Immaginiamo di salire su un elicottero e fotografare il paesaggio del mondo giovanile, per catturare i particolari di questa ultima generazione o prima generazione incredula. La prima impressionante visione è quella di parrocchie che si svuotano, mentre la Chiesa offre diverse forme di cristianesimo, misticheggianti fatta di gente che parla con tutti gli abitanti del paradiso, allegre ed euforiche, depressive e noiose[1] da “salga da questo altar”. Parrocchie dei centri storici dove si respira continuamente aria da funerale e incenso a go go. Gli oratori, parlano solo ai più piccoli, i quali nell’età adolescente si convincono che quella esperienza non li riguardi più, se non attraverso forme di servizio alle piccole leve, ma ancora confusi e lontani da una eventuale e significativa adesione alla fede.
La fede cristiana si è opacizzata e non è una questione di crisi del linguaggio “basti pensare all’ultima traduzione dei lezionari”. La crisi è ontologica e riguarda la grande promessa del cristianesimo, promessa della vita eterna, e della garanzia di quella ricerca di felicità che abita nel cuore di ciascuno. E così le nuove generazioni, hanno imparato a cavarsela senza Dio senza la fede, senza la Chiesa. Il giovane manca di antenne per rintracciare Dio, la sua presenza. Così sposta la sua attenzione su altro e altrove perché non siamo più interessanti.
Oggi quindi è in crisi la trasmissione della fede che prima avveniva in casa tra le mura domestiche mentre si veniva allattati o si restava ad ascoltare i nonni. Si nasceva cristiani e poi si veniva consegnati alla comunità parrocchiale per consolidare la fede e predisporre l’esercizio nella liturgia nelle opere di carità, nella testimonianza pubblica nell’impegno per il bene comune.
Ma oggi ci troviamo di fronte ad una Generazione senza Dio senza Chiesa senza fede, non nata per caso, come un fungo; sono quei ragazzi e fanciulli che nessuno ha aiutato a sviluppare nel cuore antenne per Dio. Nessuno ha testimoniato ad essi la bellezza e la forza della fede.
Ci troviamo di fronte ad un cambiamento, che ci mette “fortunatamente” in crisi perché ci pone di fronte ad un bivio necessario per la nostra comunitaria e personale conversione: tornare al sacro nascondendoci tra le nubi dell’incenso, oppure perdere ogni sicurezza e uscire fuori allo scoperto, mettendo in conto la possibilità di essere feriti nel cercare la pecorella smarrita. Il vangelo non lo dice ma possiamo immaginarlo. Quando il pastore si è messo la pecorella sulle spalle per tornare a casa chissà quanti calci avrà preso, sarebbe stato più facile trascinarla mettendole una corda al collo; ma le nuove generazioni non vogliono collari guinzagli e museruole, non amano le regole strette non amano essere costretti ma accompagnati, non amano tornare al passato non vogliono voltarsi indietro, perché sanno bene, anche se non l’hanno mai letta, la storia della moglie di Lot. La portano innata, non vogliono fare la sua fine, trasformata in una statua di sale perché si è voltata indietro. Sentono dentro una esplosione di novità e creatività che spesso è soffocata dalla invadente presenza di quegli adulti che non vogliono subire la naturale sorte dei dinosauri … l’estinzione. E così la chiesa in Italia rispecchia il mondo del lavoro il mondo della politica, e mentre tutto invecchia nessuno ha il coraggio di dire che se non puntiamo sui giovani sulle nuove generazione, tra qualche anno sarà la chiesa in Italia ad estinguersi a partire dalle più piccole comunità parrocchiali.
Perciò senza pessimismo – parola non evangelica – ma pieni dello Spirito che guida fuori, fino agli estremi confini della terra, dobbiamo visitare quei confini proibiti, quei terreni scomodi che non ci appartengono più, solo per paura, perché mentre altri hanno conquistato ciò che ci apparteneva noi abbiamo preferito preoccuparci dei percorsi delle processione del santo e se sia ancora giusto celebrare la santa messa dando le spalle al popolo.
A noi è stato dato il dono della profezia, per leggere i segni dei tempi, di questi tempi che impropriamente definisco “i tempi dell’arena” dove si sacrifica il bello della fede per compromessi storici che i giovani con il loro grido denunciano continuamente. Sono essi i segni dei tempi, giovani con l’iscrizione prolungata all’università, con la paura di un futuro sempre più incerto o già occupato dai dinosauri di prima. Giovani dalle levate pomeridiane, dagli aperitivi domenicali prolungati, che vivono la domenica come Giorno del dio riposo. Giovani alla ricerca di senso che spesso affogano, organizzando eventi, feste fino all’alba. Giovani che non sentendosi accolti si costruiscono una società parallela, fatta di regole e linguaggi nuovi da vivere esclusivamente di notte, dove non ci sono gli adulti. I giovani hanno un forte senso del sacro, dell’infinito, che non ha ne voce ne forma. Cercano il silenzio, quando devono prendere decisioni, cercano confronto quando si trovano di fronte ad un bivio, ma desiderano consigli non regole, amano confrontarsi ma non assoggettarsi e così a causa della nostra presunzione di avere ricette e risposte – se siamo fortunati – vengono da noi solamente per chiedere sacramenti come se la chiesa fosse una grande stazione di servizio, un AUTOGRILL del sacro. Al peggio vanno alla ricerca di pratiche newagen e altre forme di meditazioni orientaleggianti, che rubano a noi quello che da sempre è nostro, basti pensare alle regole della meditazione e della contemplazione dei padri del deserto o agli esercizi spirituali di Sant’Ignazio.
La missione è ardua, e da non prendere sottogamba. Innanzi tutto bisogna risanare la frattura che ha separato giovani ed adulti ma su terreni neutrali, quindi in prima istanza non nella chiesa nella parrocchia ma nella loro vita; è necessario quindi passare da un modello di chiesa e del suo agire cronologico (battesimo comunione, cresima, matrimonio, qualche funzione religiosa e funerale). Ad uno di tipo Kairologico (creare occasioni per: credenti, credenti non praticanti, atei, atei anonimi, atei devoti, agnostici, ricercatori di Dio, indifferenti, ricomincianti). Occasioni per chiunque: per l’ultimo arrivato o per chi è arrivato ultimo (nella vita, nel lavoro, nei suoi sogni) perché anch’egli avverta che c’è posto per lui. Perché anche all’ultimo e forse proprio al più giovane Dio suggerisce la soluzione migliore.
Si tratta però di andarli a cercare lì dove vivono perché da noi non verranno per dare senso alla loro vita, quindi dobbiamo portare il senso della vita, Gesù, lì dove stanno. Questa è la nostra missione, e se non faremo questo il resto sarà inutile.
– don Fabrizio Caucci
[1]M. Armando, la prima generazione incredula. Il difficile rapporto tra i giovani e la fede, Ed. Rubbettino.