. Come?

  • Riappropriarsi della Parola di Dio.

             Il Concilio ci insegna che la Parola è realtà dell’azione di Dio in ogni tempo, in ogni luogo. L’ ascolto della Parola deve ritornare ad essere esperienza di tutti. Come ravvivare tale incontro con la Parola?

  • Appello alla spiritualità.

            Una conversione pastorale certamente è sempre appello alla spiritualità, ma ad una spiritualità incarnata che ha come compito quello di riferirsi alla vita concreta. In questo spazio, liturgia e preghiera, sono due dimensioni insostituibili. Possiamo rendere le nostre liturgie più significative e la preghiera più attenta?

            Durante il prossimo anno ci sarà uno sguardo particolare alla Vita come Vocazione. ( Vedi il  Convegno Diocesano della prossima settimana )

            Essere cristiani è una chiamata che nasce dal Battesimo e diventa ogni giorno un cammino singolare di dialogo con Gesù, per fare la volontà del Padre nella forza dello Spirito Santo.

Sarebbe utile riflettere su alcuni temi:

  1.  il cristiano è chiamato alla santità di vita
  2.  c’è una chiamata alla vita consacrata maschile e femminile
  3. c’è una chiamata al sacerdozio e un luogo chiamato Seminario
  4. c’è una chiamata al matrimonio sacramento per creare una famiglia cristiana

            Potremmo, scandire questi momenti in appuntamenti mensili, una serata di incontro con qualche testimone, un’attenzione particolare nella catechesi dei fanciulli e i loro genitori, una preghiera comune più fedele nelle  cappellanie.

            Tutto questo per ricordarci e approfondire quanto di bello c’è nella nostra parrocchia, alla scoperta di una fede presente nelle nostre famiglie, che dobbiamo rendere viva per costruire una comunità.

            Quante grazie abbiamo e non possiamo disperdere.

            Il mio augurio: sia un anno di nuovo entusiasmo per comprendere la bellezza e grandezza del nostro stare con Gesù e  vivere con gioia ed amore la nostra personale vocazione.

            Con don Patrizio cordiali e fraterni saluti.

 

Don Alfredo Di Stefano

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