Educare, accompagnare e discernere

Educare, accompagnare e discernere

Una lettura pastorale dell’Amoris Laetitia

di Giovanna e Giuseppe Galasso

Coppia responsabile della Pastorale familiare per la Campania

Introduzione

L’orizzonte nel quale collochiamo la nostra riflessione in chiave pastorale è quello indicato da papa Francesco nell’Esortazione apostolica: “Nell’Anno del Giubileo, l’«Amoris Laetitia» vuole essere «una proposta per le famiglie cristiane, che le stimoli a stimare i doni del matrimonio e della famiglia, e a mantenere un amore forte e pieno di valori quali la generosità, l’impegno, la fedeltà e la pazienza»” (AL, 5) .

I due Sinodi per la famiglia hanno permesso di comprendere che, come affermava San Giovanni Paolo II: “la famiglia non è un ambito della pastorale ma è l’orizzonte e la via della Chiesa” (Lettera alle famiglie, 1994). La verità di questa espressione è ancora più forte nel tempo che viviamo e dopo l’Amoris Laetitia, perché la famiglia rappresenta il modo con cui l’uomo contemporaneo, immerso nel suo individualismo, può trovare Cristo, può trovare il cristianesimo. L’incontro con Cristo passa attraverso questa uscita dall’isolamento che viene donata alla persona proprio attraverso la famiglia. Essa diventa perciò il luogo di evangelizzazione, perché il cristianesimo non rimanga una verità astratta e priva di vita.

Siamo convinti che le famiglie, tutte le famiglie anche quelle attraversate da ferite, sono soggetto, e non soltanto oggetto, di evangelizzazione perciò per noi sposi e operatori di pastorale familiare l’esortazione post-sinodale è un invito a ripensare, in ascolto dei tempi, il servizio pastorale che ci è stato affidato.

  1. La prospettiva pastorale di Amoris Laetitia

Il documento si presta a diverse letture, tuttavia crediamo necessario ribadire l’intento pastorale del Papa. Francesco scrive essenzialmente per offrire orientamenti e spunti spirituali alle coppie o alle persone che si occupano della famiglia o che intendono costruire una famiglia secondo i valori evangelici, come pure per quelle persone che vivono esperienze di sofferenza nel nucleo familiare, allo scopo di far sentire la vicinanza della Chiesa alle loro problematiche.

Il punto di partenza o la premessa pastorale è il disegno di Dio su matrimonio e famiglia, dobbiamo avere uno sguardo sulla realtà capace di ricondurla a Dio. Questo è essenzialmente il progetto pastorale che si evince da AL. Basti guardare all’impostazione dei capitoli del documento: al centro tre capitoli sul matrimonio e la fecondità dell’amore, per indicare il cuore del messaggio di Dio, collocato tra la mente e le braccia, ovvero tra i primi due capitoli in cui la meditazione del disegno di Dio su matrimonio e famiglia illumina il successivo sguardo sulla realtà e gli ultimi quattro capitoli in cui sono indicate le vie per vivere la riconciliazione con il disegno del Padre.

In questa impostazione, Don Paolo Gentili, direttore dell’Ufficio CEI per la famiglia, afferma che la prospettiva che attraversa l’Amoris Laetitia è la misericordia, tema centrale nel papato di Francesco, anche se, come spiega il Papa stesso al n. 6, il testo ha uno sviluppo complesso che parte dalla Scrittura e ha come finalità dare alcuni orientamenti pastorali a tutta la Chiesa.

  1. Nella casa familiare

La situazione attuale della famiglia e la sua complessità, la consapevolezza dei cambiamenti antropologici culturali, l’individualismo esasperato snatura ed è sostanzialmente in contrapposizione all’unione coniugale e familiare:

“«Le tensioni indotte da una esasperata cultura individualistica del possesso e del godimento generano all’interno delle famiglie dinamiche di insofferenza e di aggressività». Vorrei aggiungere il ritmo della vita attuale, lo stress, l’organizzazione sociale e lavorativa, perché sono fattori culturali che mettono a rischio la possibilità di scelte permanenti”. (AL, 33)

Nell’ambito dei contesti familiari cristiani, tra educatori e genitori, tra catechisti e il parroco, nei consigli pastorali certamente è accaduto almeno una volta di fare queste analisi, di aver vissuto occasioni di discussione, riflessioni e dibattiti. E non di rado vi sarà capitato di concludere i ragionamenti dovendo constatare che l’impostazione pastorale delle nostre chiese non riesce più a parlare al mondo della bellezza del Vangelo, un po’ di scoraggiamento ha fatto sì che si insinuasse l’idea ingannatrice che forse il Vangelo non può parlare a tutti.

Giovani sempre più distratti, fidanzati innamorati dell’amore emozione, sposi non sufficientemente forti per affrontare la sfida matrimoniale coniugale e familiare, genitori sempre più assenti e incapaci di motivare e rendere ragione della propria fede presso le nuove generazioni. Una società sempre più lontana dai valori umani e cristiani, fortemente destabilizzante in ordine al significato della persona, della sua natura sessuale e della sua destinazione ultima e cioè l’eternità, la santità, la salvezza delle anime. Concetti che non appartengono al bagaglio culturale e formativo dei giovani, ma che purtroppo si sono smarriti anche nella generazione degli adulti che ha il compito di accompagnare e guidare. L’assenza di riferimenti ideali, l’appiattimento sulla realtà contingente, l’accontentarsi di una felicità effimera certamente non aiuta a guardare in alto, né aiuta a ricercare le ragioni dell’essere e dell’amore e cioè accettare la sfida della coniugalità, costruire il noi della comunione coniugale e familiare che sole rendono la vera felicità e sono garanzia di futuro.

Ma la costruzione della casa familiare vive nel tempo e sfida il tempo, perché vive l’eternità in Dio in tal modo supera anche lo spazio pieno di costrizioni, cadute, fragilità che non sono il progetto ma solo alcune stadi di avanzamento della costruzione.

La Bibbia è popolata da famiglie, da generazioni, da storie di amore e di crisi familiari, fin dalla prima pagina, dove entra in scena la famiglia di Adamo ed Eva, con il suo carico di violenza ma anche con la forza della vita che continua (cfr Gen 4), fino all’ultima pagina dove appaiono le nozze della Sposa e dell’Agnello (cfr Ap 21,2.9). Le due case che Gesù descrive, costruite sulla roccia o sulla sabbia (cfr Mt 7,24-27), rappresentano tante situazioni familiari, create dalla libertà di quanti vi abitano, perché, come scrive il poeta, «ogni casa è un candelabro». (AL, 8)

Nel seminario su “Quale pastorale dopo Amoris Laetitia?” promosso dall’Istituto Giovanni Paolo II su Matrimonio e Famiglia, il Prof. José GRANADOS, vice Preside del Pontificio Istituto, citando il vangelo di Matteo e il riferimento alle due case, ha fatto notare che la casa che Dio ha fatto sulla roccia tiene il tempo della vita. Ecco la grande misericordia per tutte le persone che vogliono amare, anche per quelle che hanno un desiderio di amore che non è capace di arrivare alla sua meta: mai decidersi di vivere nella casa sulla sabbia, perché la sabbia non può diventare roccia. Piuttosto ricostruire la casa, anzi permettere a Dio di ricostruire la casa sulla roccia. È la prospettiva misericordiosa di Amoris Laetitia.

  1. Una conversione pastorale a favore del primato della grazia

Il Papa nell’Esortazione parla di pastorale del vincolo espressamente citata al n. 211 ma spiegata bene al n. 164 di AL in cui dice:

“Il vincolo trova nuove modalità ed esige la decisione di riprendere sempre nuovamente a stabilirlo. Non solo però per conservarlo, ma per farlo crescere. È il cammino di costruirsi giorno per giorno. Ma nulla di questo è possibile se non si invoca lo Spirito Santo, se non si grida ogni giorno chiedendo la sua grazia, se non si cerca la sua forza soprannaturale, se non gli si richiede ansiosamente che effonda il suo fuoco sopra il nostro amore per rafforzarlo, orientarlo e trasformarlo in ogni nuova situazione”.

C’è un vincolo che è indissolubile e che è un grande dono di Dio e questo vincolo permette proprio al matrimonio di essere un segno efficace, che ripresenta l’unione di Cristo con la Chiesa. Questo fondamento sacramentale del matrimonio è richiamato in molti numeri di Amoris Laetitia. Ma la grazia sacramentale che unisce in modo indissolubile – verità oggettiva e permanente – deve trovare corrispondenza nell’impegno personale e coniugale a costruire una vita in cui il legame con lo sposo/a ha il primo posto. Per fare questo occorre una vita in cui Dio abbia il primo posto, per questo il Papa parla di costruirlo ogni giorno invocando lo Spirito. Come?

«La famiglia è chiamata a condividere la preghiera quotidiana, la lettura della Parola di Dio e la comunione eucaristica per far crescere l’amore e convertirsi sempre più in tempio dove abita lo Spirito». (AL, 29)

Qui è doveroso, a mio parere, anche fare un mea culpa da parte degli operatori pastorali e di alcuni pastori: le nostre parrocchie, i nostri ambienti ecclesiali non sono sempre luoghi in cui si respira la gioia che scaturisce dall’incontro con Cristo, incontro che alimenta e sostiene la relazione umana in special modo quella degli sposi uniti dal sacramento del matrimonio. Scrive il Papa:

“Al tempo stesso dobbiamo essere umili e realisti, per riconoscere che a volte il nostro modo di presentare le convinzioni cristiane e il modo di trattare le persone hanno aiutato a provocare ciò di cui oggi ci lamentiamo, per cui ci spetta una salutare reazione di autocritica. […] Né abbiamo fatto un buon accompagnamento dei nuovi sposi nei loro primi anni, con proposte adatte ai loro orari, ai loro linguaggi, alle loro preoccupazioni più concrete. Altre volte abbiamo presentato un ideale teologico del matrimonio troppo astratto, quasi artificiosamente costruito, lontano dalla situazione concreta e dalle effettive possibilità delle famiglie così come sono. Questa idealizzazione eccessiva, soprattutto quando non abbiamo risvegliato la fiducia nella grazia, non ha fatto sì che il matrimonio sia più desiderabile e attraente, ma tutto il contrario”. (AL, 36)

E ancora:

“Per molto tempo abbiamo creduto che solamente insistendo su questioni dottrinali, bioetiche e morali, senza motivare l’apertura alla grazia, avessimo già sostenuto a sufficienza le famiglie, consolidato il vincolo degli sposi e riempito di significato la loro vita insieme…. Siamo chiamati a formare le coscienze, non a pretendere di sostituirle”. (AL, 37)

Formare le coscienze significa aiutarle a comprendere e ad accogliere la verità tutta intera, quella che la Chiesa insegna; occorre anche aggiungere che “non sostituirsi” non significa lasciare alla coscienza la libertà di decidere in modo arbitrario ma sottolineare la responsabilità morale di ciascuno. L’agire morale, il cammino di perfezione della persona non si basa sullo sforzo umano: “Ma per la grazia di Dio io sono quello che sono; e la grazia sua verso di me non è stata vana; anzi, ho faticato più di tutti loro; non io però, ma la grazia di Dio {che è} con me” (1 Cor 15, 10), dice San Paolo.

Se pensiamo alla nostra pastorale ci accorgiamo che in questa prospettiva abbiamo da fare una bella conversione. L’azione pastorale deve inserire il desiderio di bene in un effettivo cammino e perciò invitare gli sposi a fare questo cammino accompagnandoli. Ma quali percorsi di vita coniugale offriamo agli sposi in cui permettiamo loro di fare esperienza della grazia? Quali strumenti, quali esperienze offriamo agli sposi perchè possano imparare a leggere il loro quotidiano come frutto della grazia? Per esempio, che cosa significa per una coppia perdere un figlio? O come aiutare una famiglia a vivere l’esperienza della disabilità come una grazia? Come aiutiamo gli sposi a preparare il terreno perché la grazia possa portare frutti? Li aiutiamo a fare della loro casa un luogo in cui celebrare, li aiutiamo a riconoscersi ministri? E pensando alla preparazione al matrimonio: è impostata in maniera che i fidanzati possano fare esperienza della grazia di Dio durante il cammino? Proponiamo loro esperienze forti di preghiera perché poi diano il ritmo anche alla vita familiare?

Scrive il Papa:

“non si deve gettare sopra due persone limitate il tremendo peso di dover riprodurre in maniera perfetta l’unione che esiste tra Cristo e la sua Chiesa, perché il matrimonio come segno implica un processo dinamico, che avanza gradualmente con la progressiva integrazione dei doni di Dio”. (AL, 122)

Occorre ricordare che l’agire morale trova ragion d’essere nella verità del Vangelo e il suo punto di forza nella grazia che il Signore concede a tutti coloro che sinceramente accolgono la sua Parola e s’impegnano a viverla con umiltà. “Tutto posso in Colui che mi dà forza” dice San Paolo (Fil 4,13). La grazia del Sacramento non agisce automaticamente ma passa attraverso la preghiera e la disponibilità. È nel contesto di questa pastorale della famiglia che possiamo e dobbiamo riconoscere che l’ampiezza della redenzione di Cristo raggiunge anche le situazioni imperfette come semi del Verbo che attendono di essere portati a compimento. In questa logica inclusiva, il Papa chiede una conversione pastorale per aprirsi al difficile contesto in cui viviamo senza escludere nessuno ma preoccupandosi di trovare le strade giuste per raggiungere anche i lontani in spirito missionario.

“Nella prospettiva della pedagogia divina, la Chiesa si volge con amore a coloro che partecipano alla sua vita in modo imperfetto: invoca con essi la grazia della conversione, li incoraggia a compiere il bene, a prendersi cura con amore l’uno dell’altro e a mettersi al servizio della comunità nella quale vivono e lavorano. […] Quando l’unione raggiunge una notevole stabilità attraverso un vincolo pubblico – ed è connotata da affetto profondo, da responsabilità nei confronti della prole, da capacità di superare le prove – può essere vista come un’occasione da accompagnare verso il sacramento del matrimonio, laddove questo sia possibile”. (AL, 78)

Quello che può apparire un severo ammonimento del Papa: “Siamo chiamati a formare le coscienze, non a pretendere di sostituirle”, rappresenta un invito a quella gradualità della legge che richiede una conversione pastorale che si fonda sul primato della grazia e che perciò crea spazi di accoglienza misericordiosa.

  1. Verso un progetto pastorale

La conversione che chiede il Papa è in continuità dottrinale con i suoi predecessori. È lo stesso Papa Francesco che, in più di una occasione, cita i suoi predecessori: il beato Paolo VI, San Giovanni Paolo II, e Benedetto XVI e cita alcuni testi fondamentali della pastorale familiare come Familiaris Consortio e Humanae Vitae. Qual è la novità? All’interno della conversione pastorale appena descritta, il nuovo passo che ogni Chiesa locale è chiamata a compiere, consiste nella impostazione di un progetto pastorale che coniuga i verbi educare, accompagnare e discernere.

  1. Educare, una prima via pastorale.

Il primato della grazia nella via degli sposi li rende amministratori della stessa grazia presso i figli. Non è un caso che Papa Francesco abbia espressamente voluto porre un intero capitolo sulla educazione dei figli. Anche questa non è una novità e non stupisce che nell’ambito di una esortazione che cerca di ridisegnare e valorizzare il proprium della famiglia ci sia il capitolo dedicato alla educazione.

La grazia matrimoniale che agisce attraverso il sacramento del matrimonio consacra gli sposi come “ministri di Dio” per la santificazione della famiglia[1]: si tratta di un vero “servizio ecclesiale”. Gli sposi sono sacramentalmente catechisti dei loro figli. L’educazione alla fede fa degli sposi veri genitori[2]. Dio non affida loro delle semplici notizie che lo riguardano, ma un messaggio che contiene ciò che gli è più caro: la propria immagine, il proprio amore che si manifesta in Gesù Salvatore, la propria vita di comunione con il Figlio e con lo Spirito Santo, che si vive nella comunità cristiana.

Per affidare il suo messaggio e abilitare coloro che lo annunciano, Dio sposa nel matrimonio un uomo e una donna e li rende coppia. È un messaggio che si ascolta soltanto in famiglia, perché è stato consegnato ai genitori e a nessun altro in modo così incisivo ed efficace. Lo si può sentire anche fuori casa, ma non con quella vibrazione, che attinge la sua forza nel sacramento del matrimonio che fa della famiglia il luogo della comunione, della condivisione, dell’accoglienza, della realizzazione personale. Così che la vita stessa dei genitori è per i figli annuncio e proposta. L’annuncio dell’amore nasce dalla loro armonia coniugale, ed è segno di quell’unità che è in Dio. Il primo nucleo dove il figlio sperimenta la gioia di una vita nella fede e l’esperienza di Dio come Padre amorevole dovrebbe essere l’ambiente familiare, dove si forma la sua coscienza, il suo carattere e la sua attitudine di fronte alla vita. Papa Francesco su questo punto con premura e attenzione dice:

“I genitori incidono sempre sullo sviluppo morale dei loro figli, in bene e in male. Di conseguenza, la cosa migliore è che accettino questa responsabilità inevitabile e la realizzino in maniera cosciente, entusiasta, ragionevole e appropriata. Poiché questa funzione educativa delle famiglie è così importante ed è diventata molto complessa, desidero trattenermi in modo speciale su questo punto”. (AL, 259)

Ma queste parole il papa le rivolge a tutti nella comunità cristiana, in particolare quelli che hanno la responsabilità di guidare: pastori, catechisti e genitori. Questi ultimi hanno il compito di far scoprire ai loro figli la via della fede, la bellezza del vangelo: ma quante volte si perdono nei sentieri della vanità, non hanno il coraggio di incamminarsi nelle vie del vangelo e impediscono di fatto ai loro figli di entrarci? Dunque non basta in maniera ammonitiva ricordare ai genitori sposi cristiani che essi hanno il compito di educare i figli, questo è vero in teoria purtroppo ma la domanda è: gli sposi hanno gli strumenti per educare? E la comunità cristiana come sostiene i genitori affinchè assumano degnamente questa responsabilità educativa? Il Papa ponendo ai genitori la domanda in senso esistenziale: “dove sono i vostri figli?”, richiama ad una responsabilità formativa. Oggi i genitori sono assaliti dall’ossessione di sapere (fisicamente) dove sono i loro figli, quando invece ricorda Francesco che l’obiettivo educativo:

“è generare nel figlio, con molto amore, processi di maturazione della sua libertà, di preparazione, di crescita integrale, di coltivazione dell’autentica autonomia. Solo così quel figlio avrà in sé stesso gli elementi di cui ha bisogno per sapersi difendere e per agire con intelligenza e accortezza in circostanze difficili” (AL, 261)

Questo impegna i genitori in un progetto educativo che li vede come protagonisti perché non si può educare alle virtù facendo una lezione sulle virtù, quanto piuttosto testimoniando. Quello della testimonianza è un capitolo importante dell’educazione. Il Papa richiama il valore della testimonianza con queste parole dicendo:

“Anche se i genitori hanno bisogno della scuola per assicurare un’istruzione di base ai propri figli, non possono mai delegare completamente la loro formazione morale. Lo sviluppo affettivo ed etico di una persona richiede un’esperienza fondamentale: credere che i propri genitori sono degni di fiducia. Questo costituisce una responsabilità educativa: con l’affetto e la testimonianza generare fiducia nei figli, ispirare in essi un amorevole rispetto”. (AL, 263)

Se i genitori vivono la loro fede, se non sono bigotti, devozionali, religiosi facsimili, se si raccontano ai figli con la vita di tutti i giorni, mostrano i frutti del loro incontro personale e vivo con la persona di Gesù Cristo, allora i genitori non solo dicono la fede ma ne diventano testimoni credibili e perciò stesso abili educatori alla fede in quanto mentre sperimentano per se stessi, educano. Genitori così non trasmettono una parola sterile, non fanno sermoni inutili ma seminano nel cuore dei figli una parola piena di verità e di vita.

Inoltre Papa Francesco, mentre richiama alla responsabilità, non perde occasione per far sentire la sua vicinanza e il suo accompagnamento. Ricorda perciò ai genitori di porre attenzione all’educazione morale, ma questa deve avvenire a piccoli passi, misurati sulla capacità di quanti ne può compiere il figlio.

“Quando si propongono i valori, bisogna procedere a poco a poco, progredire in modi diversi a seconda dell’età e delle possibilità concrete delle persone, senza pretendere di applicare metodologie rigide e immutabili”. (AL 273)

Questo è il tempo dei genitori, non lasciamo spazio al disorientamento. Alcuni genitori si domandano e mi domandano se forse sono loro a non aver capito, forse davvero ci deve essere spazio per tutto e tutti l’importante è che c’è l’amore… Attenzione, l’amore ha delle esigenze, delle caratteristiche, altrimenti è una contraffazione, è puro sentimentalismo e filantropia. Piuttosto che stare dietro all’una e all’altra teoria, riscopriamo le ragioni della nostra fede, non abdichiamo al nostro ruolo educativo perché questo se ben vissuto porta frutti. Non teniamo il contraddittorio con i nostri figli, impastati di una cultura disumanizzata in cui le mode, le teorie, come per esempio il gender, fanno danni a volte duraturi. Proviamo a rivestire i nostri figli perché non abbiano bisogno di andare a comprare altri vestiti di idoli, perché sono rivestiti dell’ideale che non passa. Questo è un compito molto difficile e non sempre la nostra pastorale è stata pronta a dare risposte adeguate.

“Il Concilio Vaticano II prospettava la necessità di «una positiva e prudente educazione sessuale» che raggiungesse i bambini e gli adolescenti «man mano che cresce la loro età» e «tenuto conto del progresso della psicologia, della pedagogia e della didattica». Dovremmo domandarci se le nostre istituzioni educative hanno assunto questa sfida”. (AL, 280)

E più avanti il papa si domanda e domanda:

“Ma chi parla oggi di queste cose? Chi è capace di prendere sul serio i giovani? Chi li aiuta a prepararsi seriamente per un amore grande e generoso? Si prende troppo alla leggera l’educazione sessuale”. (AL, 284)

La pastorale familiare non può fare a meno di creare delle occasioni di formazione e di accompagnamento dei genitori nel loro insostituibile compito educativo. Scrive il Papa:

“Pertanto, «si abbia cura di valorizzare le coppie, le madri e i padri, come soggetti attivi della catechesi […]. È di grande aiuto la catechesi familiare, in quanto metodo efficace per formare i giovani genitori e per renderli consapevoli della loro missione come evangelizzatori della propria famiglia». (AL, 287)

E nello stesso punto aveva detto:

«è bello quando le mamme insegnano ai figli piccoli a mandare un bacio a Gesù o alla Vergine. Quanta tenerezza c’è in quel gesto! In quel momento il cuore dei bambini si trasforma in spazio di preghiera». …. Il granello di senape, seme tanto piccolo, diventa un grande arbusto (cfr Mt 13,31-32), e così riconosciamo la sproporzione tra l’azione e il suo effetto. Allora sappiamo che non siamo padroni del dono ma suoi amministratori premurosi. Tuttavia il nostro impegno creativo è un contributo che ci permette di collaborare con l’iniziativa di Dio.

I figli che crescono in famiglie missionarie spesso diventano missionari, i figli che vedono in maniera concreta che per i loro genitori la preghiera è realmente importante, imparano a pregare. Certo non esistono ricette preconfezionate e di sicura riuscita ma dice il Papa:

“L’esercizio di trasmettere ai figli la fede, nel senso di facilitare la sua espressione e la sua crescita, permette che la famiglia diventi evangelizzatrice, e che spontaneamente inizi a trasmetterla a tutti coloro che le si accostano, anche al di fuori dello stesso ambiente familiare”. (AL, 289).

È questo il contributo delle famiglie alla nuova evangelizzazione e al contempo il servizio pastorale delle famiglie alle famiglie, perché la testimonianza della fede riguarda i genitori verso i figli, ma anche delle famiglie verso altre famiglie.

Una scelta pastorale per far crescere il desiderio della vita buona, della vita virtuosa potrebbe essere quella di valorizzare i santi: modelli di famiglie che hanno fatto del Vangelo il loro stile educativo. Alla Veglia inaugurale del Sinodo ordinario del 2015, Papa Francesco ha proposto il modello della famiglia di Nazaret e lo riprende in AL riprendendo Paolo VI, il Papa dice:

“Nazaret ci ricordi che cos’è la famiglia, cos’è la comunione di amore, la sua bellezza austera e semplice, il suo carattere sacro e inviolabile; ci faccia vedere come è dolce ed insostituibile l’educazione in famiglia, ci insegni la sua funzione naturale nell’ordine sociale” (Paolo VI, Discorso a Nazaret, 5 gennaio 1964)». (AL, 66).

Il Papa ricorda come questo modello abbia ispirato molti santi tra cui cita Santa Teresa del Gesù Bambino. (AL, 65). Non è perciò un caso che nel corso del Sinodo lo stesso Francesco il 18 ottobre 2015, ha voluto canonizzare una coppia di sposi, Luigi e Zelia Martin, innalzata agli onori degli altari proprio pe raver vissuto la relazione coniugale e familiare. Questi sposi e genitori di Santa Teresa del Gesù Bambino, di cui la sorella Celina diceva “i miei incomparabili genitori più degni del cielo che della terra”.

b. Accompagnare, affinando il cuore

Amoris Laetitia ci indica, poi, una seconda via pastorale rappresentata dal verbo, accompagnare. Il Papa non chiede di presentare il sacramento del matrimonio in una versione riduttiva chiede di accompagnare.

La pastorale ha il compito di farsi accanto, come ha fatto Gesù sulla via di Emmaus. Quei discepoli avevano scelto la strada sbagliata eppure Gesù si è posto sulla loro strada, senza pretendere subito di riportarli a Gerusalemme. Ha ascoltato il loro racconto e poi ha annunciato il kerigma della croce; e poi ha spiegato le Scritture, tutto quello che si riferiva a Lui … pastorale significa mostrare il volto del buon Pastore che cerca le sue pecore, una ad una.

Così nel sesto capitolo, il Pontefice elenca alcuni ambiti pastorali necessari per accompagnare la costruzione di famiglie solide e feconde secondo il piano di Dio. Il Papa valorizza la Chiesa locale e subito chiarisce che le sue sono solo indicazioni.

Ribadisce che le famiglie sono soggetto, e non soltanto oggetto, di evangelizzazione. Rileva: «che ai ministri ordinati manca spesso una formazione adeguata per trattare i complessi problemi attuali delle famiglie». (AL, 202).

Il Papa affronta il tema del guidare i fidanzati nel cammino di preparazione al matrimonio, dell’accompagnare gli sposi nei primi anni della vita matrimoniale, ma anche in alcune situazioni complesse e nelle crisi della quotidianità della vita coniugale e familiare e ordinaria e presenta alcune vie di avvicinamento (cfr da AL, 205 a AL, 258). Infine parla anche delle situazioni in cui la morte pianta il suo pungiglione sapendo che: «ogni crisi nasconde una buona notizia che occorre saper ascoltare affinando l’udito del cuore» (AL, 232).

Il Papa suggerisce una serie di attenzioni pastorali che favoriscono l’accompagnamento e la vicinanza.

“È vero che molte coppie di sposi spariscono dalla comunità cristiana dopo il matrimonio, ma tante volte sprechiamo alcune occasioni in cui tornano a farsi presenti, dove potremmo riproporre loro in modo attraente l’ideale del matrimonio cristiano e avvicinarli a spazi di accompagnamento: mi riferisco, per esempio, al Battesimo di un figlio, alla prima Comunione, o quando partecipano ad un funerale o al matrimonio di un parente o di un amico. Quasi tutti i coniugi riappaiono in queste occasioni, che potrebbero essere meglio valorizzate. Un’altra via di avvicinamento è la benedizione delle case, o la visita di un’immagine della Vergine, che offrono l’occasione di sviluppare un dialogo pastorale sulla situazione della famiglia. Può anche essere utile affidare a coppie più adulte il compito di seguire coppie più recenti del proprio vicinato, per incontrarle, seguirle nei loro inizi e proporre loro un percorso di crescita. Con il ritmo della vita attuale, la maggior parte degli sposi non saranno disposti a riunioni frequenti, e non possiamo ridurci a una pastorale di piccole élites. Oggi la pastorale familiare dev’essere essenzialmente missionaria, in uscita, in prossimità, piuttosto che ridursi ad essere una fabbrica di corsi ai quali pochi assistono”. (AL, 230)

Inserisce qui per completezza, nel sesto capitolo, l’accompagnamento delle persone abbandonate, separate o divorziate. Ma è nell’VIII capitolo che mentre conferma l’accompagnamento come la modalità della Chiesa di prendersi cura dei suoi figli, la definisce puntualmente con l’obiettivo di includere misericordiosamente le fragilità in vista del ritorno al vincolo. Papa Francesco nel capitolo VIII dice:

“Benché sempre proponga la perfezione e inviti a una risposta più piena a Dio, «la Chiesa deve accompagnare con attenzione e premura i suoi figli più fragili, segnati dall’amore ferito e smarrito, ridonando fiducia e speranza, come la luce del faro di un porto o di una fiaccola portata in mezzo alla gente per illuminare coloro che hanno smarrito la rotta o si trovano in mezzo alla tempesta». Non dimentichiamo che spesso il lavoro della Chiesa assomiglia a quello di un ospedale da campo”. (AL, 291)

Papa Francesco ci invita a sviluppare una “pastorale del vincolo” (AL, 211) come chiave per tutta la pastorale familiare. Siamo chiamati ad accompagnare chi si prepara al matrimonio e a fortificare le famiglie nella loro vocazione e pertanto questa pastorale del vincolo indissolubile è la chiave per comprendere il cammino d’integrazione delle persone di cui si parla al capitolo VIII. La sfida consiste nello sviluppare creativamente pratiche concrete di accompagnamento che permettano di rigenerare il desiderio di questi nostri fratelli per condurli di nuovo alla vita piena di Gesù, in consonanza con i sette sacramenti.

Ogni cammino, ogni discernimento – tutto il capitolo VIII – ha una meta unitaria perché la Chiesa non può dar meno della grandezza della vita di Gesù. Non si contenta di meno, sarebbe indegno della Chiesa perché indegno del Vangelo che ha ricevuto da Dio. Allora con tutta la pazienza, con tutti i piccoli passi che bisognerà sviluppare ma la meta è certamente vivere in accordo con il vincolo, vivere in accordo con questo per sempre che Dio ci ha donato come un dono.

Qui allora per evitare di cadere nella dialettica di analizzare caso per caso e che papa Francesco chiama la casistica insopportabile, cerchiamo di evidenziare gli atteggiamenti fondamentali da sviluppare nei rapporti di accompagnamento che ha come metodo la misericordia.

Nella nostra introduzione ci siamo preoccupati di precisare come fa anche l’Esortazione, di non creare antagonismo tra la dottrina e la misericordia perché questo ci porterebbe a non comprendere l’atteggiamento di accompagnamento che desidera il Papa. Se guardiamo a Cristo e a quali sono stati i suoi atteggiamenti, le parole fondamentali in Gesù, vediamo che in Lui c’è una stretta unità tra misericordia e radicalità evangelica. È lo stesso Gesù che definisce il ripudiare e risposarsi, un adulterio e che offre la sua misericordia alla donna adultera (cfr Gv 8, 1-11). È lo stesso Gesù che dice alla samaritana che l’uomo con cui lei vive non è suo marito e le offre l’acqua viva che le consentirà di convertirsi e di scoprire la gioia del regno (cfr Gv 4, 1-30). Per capire questa unità che c’è in Gesù tra la sua misericordia e la radicalità del suo annuncio evangelico, bisogna riconoscere e accettare che uno dei punti fondamentali è il carattere incondizionato dell’offerta della misericordia.

Nel suo intervento al Seminario “Quale Pastorale dopo Amoris Laetitia?”, già citato, il Prof. Denis BIJU-DUVAL, preside dell’Istituto Pastorale Redemptor hominis, ha ricordato che esiste anche una teologia delle parole che Gesù non ha detto e che possiamo applicare per esempio all’episodio della samaritana. Qui Gesù non le ha detto: “Vorrei tanto da darti dell’acqua viva ma devi prima separarti da quell’uomo che non è tuo marito e poi ti parlerò dell’acqua viva”, ma inizia con un annuncio incondizionato dell’acqua viva e proprio quest’annuncio ha reso possibile per questa donna capire la sua condizione, il suo stato e questo le ha reso possibile la conversione. Gli esegeti sono concordi nel ritenere che l’espressione dell’evangelista “la donna lascia la sua brocca” per tornare al villaggio, sia un’espressione simbolica della sua conversione. Osserviamo lo stesso con Zaccheo: Gesù si invita a casa sua ed è proprio questo invito che rende possibile a Zaccheo la conversione e la riparazione sovrabbondante dei suoi peccati (cfr Lc 19, 1-10).

San Giovanni Paolo II nella Dives Misericordia al n. 4 ripreso da Papa Francesco in AL 64 dice: “che il vero significato della misericordia indica il ristabilimento dell’Alleanza”. Dunque la misericordia è in rapporto profondissimo con la radicalità evangelica. Se la misericordia è annunciata a tutti, deve raggiungere tutti senza condizione. Questo significa che chi esercita l’accompagnamento, partecipa a questo sguardo desideroso della misericordia per tutti e deve sviluppare un atteggiamento di profonda speranza sulle persone.

Usare misericordia insomma non significa usare due pesi e due misure per cui ci sono situazioni in cui date le grandi difficoltà e disagi allora si concede per misericordia una sorta di versione alleggerita della radicalità evangelica. Il rispetto e la dignità per ciascuna persone chiede che ad ognuno venga proposto un cammino di santità che ha come meta la pienezza della comunione con Cristo. È questo lo sguardo di speranza di chi accompagna e questo non perché si reputa che ciascuno ne sia capace da solo, ma perché questo cammino lo si fa per attrazione. Ed è l’amore di Cristo, la comunione con Lui che attrae.

La misericordia è l’esperienza sperimentata in particolare dalle persone che sono in uno stato di incapacità di santità, questo è il peccato, una incapacità di santità e allora è pensabile che delle persone restino per sempre in una condizione di incapacità di santità? Certamente no. Ed è allora in questa la cornice che va giustamente collocata l’esortazione di Papa Francesco:

“si deve aiutare ciascuno a trovare il proprio modo di partecipare alla comunità ecclesiale, perché si senta oggetto di una misericordia “immeritata, incondizionata e gratuita”. Nessuno può essere condannato per sempre, perché questa non è la logica del Vangelo! Non mi riferisco solo ai divorziati che vivono una nuova unione, ma a tutti, in qualunque situazione si trovino”. (AL, 297)

  1. Discernere dialogando con il Buon Pastore

Èimportante per noi operatori fare in modo che tutti sentano la sete di Dio per la salvezza delle nostre anime, in qualunque stato vita si trovino. Questa è la ragione dell’impegno pastorale della Chiesa: creare le condizioni per ricondurre tutti a Dio.

L’ultima via pastorale che riceviamo da Amoris Laetitia è il verbo discernere. Si tratta di realizzare una azione pastorale non piùrigida e cristallizzata, ma che a partire da una autentica e immutabile dottrina e in ascolto delle diverse esigenze sappia educare, accompagnare e discernere il cammino da percorrere per raggiungere la meta. La nostra pastorale è sempre più missionaria e di evangelizzazione perciò è chiamata a discernere le situazioni ma anche a individuare e proporre i percorsi più adatti perché ciascuno possa trovare il proprio posto in mezzo al popolo di Dio.

Rispetto a questo obiettivo, la consegna di Amoris laetitia è chiara: far sì che l’annuncio del Vangelo non sia teorico o svincolato dalla vita reale delle persone. Il Vangelo deve essere significativo e deve raggiungere tutti. Per parlare della famiglia e alle famiglie, il problema non è quello di cambiare la dottrina, ma di inculturare i princìpi generali affinché possano essere compresi e praticati. Il nostro linguaggio deve incoraggiare e confortare ogni passo di ogni famiglia reale. Il monito di ricordare che il tempo è superiore allo spazio lo possiamo allora comprendere in questa cornice:

“ricordando che il tempo è superiore allo spazio, desidero ribadire che non tutte le discussioni dottrinali, morali o pastorali devono essere risolte con interventi del magistero”. (AL, 3)

Agli sposi che dopo essersi allontanati desiderano ritornare, cosa si offre? Ecco la domanda che chiede discernimento. Dice il Papa:

«Il discernimento dei Pastori deve sempre farsi “distinguendo adeguatamente”, con uno sguardo che discerna bene le situazioni. Sappiamo che non esistono “semplici ricette”»(AL, 298)

Spesso Papa Francesco — seguendo i suoi predecessori — chiede che i pastori facciano discernimento tra le diverse situazioni vissute dal popolo fedele e da tutta la gente, dalle famiglie, dalle persone. Questo discernimento non è utile soltanto quando si presenta un caso eccezionale o «irregolare». Il Papa ci ricorda, proprio alla fine dell’Esortazione chiede:

“di non «giudicare con durezza coloro che vivono in condizioni di grande fragilità» e che «tutti siamo chiamati a tenere viva la tensione verso qualcosa che va oltre noi stessi e i nostri limiti» . (AL, 325)

Il discernimento inteso e chiesto da Papa Francesco non potrà mai prescindere dalle esigenze di verità e carità evangelica proposte dalla Chiesa. Non esiste insomma una doppia verità, Dio non dice una cosa nella rivelazione e un’altra cosa per questa o quella situazione, propone sempre il suo amore sproporzionato, incondizionato, smisurato perché amore totale sulla croce. Dunque il discernimento è un costante processo di apertura alla Parola di Dio per illuminare la realtà concreta di ogni vita: un processo che ci porta a essere docili allo Spirito, che incoraggia ciascuno di noi ad agire con amore, nella situazione concreta e nella misura del possibile, e ci spinge a crescere di bene in meglio.

Il discernimento – scrive il gesuita, teologo Antonio Spadaro, attuale direttore della rivista La Civiltà Cattolica – è il dialogo dei pastori con il Buon Pastore al fine di cercare sempre la salvezza delle pecore. Questo si traduce nell’obbligo dei pastori a discernere bene le situazioni (cfr FC 84 e SC 29). Scrive Papa Francesco:

“Nelle difficili situazioni che vivono le persone più bisognose, la Chiesa deve avere una cura speciale per comprendere, consolare, integrare, evitando di imporre loro una serie di norme come se fossero delle pietre, ottenendo con ciò l’effetto di farle sentire giudicate e abbandonate proprio da quella Madre che è chiamata a portare loro la misericordia di Dio. In tal modo, invece di offrire la forza risanatrice della grazia e la luce del Vangelo, alcuni vogliono “indottrinare” il Vangelo, trasformarlo in «pietre morte da scagliare contro gli altri»”. (AL, 49)

Queste pietre non si riferiscono forse a quelle preparate dai farisei per lapidare la donna adultera. Ma sappiamo come si conclude l’episodio evangelico con quel “va e non peccare più” (cfr Gv 8, 11). Dunque se è sempre ingiusto caricare un fardello sproporzionato su chi ancora non è reso capace di portarlo è sempre importante invece ricordare che Gesù ci parla del suo giogo e del suo fardello che è dolce e leggero.

Qui è importante, ricorda il Prof. Denis BIJU-DUVAL, nel citato seminario, che un certo farisaismo cattolico potrebbe nuocere a quelle persone più fragili quando non viene presa in considerazione la necessità di un cammino di crescita. Fare discernimento in questo caso significa che la soluzione non consiste nel relativizzare la radicalità della chiamata, non consiste in uno sconto sul fardello ma significa proporre Cristo come Colui che porterà il fardello insieme alla persona, questo rende il fardello leggero e il giogo dolce, Cristo attualizza la sua croce e il suo sangue versato. Allora il discernimento a cui il Papa fa riferimento è plasmato dalle «esigenze di verità e di carità del Vangelo proposte dalla Chiesa» (AL 300). Egli afferma che:

“bisogna incoraggiare la maturazione di una coscienza illuminata, formata e accompagnata dal discernimento responsabile e serio del Pastore, e proporre una sempre maggiore fiducia nella grazia” (AL, 303)

Il discernimento può portare a:

“riconoscere non solo che una situazione non risponde obiettivamente alla proposta generale del Vangelo; può anche riconoscere con sincerità e onestà ciò che per il momento è la risposta generosa che si può offrire a Dio, e scoprire con una certa sicurezza morale che quella è la donazione che Dio stesso sta richiedendo in mezzo alla complessità concreta dei limiti, benché non sia ancora pienamente l’ideale oggettivo» (AL, 303).

Questo passaggio dell’Esortazione non deve essere interpretato secondo la cosiddetta “gradualità della legge” secondo cui si assume la propria debolezza come criterio per stabilire che cosa è bene e che cosa è male. Piuttosto si afferma una «legge della gradualità», cioè una progressività nel conoscere, nel desiderare e nel fare il bene: e nel fare il bene possibile, non quello perfetto o astratto. L’autentica legge di gradualità non consiste dunque nella diminuzione della radicalità evangelica ma nell’attuazione della vittoria di Cristo, della vittoria del suo amore che raggiunge le persone attraverso la carità ecclesiale, la carità di chi svolge il servizio di accompagnamento. Un rifiuto dunque categorico della gradualità della legge che invece reputa le persone non capaci, mentre l’affermazione della legge della gradualità esalta la capacità delle persone di essere sempre più attratte dal bene e di compierlo.

Infine la gradualità di cui parla il Papa, in continuità con i suoi predecessori, non si può affatto confondere con il relativismo. Così si esprime il Pontefice, rifacendosi al n. 44 dell’Evangelii gaudium:

“Senza sminuire il valore dell’ideale evangelico, bisogna accompagnare con misericordia e pazienza le possibili tappe di crescita delle persone che si vanno costruendo giorno per giorno”, lasciando spazio alla misericordia del Signore che ci stimola a fare il bene possibile” (AL 308) . Per questo non cade nella «gradualità della legge» (AL 295; cfr AL 300).

Conclusione

In conclusione speriamo di aver motivato e in qualche modo strutturato il desiderio diocesano di rispondere all’invito del Papa che dice:

“Saranno le diverse comunità a dover elaborare proposte più pratiche ed efficaci, che tengano conto sia degli insegnamenti della Chiesa sia dei bisogni e delle sfide locali”. (AL 199).

Tutto questo è ora affidato alle chiese locali, che recuperando l’esperienza dei tavoli di discussione del Convegno di Firenze ed il carattere di sinodalità sperimentato in questi anni, devono attivarsi per creare dei luoghi di approfondimento in cui rafforzare il confronto tra i diversi attori della pastorale familiare. Una raccomandazione: è necessario non dimenticare nessun attore: ai tavoli di confronto e di programmazione è necessario che ci siano famiglie con disabilità, sposi vedovi, sposi fedeli, i divorziati in nuove unioni, coniugi, fidanzati, i vergini consacrati per favorire la reciprocità….perché siano accolte le diverse sensibilità e le diverse problematiche.

L’Esortazione di Papa Francesco traccia una via, antica e nuova: da una parte si inserisce nel solco del cammino voluto da Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI; e dall’altra offre prospettive nuove sul piano del metodo ma anche dei contenuti. Una novità che non può essere sbrigativamente ed esclusivamente cercata nella questione degli sposi divorziati. È tutta la pastorale familiare che deve essere plasmata da un nuovo stile, da una passione nuova. Come Chiesa sentiamo tutta l’importanza di questo tema ma ci sentiamo anche inadeguati. Non siamo pronti, non abbiamo tutti i collaboratori che servono, non abbiamo tanti collaboratori preparati. Ma siamo qui, Dio si serve di noi. E chiede a noi sposi di essere più coraggiosi e più disponibili. La nostra parte, dentro questa grande e bella famiglia che è la Chiesa, non è marginale.

[1] CEI, Rinnovamento della catechesi, 151

[2] Giovanni Paolo II, Familiaris consortio, 38.

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