La grande chiesa di San Carlo, ad Isola del Liri, lunedì 8 settembre gremita di centinaia di persone che da ogni parte della diocesi stanno partecipando agli incontri della Scuola di Evangelizzazione. Dopo i primi due appuntamenti, incentrati sul contenuto della nostra fede, sul kerygma, l’annuncio, tenuti dal prof. Andrea Numini, l’attenzione verte ora sui destinatari di quell’annuncio. A chi parliamo? È questa la domanda che ogni partecipante alla missione si rivolgerà, per capire quella parte di umanità a cui è destinato quell’annuncio, affinché si ponga a condividere lo stesso linguaggio, a comprendere esperienze e problematiche che possano rendere il cuore fecondo alla Parola.
Nel discorso introduttivo di presentazione dell’incontro, mons. Gerardo Antonazzo ha parlato di due percorsi distinti. Il primo è il «vivo desiderio di accogliere, per noi prima di tutto: la Chiesa si riunisce per parlare di ciò che le appartiene, il dono più prezioso, la Grazia di una verità che si fa esperienza. Ciò che vale per noi può valere anche per gli altri». Il secondo «contiene la domanda A chi? I primi destinatari del kerygma siamo noi, poi vengono i nostri fratelli e sorelle. Il kerygma ha in sé la potenzialità del mistero perché riguarda Cristo. Sta a noi facilitare l’incontro tra i destinatari e il mistero».
Il Vescovo cita due testi da cui far partire la riflessione. Il primo è tratto dal capitolo 17 degli Atti degli Apostoli: la figura di riferimento è Paolo, predicatore nella colta Atene, che vive nell’idolatria. Inizialmente considerato un ciarlatano dai filosofi, Paolo mette nei loro orecchi “cose strane” di cui i pagani volevano sapere di più. Ma qui il grande apostolo commette un errore, quello che oggi sarebbe identificato come un errato approccio alla strategia comunicativa: parla del Dio ignoto a cui loro pregano pur senza conoscerlo, ma introduce un concetto nuovo, troppo assurdo per la loro cultura, quello della resurrezione. Il suo fallimento sta nel non tenere in conto quelli che sono i destinatari. Quando poi si reca a Corinto, Paolo cerca di capire di più a chi sta parlando. Il secondo testo è appunto la prima lettera ai Corinzi: nei primi due capitoli infatti ci viene mostrato come egli, consapevole dell’insuccesso del primo approccio, riconosce i destinatari e inizia la sua predicazione partendo dalla Croce. Questa volta raggiunge il suo obiettivo, far comprendere come la stoltezza della croce diventi mezzo di salvezza per gli uomini. Il messaggio della croce come potenza di Dio arriva ai destinatari. Paolo deve esserci di esempio: bisogna infatti «chiedersi a chi e conoscere le dinamiche in cui la persona vive, i suoi desideri, le speranze», solo così arriverà la «bellezza della verità del messaggio», che sia calato in chi ascolta. «Se ciò che annunciamo non entra nella storia della persona, non la ferisce, non si arriva a trasmettere l’annuncio, il kerygma».
L’approccio alla persona è partito così analizzando due diversi mondi: quello dei ragazzi e quello dei giovani, attraverso l’esperienza di educatori che giorno dopo giorno condividono con loro il cammino della crescita umana e spirituale.
Ad illustrare l’universo dei bambini e ragazzi Daniela Lecce, Responsabile regionale ACR, che ha offerto un’immagine reale dei ragazzi che abitualmente si incontrano, divisi tra scuola, sport, danza, ragazzi ipertecnologici, curiosi, creativi, ragazzi che sognano, mostrano grandi passioni, che girano in bici e giocano a pallone. Per questi ragazzi il sentimento più importante è l’amicizia. La piazza è il loro luogo di incontro, una palestra di vita in cui confrontarsi e conoscersi. Non si tratta solo di ragazzi che giocano: spesso mancano di spazio a causa dei mille impegni e soprattutto non hanno qualcuno che li ascolti. «L’errore è quello di considerarli piccoli, quando pongono determinate domande. Hanno bisogno di essere aiutati ad alimentare il seme che hanno in loro stessi. Bisogna considerare le famiglie, l’ambiente in cui vivono, che può presentare situazioni di sofferenza. Gli educatori affiancano i ragazzi in un cammino che dura nel tempo, un cammino che rende compagni, amici, e l’amico più importante di tutti è il Signore. I ragazzi sono un cielo stellato in cui si vedono stelle più o meno luminose a seconda delle distanze, per cui è importante dedicarsi in modo particolare a quelli più distanti, facendosi prossimi e interpretando il loro mondo interiore». Insieme a Daniela, le testimonianze di Stefania, educatrice Acr e di Claudia, che lavora come segretaria nella scuola Santa Giovanna Antida, costantemente a contatto con il mondo dei bambini.
Il discorso sui giovani ha invece coinvolto il Servizio diocesano di Pastorale giovanile: relatore don Fabrizio Caucci, con le testimonianze di altri due giovani educatori, Federico della parrocchia di San Bartolomeo Apostolo, e Sara, della parrocchia di Sant’Antonio e Santa Restituta a Carnello. Don Fabrizio riconosce la difficoltà di portare l’annuncio ai giovani, perché nella maggior parte dei casi coloro che non frequentano non vogliono. I giovani diventano sordi all’annuncio, le chiese si svuotano perché non si è interessanti e dopo la cresima i giovani si allontanano: il Vangelo ha senso per me ma si scontra con ciò che la Chiesa rappresenta. Tra il mondo dei giovani e quello degli adulti si crea una distanza incolmabile. I giovani vivono il disagio di una fede in cui il senso dell’infinito non viene tradotto nella vita pratica: essi vogliono l’esempio, vogliono sentirsi amati, importanti, protagonisti, altrimenti il desiderio di senso viene scaricato altrove, in eventi, feste, dove vivono la notte in cui non ci sono quegli adulti che hanno rubato i loro spazi. La missione allora un mezzo per incontrare i giovani che non ci sono, quelli che non troveremo quando siamo svegli. Capire che bisogna far coincidere vita e fede. Il Vangelo non è passato di moda, lo è forse il modo di raccontarlo. È necessario un nuovo alfabeto della fede. È necessario uscire, andar loro incontro, uscire dalle nostre sicurezze.
A conclusione dell’incontro Mons. Antonazzo ha sottolineato quanto «grandi siano le risorse dei giovani, le loro possibilità, ma anche le loro sofferenze. Giovani che sono il riflesso di famiglie, di comunità… i giovani abbandonano, ma sono mai venuti? Come diceva San Giovanni Bosco, l’educatore fa tutto ciò che piace ai giovani, perché essi facciano tutto ciò che piace a noi». Lavorare per i giovani per avere una Chiesa bella, abitata dai giovani.
– Carla Cristini