De Palo Gianluigi e Anna Chiara
Forum Nazionale delle Associazioni familiari
19 giugno 2017
Oggi, nelle nostre vite è difficile leggere un’Esortazione. Tra i bambini, la scuola, la spesa, il lavoro, la vita frenetica. Rubare il tempo al mondo non è mai facile. Questa esortazione è anche divertente e come ha detto Papa Francesco va letta con calma, più volte, assaporandola piano piano. Sembra scritta da uno di noi. Da un marito o da una moglie. Da una famiglia che quotidianamente vive queste esperienze, non da un Papa. Anche i riferimenti evangelici che propone vengono declinati alla luce di un quotidiano.
Potremmo raccontarvi di quanto ci hanno colpito i capitoli dedicati ai problemi concreti delle famiglie. Al tema della natalità, o alla bellezza della proposta dell’affido familiare, dell’adozione. Ma quello che ci ha compito maggiormente è stato il capitolo quarto, quello sull’amore nel matrimonio dove declina la prima lettera ai Corinzi, il celebre inno alla carità di San Paolo. Papa Francesco sembra, in questo capitolo, volerci dire che senza l’amore, senza Gesù Cristo che è quell’amore, senza la Grazia del matrimonio, non hanno senso le regole, la prospettive pastorali, le indicazioni sulla sessualità, la teoria, l’educazione dei figli e così via…Per questo vogliamo raccontarvi il profumo del pane che abbiamo sentito leggendo questi capitoli dell’esortazione, affinché si possa raccontare questa fragranza invitando le famiglie a mangiare questo pane. Un po’ come dovremmo fare raccontando il matrimonio: mostrandone la realtà, e quindi la bellezza, e non come un peso da sopportare tutta la vita.
Questa lettera di San Paolo Apostolo ai Corinzi, per noi, per la famiglia De Palo, è una piccola dolce persecuzione. Ha segnato e continua a segnare tanti momenti importanti della nostra vita. Questo brano è quello che abbiamo scelto come lettura il giorno del nostro matrimonio. Un grande classico, tra i più gettonati. Forse se la gioca con il brano della casa sulla roccia…Tanto utilizzato nei matrimoni, ma così difficile da vivere nel matrimonio. Allora lo scegliemmo perché era bello. Oggi lo sceglieremmo perché abbiamo sperimentato che è vero. Perché, qui ce lo possiamo dire: senza la carità, senza Gesù Cristo, i nostri matrimoni sarebbero finiti ormai da tempo. Almeno il nostro.
Sarebbe una indissolubilità legata più alla forza di volontà e all’impegno, che non la risposta quotidiana a qualcosa più grande di noi. Una sorta di sforzo da primi della classe piuttosto che la bellezza e la fatica di ritrovarci ad amare anche le nostre fragilità. E Dio solo sa quante sono queste fragilità. Una lezione da ripetere a memoria e da recitare davanti ad una telecamera invisibile invece che, come afferma più volte Papa Francesco, una Grazia che sana le ferite che ci facciamo ogni giorno, anche senza volerlo. Una lettera molto molto attuale che San Paolo potrebbe scrivere oggi anche per noi e dove chiarisce subito che l’Amore, la Carità è Dio. Dio è quell’Amore. Senza Dio Amore suoniamo a vuoto, senza frutto. Come viti spanate. Come le litanie stanche dei nostri precetti che senza quell’amore sono un rumore di sottofondo e non una melodia.
Papa Francesco spiega infatti che la parola Amore, oggi è tra le più abusate. A che serve tutto il nostro affannarci, il nostro spaccarci la schiena, la vita complicata che abbiamo, la parrocchia, la pastorale familiare, il Forum, le nostre associazioni se non c’è l’amore? L’amore lo puoi vedere solo se lo hai visto. L’amore di cui parla Paolo lo conosci solo se lo hai sperimentato, toccato, assaporato. Solo se sei stato amato a tua volta. Se siamo qui è perché qualcuno, a bocce ferme, gratuitamente, senza che lo meritassimo, senza aver fatto nulla, senza averlo chiesto, prima del fischio di inizio, ci ha amato. L’organizzazione perfetta delle nostre giornate, il lavoro, la casa, la scuola dei bambini, la puntualità al catechismo o allo sport, la partecipazione alla riunione di condominio, il gruppo famiglie e la preparazione delle giovani coppie al matrimonio, non sono niente se non c’è la comunione tra di noi.
Se lo facciamo per efficientismo…Ma dove prendiamo a piene mani quell’amore che ci spinge a darci in pasto, nelle nostre giornate, al marito e ai figli? Dove saccheggiamo quell’energia – e sappiamo che molti di voi, nelle vostre parrocchie lo fanno ogni giorno – che ci spinge ad impegnarci per i poveri, per le donne abbandonate, per i bambini che non nascono, per le coppie sole, per le famiglie sfasciate e per quelle che provano a nascere con tutte le difficoltà dell’oggi? Da qui abbiamo una visuale privilegiata e vediamo in questa sala tante famiglie che ogni giorno lavano i piedi agli ultimi, nel silenzio delle loro mura domestiche. Dove riempiamo la nostra borsa?
Quell’amore, nell’Amoris Laetitia è accennato più volte, non ce lo possiamo dare da soli, è un dono. Quell’amore è quello di cui parla San Paolo in questa lettera. Sì, per carità, possiamo avere tanti doni ma senza l’amore non valgono nulla. Possiamo essere intelligenti, belli, simpatici, ma senza l’amore i nostri doni non servono. Il vero tema non è essere convincenti, parlare della nostra famiglia perfetta, raccontare il forum come l’associazione più bella del mondo, le nostre parrocchie come realtà invidiate e invidiabili… No, l’interrogativo che pone Papa Francesco è un altro: ma io, questo amore ce l’ho o no? Tu, quell’amore lo hai conosciuto ne hai solo sentito parlare?
Te lo ricordi quel giorno in cui sei stato amato? Te lo ricordi quel fuoco vivo e quel desiderio di cielo che ancora oggi ti spinge a fare tutto quello che fai anche se non ce la fai? Il nostro nemico, soprattutto nella nostra famiglia è il pensiero falso di essere autosufficienti, di poter fare le cose da soli, di bastare a noi stessi, di fare le cose per le cose e non per l’altro. Perché non esistono strumenti che suonano per se stessi, ma il suo suono è per chi lo ascolta. Non serve fare, distribuire, donare, essere preso ad esempio, la coppia più bella della parrocchia e della diocesi se non hai quell’amore. E così l’amore non è più un merito ma una cosa che possono avere tutti, anzi che più sei imperfetto più la puoi avere.
Come ribadisce anche Papa Francesco nell’Amoris Laetitia: “Una persona sposata può vivere la carità in altissimo grado grazie alla vita fondata sui consigli evangelici. Pervenendo alla perfezione che scaturisce dalla carità e quella perfezione è accessibile ad ogni uomo”. Non dice: non serve avere i talenti, ma che non serve averli senza amore. Sì, si possono fare le cose più grandi del mondo senza, tuttavia muovere una virgola. Quante volte non manifestiamo il Dio che è dietro le nostre opere, ma solo le nostre opere. Quante volte pensiamo che per manifestare Dio nelle nostre opere ci sia bisogno di dirlo. Se dobbiamo dirlo, se ci serve la didascalia, c’è qualcosa che non va. Quante volte preferiamo il sottopancia con scritto cattolico invece di andare in giro con la faccia di Dio! Se hai il volto di Cristo il sottopancia non ti serve più, non lo legge nessuno. Sanno già chi sei non lo devono leggere.
La didascalia ci serve se non abbiamo amore nelle nostre opere. Trovatemi una parrocchia dove non ci sono iniziative, una diocesi dove non ci siano percorsi, convegni, gruppi, occasioni di riflessioni. Siamo pieni…Ma allora come mai ci lamentiamo tanto? Sono anni che ci lamentiamo. Avevamo i pantaloni corti: i giovani non si sposano, dopo il dopo cresima i giovani escono dalle nostre comunità… non si fanno più figli. Perché questo? Perché manca l’amore. Siamo efficientissimi, ma amiamo poco. Ma l’amore quello non si inventa, quello non si scimmiotta.
Per quello non serve il volantino fico per raccontarlo, quello si impone da sé. La famiglia è il luogo principale dove imparare questo perché è fondata sull’unione di due persone che hanno messo questo Amore alla base del loro legame reciproco. Due sconosciuti che si sono scelti e si sono detti un sì, folle, per tutta la vita. E niente è più didascalico di una famiglia che si ama nelle sue piccole grandi difficoltà. La carità si riconosce non si dice. Ma come è questo amore? È magnanimo. Paziente. Che non vuol dire che è capace di sopportare ogni cosa. Una sorta di Fantozzi che accetta tutto senza dire nulla. No, la magnanimità è la caratteristica di chi ha un animo grande. L’amore è paziente quando sa rinviare un’azione. Quando non agisce con aggressività. Papa Francesco dice che la pazienza sembra passiva, ma è sempre attiva. Essere magnanimi implica il non reagire con rapidità e rabbia quando mio marito mi risponde male o entra in salone con i sandali sporchi di fango dopo che ho passato la mattinata a ripulire casa.
Il non essere succube della prima reazione, quella epidermica, quella immediata. Quella che a me viene così facile. Il magnanimo guarda avanti, oltre l’offesa. Il magnanimo sa guardare oltre il singolo momento vedendo la positività di quello che accadrà. Il magnanimo rinuncia ad una risposta immediata per qualcosa di più grande. Sa lasciare cadere le cose secondarie. In tutti rapporti ci sono delle debolezze, delle difficoltà. Il magnanimo non le sottolinea, è paziente perché ha qualcosa di più alto che gli sta a cuore. È centrato sugli scopi nobili della vita, sulla vittoria della guerra, non sulle vittorie, delle piccole battaglie. Sulle meschinità momentanee che domani già non si ricordano più. Come quando litighiamo e poi, quando ne riparliamo nemmeno ci ricordiamo più il motivo del contendere! La magnanimità non è un atteggiamento umano, ma un dono. Un atteggiamento che viene da Dio. Questo amore è benevolo. Il benevolo tira fuori da ogni cosa il bene. Vede il bene in ogni cosa, non si sofferma sul male, è capace di portare frutto da ogni cosa. Essere benevoli è riuscire a crescere nelle piccole liti quotidiane. È trovare il gusto della ripetitività della quotidianità. È non iniziare a criticare la coppia di amici appena usciti da casa tua, spesso pure davanti ai propri figli. È non stare sempre a guardare la pagliuzza nell’occhio dell’altro. È capire, cito il Papa, che la logica dell’amore è l’umiltà. Non il potere, ma il servizio.
Anche la benevolenza non può essere frutto di uno sforzo umano. L’intuizione di un bene verso cui si cammina, il pensare sempre il proprio matrimonio come una storia di salvezza perché qualunque cosa succeda Dio trarrà il bene dal male. Se Dio è riuscito a trarre il bene da un delitto, dalla morte del figlio, allora riuscirà a farlo anche dal tuo matrimonio, dalle tue croci, dalla tua precarietà. Anche nelle difficoltà, quando litighi con tua moglie e tutto sembra compromesso. Perché, non so voi, ma le nostre sceneggiate sembrano sempre definitive. Il benevolo sa che, anche quello strappo, alla peggio, è un’occasione di preghiera più intima con il Signore. Non dice mai è finita. Anche con la più brutta litigata, quando volano i piatti, quando tutto ti sembra complicato, quando ti senti solo e abbandonato. Crocifisso al tuo dolore perché la persona che ami più su questa terra sembra essere diventata improvvisamente la persona più brutta del mondo. Il benevolo pensa che c’è sempre una soluzione, pensa che anche quella litigata porterà frutto. Sa bene che questo suo punto di vista non dipende da lui, ma è un dono del Signore. Sa bene che esiste l’onnipotenza di Dio. Sa bene che non è vero che la strada ormai è chiusa. Che il matrimonio è ormai finito, perché sono volate parole irrecuperabili. Perché l’amore di Dio sa trarre il bene anche dal male più grande.
Perché, rideclinando l’Inno alla Carità con le chiavi di lettura concrete di papa Francesco, se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la Carità, non comprenderei lo stesso mia moglie. Perché se anche avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, ma non avessi la Carità, mio marito resterebbe uno sconosciuto al mio fianco. Perché se anche buttassi tutti i giorni l’immondizia spontaneamente senza che lei me lo debba chiedere mille volte, ma non avessi la Carità, troveremmo altre occasioni di conflitto. Se anche cucinassi ogni giorno la coda alla vaccinara che tanto piace a mio marito, ma non avessi la Carità, non ci sarebbe sapore nelle nostre giornate. Se non avessimo messo al centro della nostra vita, con tante piccole fatiche quotidiane, la Carità, il nostro matrimonio sarebbe finito tornati dal viaggio di nozze perché abbiamo litigato ferocemente anche lì. E se avessi tutta la conoscenza, ma non avessi la carità di attendere che mia figlia impari a fare le divisioni con il tempo di cui ha bisogno, non sarei nulla. E se anche dessi tutto il mio tempo ad un lavoro che mette al centro gli altri, i più bisognosi e le famiglie che oggi hanno tanto bisogno di aiuti finanziari, ma non avessi la carità di accompagnare i miei figli a scuola la mattina e di guardare ogni tanto negli occhi mia moglie, a nulla mi servirebbe. Se anche ogni mattina non urlassi come una iena dietro i bambini perché è sempre troppo tardi, ma non avessi la Carità, non avrebbe senso arrivare puntuali.
È Gesù Cristo, la vera Carità, che ha cambiato e cambia ogni giorno la prospettiva.
È lui che ci asciuga le lacrime quando non ci comprendiamo e ci diciamo cose brutte.
È lui che ci fascia le ferite quando ci rinfacciamo il nostro passato, le nostre famiglie di origine tanto belle e tanto diverse.
È lui quando che ci sorride benevolo quando non riusciamo proprio a non litigare.
È lui che ci dona occhi nuovi capaci di vedere la bellezza e non la stanchezza in un lettone strapieno di bimbi quando la notte c’è stato il temporale.
È lui che ci dà la gioia liberante di non contare solo su noi stessi.
È lui quello che manca quando ascoltiamo amici che affrontano delle crisi familiari o coniugali, un orizzonte grande capace di ridare fiato e non essere concentrati sui difetti dell’altro, ma rallegrati dalla nostra piccolezza.
È lui l’autoironia misericordiosa e salvifica in una coppia…
È lui che ti apre orizzonti nuovi e ti mostra la bellezza di un prato sconfinato e fiorito sotto casa, mentre si è convinti di avere solo un balconcino stretto che affaccia sulla tangenziale trafficata…
È lui che fa nuovo ogni matrimonio e ogni famiglia, trasformando gli album di ricordi in una raccolta di immagini dove non si butta via niente, perché tutto ha una sua importanza, anche quei tre giorni ricoverati all’ospedale perché hai fatto cadere tuo figlio dal passeggino…
Tutti possiamo celebrare ogni giorno il nostro quotidiano inno alla carità. Addirittura noi, che ora siamo qui a fare questa riflessione. Addirittura noi che, un grande classico, abbiamo litigato anche mentre venivamo qui.