II° Seminario Teologico-Pastorale. Intervento di don Emilio Rocchi

VOCAZIONE E VOCAZIONI: TOCCATI DALLA BELLEZZA

«Toccati dalla bellezza – pastorale vocazionale e vocazione al presbiterato»

Seminario teologico-pastorale della diocesi di Sora-Cassino-Aquino-Pontecorvo

(Chiesa san Carlo [Isola del Liri] – martedì 24 febbraio 2015)

Nell’iniziare la riflessione che mi è stata affidata, vorrei ringraziarvi per aver deciso di restituire o ri-dare questo tempo (ieri, oggi e domani) a Dio, nostro Unico Signore! Di certo non si lascerà vincere in generosità.

 Nel tempo che mi è stato concesso vorrei fare memoria del mistero della vocazione alla vita e al battesimo[1]. Vorrei inoltre proporre una riflessione che ci aiuti a valutare con umiltà il nostro impegno missionario che diventa efficace nella misura in cui esprime il mistero di comunione e missione che è il Dio di Gesù Cristo: Padre, Figlio e Spirito Santo; unico Dio in tre diverse Persone; tre Persone nell’unico Dio[2].

Vorrei offrire alcuni contributi che sono maturati anche a motivo della Lettera pastorale del Vescovo Gerardo, Chi-Amati a rispondere. Creati per amore, nati per amare (6 agosto 2014). Un lettera che indica elementi preziosi per la vita e la missione della Chiesa particolare ma anche per le scelte di ogni battezzato. Una lettera che pone l’urgenza di parlare insieme al tema della vocazione, della qualità della comunione nelle comunità e della passione educativa da far emergere di più nella missione. Siccome è lo Spirito del Risorto che fa nuove tutte le cose (cf. Ap 21, 5)[3], mi sembra tanto importante che ne imploriamo il Dono affinché ci usi per comprendere più intimamente l’infinito amore di Dio e rispondervi in modo adeguato e inseriti nell’oggi della Chiesa, madre e maestra. È lei che ci indica la Via giusta che promuove la Vita, Gesù Cristo Verbo di Dio.

La relazione si svolgerà in tre parti – sarò costretto ad accennare alcuni argomenti – e poi il dialogo, anch’esso importante come la relazione.

Nella prima parte, cercherò di prendere sul serio la nuova evangelizzazione così da avviare come troviamo nella Lettera pastorale: una conversione pastorale nella quale «la fede non va più data per scontata», una conversione missionaria che «mira a condurre una persona all’abbandono di sé al Signore Gesù» e una conversione ad una pastorale integrata «in uno slancio di pastorale d’insieme, segnata dalla comunione e dalla missionarietà aperta a tutto il territorio»[4].

Nella seconda, suggerirò come lo Spirito del Risorto ci stia introducendo – come singoli e comunità – in un rapporto più intenso con il mistero pasquale.

Nella terza, parlerò della formazione permanente del clero nella luce del Vaticano II e quindi nell’ottica di una conversione al presbiterio diocesano e alla fraternità sacerdotale.

Prima parte.

Prendere sul serio la sfida della nuova evangelizzazione

I Padri sinodali nel Messaggio conclusivo della XIII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi dedicata a La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana (7-28 ottobre 2012), hanno scritto:

«Guai però a pensare che la nuova evangelizzazione non ci riguardi in prima persona. In questi giorni più volte tra noi Vescovi si sono levate voci a ricordare che, per poter evangelizzare il mondo, la Chiesa deve anzitutto porsi in ascolto della Parola. L’invito ad evangelizzare si traduce in un appello alla conversione. Sentiamo sinceramente di dover convertire anzitutto noi stessi alla potenza di Cristo, che solo è capace di fare nuove tutte le cose, le nostre povere esistenze anzitutto. Con umiltà dobbiamo riconoscere che le povertà e le debolezze dei discepoli di Gesù, specialmente dei suoi ministri, pesano sulla credibilità della missione. Siamo certo consapevoli, noi Vescovi per primi, che non potremo mai essere all’altezza della chiamata da parte del Signore e della consegna del suo Vangelo per l’annuncio alle genti. Sappiamo di dover riconoscere umilmente la nostra vulnerabilità alle ferite della storia e non esitiamo a riconoscere i nostri peccati personali. Siamo però anche convinti che la forza dello Spirito del Signore può rinnovare la sua Chiesa e rendere splendente la sua veste, se ci lasceremo plasmare da lui. Lo mostrano le vite dei santi, la cui memoria e narrazione è strumento privilegiato della nuova evangelizzazione. Se questo rinnovamento fosse affidato alle nostre forze, ci sarebbero seri motivi di dubitare, ma la conversione, come l’evangelizzazione, nella Chiesa non ha come primi attori noi poveri uomini, bensì lo Spirito stesso del Signore»[5].

Insieme con quei Padri sinodali anche noi avvertiamo l’urgenza di un serio rinnovamento delle menti e dei cuori, incoraggiati dalla Quaresima, appena iniziata.

1.1. Non dare più nulla per scontato

Il contesto della nuova evangelizzazione obbliga a tornare a spiegare la fede della Chiesa[6]. Chi di noi è più inserito nell’azione catechetica o pastorale si accorge che c’è concretamente da “ricominciare da capo”.

Non si può più considerare nulla scontato e anzi bisogna imparare a esprimersi tenendo conto del linguaggio che le persone usano, evitando di non essere compresi! Una dimostrazione penso che sia la difficoltà di ascoltare omelie veramente incisive, a detta di non pochi fedeli. E per questo mi sembrerebbe importante che chi ha ricevuto il Battesimo da bambino quanto prima possa completare l’iniziazione cristiana e ribadire così gli impegni che altri si sono assunti con le promesse battesimali[7].

Vorrei fare riferimento in particolare a tre affermazioni che, a mio modesto parere, dobbiamo declinare di più tenendo conto della dimensione umana e la cristiana, questa, infatti, ha bisogno dell’altra, senza confusione né divisione, così come noi diciamo per il mistero dell’Incarnazione del Verbo, vero Uomo e vero Dio.

Vorrei cercare di spiegare almeno tre espressioni che, in genere, usiamo nel nostro linguaggio facendo riferimento all’esperienza in famiglia, come primo ambito educativo[8] e “primo seminario” secondo l’affermazione del decreto conciliare Optatam totius, Nel contesto attuale, dove molti non percepiscono più la presenza e l’amore di Dio, perché condizionati dalla cultura odierna, mi sembra determinante valorizzare al massimo ciò che la famiglia vive e ciò che è per la Chiesa e la società. Chiaramente, la famiglia ha bisogno di fare alleanze educative con la comunità ecclesiale e la società civile[9].

Ecco le tre frasi: a) Dio è il Creatore; b) Dio è il Salvatore; c) Bisogna amare Dio.

A)    Dio è il Creatore

In famiglia si sceglie e si accoglie la vita; vi possiamo capire cosa significhi che Dio ha creato per amore tutte le cose; qui abbiamo – nell’agire dei genitori – il simbolo di ciò che fa Dio il quale ama sempre per primo (cf. 1Gv 4, 10) e in modo sovrabbondante.

Tale realtà è talmente decisiva che, se eventi tragici ce lo facessero dimenticare o ci facessero rinunciare a credere all’amore che è Dio, la persona potrebbe quasi smarrire la capacità di amare in modo vero e sincero giungendo a usare gli altri, le cose e, persino, la Chiesa e Dio, pur di raggiungere i propri fini (non poche volte, perversi), come molto spesso ci capita di sentire dalla cronaca e dai media.

Il rapporto tra il mistero di Dio in Cristo e la creazione (mondo) trova nuova luce grazie a quanto maturato nel Concilio Vaticano II[10] che ha mostrato come decisive la retta dottrina (ortodossia) e il corretto modo di comportarsi secondo il Vangelo (ortoprassi). Questo impone di vigilare non solo sulla correttezza della dottrina ma anche sulle scelte concrete e comportamenti. Ad esempio, dal mio modo di comportarmi con i bambini che piangono in chiesa o dal farmi vedere indispettito perché disturbano, cosa faccio capire alla gente? Mi dimostro, ad esempio, accogliente della vita?

Ortodossia e ortoprassi, correttezza di dottrina e agire adeguato chiedono che si impari a coniugare, in modo corretto, ragione e fede, annuncio e dialogo, verità e amore[11].

B)    Dio è il Salvatore

Per tutti, in modo speciale per le creature più piccole, quanti sono loro accanto (genitori, fratelli e sorelle, padrino o madrina di Battesimo o Cresima, ministri ordinati, educatori, ecc.), sono persone che possono rendere evidente (ma anche contraddire se si comportano male[12]) l’agire provvidente di Dio, la sua protezione paterna.

Il padre e la madre vivono questa dimensione in modo unico, ma ogni educatore in modi e forme diverse dovrebbe trasmettere questa realtà determinante per la maturazione.

Una realtà così importante che Dio Padre l’ha voluta anche per il suo Figlio Unigenito. Egli con Giuseppe e Maria ha appreso l’agire provvidente del Padre grazie a circostanze, anche drammatiche. In questo modo è stato reso sempre più cosciente della missione da compiere.

Una memoria riconoscente aiutaad accettare, ad accogliere il mistero del dolore! E chi ha gustato questa protezione affronterà la vita senza paura, con un atteggiamento aperto agli altri e, se dovesse sperimentare disagi, saprà affrontarli con speranza[13].

C)    Bisogna amare Dio

Si tratta di insegnare (quanto prima) a non ricevere soltanto, ma a rispondere all’amore ricevuto, cominciando dalla famiglia e poi verso Dio e la Chiesa. Apprendere questo atteggiamento è decisivo per evitare di cadere nell’indifferenza o nella irrilevanza del tema socio-politico. Ci si sente responsabili di qualcosa se si è chiamati a renderne conto a qualcuno.

È necessario insegnare a rispondere all’amore che si riceve; insegnare che non ci si deve accontentare di essere amati né dai genitori, né dagli altri e neanche da Dio. Bisogna educare ad amare Dio come merita, cioè sopra ogni cosa, e il prossimo come se stessi. Sì, insieme all’amore per il prossimo – cominciando dai più vicini – e a Dio, che pur non vedendosi dovrebbe essere avvertito presente per l’amore e la misericordia che si respirano in casa.

Bisogna educarsi al perdono. Sapersi pentire e chiedere perdono; saper perdonare, come forma di fraternità in Gesù Cristo. L’amore chiede la disponibilità ad accogliere chi ha sbagliato, anche gravemente, senza dimenticare la virtù cardinale della giustizia.

Recuperando l’amore misericordioso e la tenerezza verso chi chiede perdono, ma anche verso chi non fosse pentito, si può comprendere la Chiesa madre di misericordia[14].

«Bisogna espiare il peccato in noi – scrive Charles Moeller –; bisogna conquistare il prossimo con la carità, alla quale non si resiste. Non c’è più traccia, qui, di altera rassegnazione. Un cristiano non può essere un uomo rassegnato, dev’essere un uomo che assume la sofferenza nella carità e nella gioia. La letizia pasquale riappare allora sulla terra, il vero volto dell’uomo si trasfigura nella sofferenza e attraverso la sofferenza: per conseguenza del peccato, il dolore è divenuto mezzo di resurrezione. “Tutto è grazia”. Ciò è possibile perché se gli uomini sono lupi gli uni per gli altri, Dio, invece, è buono. È necessaria una Provvidenza soprannaturale, una mano misericordiosa che riconduca l’uomo alla felicità attraverso le lacrime… Non c’è posto per la sola rassegnazione… Facciamo risplendere la misericordia di Dio nella nostra carità… Alla sofferenza e al peccato, quale risposta se non la misericordia e la Carità: “In verità vi dico, questo è il mio comandamento nuovo, che vi amiate gli uni gli altri, come Io vi ho amato”»[15].

1.2. Verificare quanto si è appreso

Per la crescita umana e cristiana c’è da imparare a restituire alle persone e a Dio (cf. Mt 10, 8) con la gratitudine di cui si è capaci, secondo l’età, le forze e le qualità o carismi che ci sono stati donati e che quindi abbiamo.

Quanto insegniamo diventa significativo quando ognuno di noi lo tiene presente in quello che decide di fare o in quello che sceglie ogni giorno[16].

1.3. Alcuni temi da valorizzare

I battezzati è bene che abbiano una formazione integrale, attenta alla dimensione umana, intellettuale, spirituale, pastorale e missionaria – come ha aggiunto il Direttorio dei Vescovi promulgato il 22 febbraio 2004. E per questo vorrei esplicitare almeno tre temi (il primato di Dio; l’entusiasmarsi all’annuncio del Vangelo e Maria Madre della Chiesa e nostra) da valorizzare maggiormente nella catechesi di ogni età.

1.3.1.      Il primo argomento è (la questione di) Dio, l’ascolto e la pratica della Parola di Dio, la cura della vita interiore e della preghiera, soprattutto liturgica. Uno spazio saltuario a queste dimensioni non dà le condizioni adeguate per leggere le circostanze alla luce della Parola; non fa gioire delle conquiste né accettare le difficoltà che si sperimentano quando si annuncia il Vangelo[17].

1.3.2.      Un altro tema riguarda, appunto, l’annuncio del Vangelo, che diventa una logica conseguenza quando ci si sente fieri di essere stati chiamati a far parte della Chiesa. Chi si entusiasma annunciando il Vangelo per la gloria di Dio comprende l’agire degli Apostoli che, dopo esser stati flagellati: «se ne andarono via dal sinedrio, lieti di essere stati giudicati degni di subire oltraggi per il nome di Gesù. E ogni giorno … non cessavano di insegnare e di annunciare che Gesù è il Cristo» (At 5, 41-42)[18]. Annunciare Gesù Cristo (cf. 1Cor 9, 16) è proporre la dottrina sociale della Chiesa, con competenza e coraggio, da “veri soldati”[19]. Da bambini ci era insegnato che dovevamo essere capaci di combattere per Gesù contro il maligno. C’era la lettura del Vangelo, ma anche venivamo affascinati dalla vita dei martiri (san Tarcisio, sant’Agnese, …) e dei santi (san Giovanni Bosco, san Domenico Savio, …). Parola di Dio e tradizione (non aut aut), sono da coniugare di più e meglio.

1.3.3.      Accanto ai precedenti argomenti è ugualmente decisivo che si scopra Maria Madre di Dio nostra Madre e se ne imitino le virtù secondo le indicazioni del capitolo VIII della costituzione dogmatica sulla Chiesa del Concilio Vaticano II Lumen gentium. Abbiamo bisogno di riscoprire il dono che Gesù ci ha fatto con Maria: Colei che mostra cosa significhi essere rivestiti della nuova dignità di figli rinnovati dallo Spirito Santo; Colei che si mette con umiltà a servizio (cf. Lc 1, 39-56; 2, 7; 11, 27-28); Colei che è fedele (cf. Lc 1, 26-38; Gv 2, 5; 19, 25-37). Coltivare un’autentica spiritualità mariana significa apprendere l’arte del silenzio (cf. Lc 2, 19. 51b) come anche di fare la propria parte senza ostacolare mai l’azione di Dio. Insieme a questo, c’è un altro aspetto. Bisognerebbe accorgersi che si prende cura di noi, più di una madre terrena. Maria mette in pratica con fedeltà materna quanto il Figlio crocifisso gli ha detto di fare mentre ella era sotto la croce accanto a Giovanni (cf. Gv 19, 25-27).

Seconda parte.

Lo Spirito di Dio ci introduce nell’evento della Pasqua

A questo punto vorrei che ci domandassimo come sia accaduto che dall’affermazione di Ireneo di Lione – scriveva: «la gloria di Dio è l’uomo vivente e la vita dell’uomo consiste nella visione di Dio»[20] –, si sia passati a quelle di Goethe – «o io o Dio, uno dei due è di troppo» – o a quelle dei cosiddetti “maestri del sospetto” (Marx, Nietzsche e Freud), che hanno contribuito al diffondersi dell’indifferenza religiosa, soprattutto nelle nostre città. Allora, cosa è accaduto?

Si potrebbe dire in modo sintetico che c’è stata una impostazione del pensiero che non aveva le categorie adatte a prendere in considerazione le critiche che venivano rivolte alle prove dell’esistenza di Dio così come si erano andate definendo con la teologia scolastica. Infatti, insieme all’armonia e alla bellezza della creazione, opera di Dio, ci sono anche i disastri naturali; insieme al disegno provvidenziale di Dio nella storia ci sono conflitti, ingiustizie e malvagità di ogni tipo.

Se Dio è l’essere perfettissimo, e questa realtà la troviamo riflessa nella natura che è la sua opera, perché accadono catastrofi e tragedie con migliaia di morti: è Dio che le vuole? Ma se la giustizia è uno degli attributi di Dio, perché il dolore innocente?

Nell’Europa cristiana si è consolidata una cultura autonoma dall’insegnamento della Chiesa; se non antitetica. Ha posto tante sfide nel corso dei secoli (cf. razionalismo, agnosticismo, ateismo e relativismo), e le pone ancora.

E se è vero che la Chiesa nel Concilio Vaticano I è giunta a condannare razionalismo e fideismo[21] perché entrambi insufficienti, si tratta d’imparare ad usare i doni della ragione e della fede così come hanno indicato i Papi, in particolare, dal Concilio Vaticano II. Evento che ha raccolto e portato a compimento quanto lo Spirito Santo, attraverso la vita e il pensiero di persone disposte a tutto – un vero dono per l’umanità[22] – per amore di Dio e della Chiesa, ha fatto acquisire percorsi che offrivano strumenti adeguati per interpretare il “secolo”. Le verità di sempre, ma con nuovi linguaggi, stile ed ermeneutica.

2.1. L’originalità dell’Incarnazione del Verbo

Un’altra domanda. Si può accedere al mistero di Dio solo mediante la bellezza o anche per la bruttezza? Solo attraverso l’armonia o anche per un fatto drammatico?

Il Verbo incarnato, il “più bello dei figli dell’uomo”, ha accettato di divenire “verme della terra”. E se è vero che “La bellezza salverà il mondo”, dovremmo tener presente che il Crocifisso si è fatto peccato, maledizione “per noi e per la nostra salvezza”.

Sono aspetti da investigare con maggiore attenzione e tenendo conto della grande Tradizione della Chiesa espressa dai santi e dai mistici[23].

Nella lezione di pensiero e di vita degli autentici discepoli del Crocifisso-Risorto, possiamo cogliere che Dio ama davvero, e lo fa anche sotto la sferza di prove e dolori, quasi insopportabili. Essi, pur tentati, hanno perseverato nella fede, nell’amore e nella speranza sino alla fine (cf. Mt 24, 11-13; Tb 12, 8-15), superando varie domande: Ma se Dio mi ama perché vuole o permette ciò? Se esiste perché non interviene liberandomi/ci da tali situazioni che creano solo enormi difficoltà?

«Può accadere allora che, sentendosi talvolta imperfetti e quindi tanto poco degni dell’amore di Dio, trasferiamo, in un certo modo, questa nostra percezione in Dio e finiamo per credere che Egli non può amarci o, al più, può amarci solo parzialmente. In realtà non è così. Dio ci ama sempre, infinitamente, e il suo amore ci è vicino e ci sorregge in ogni istante del nostro cammino… Quando si giunge ad attingere, anche solo per un istante, la realtà di un simile amore, allora tutto si trasforma: la vita che ci è data, il mondo che ci circonda, ogni circostanza lieta o triste: tutto acquista il timbro di un dono personale di Dio per me che mi vuole santo come Lui è santo (cf. 1Pt 1, 16). Questo è il fondamento di tutta la vita cristiana: questo amore di Dio per ciascuno, di Dio al quale dobbiamo ridonarci rispondendogli in maniera totale»[24].

Ogni battezzato, prima o poi, si troverà dinanzi alla necessità di dire a se stesso chi è il Crocifisso per lui. San Giovanni della Croce condivide una rivelazione privata: «Se ti ho già detto tutto nella mia Parola, che è mio Figlio, non ho altro da aggiungere. […] Fissa lo sguardo unicamente su di lui, perché in lui ti ho detto e rivelato tutto e troverai in lui anche più di ciò che chiedi e desideri»[25].

Abbiamo bisogno di un ritorno all’integralità del Vangelo che ci introduce per grazia nel mistero della interpersonalità di Dio[26]; come nell’amorevole contemplazione del Volto del Crocifisso-Risorto, da riconoscere nei volti dei fratelli e sorelle. Volto da riconoscere, servire, amare, prediligere, come singoli e come comunità.

2.2. Scommettere sulla carità

Nella prima Lettera enciclica Ecclesiam suam, Paolo VI afferma l’urgenza di riscoprire le virtù cristiane (obbedienza, energie morali, sacrificio, spirito di povertà), e precisa:

«L’altro cenno che vogliamo fare è allo spirito di carità. Ma non è già questo tema radicato nei vostri animi? Non segna forse la carità il punto focale dell’economia religiosa dell’antico e del nuovo testamento? Non sono alla carità rivolti i passi dell’esperienza spirituale della Chiesa? Non è forse la carità la scoperta sempre più luminosa e gaudiosa che la teologia da un lato, la pietà dall’altro vanno facendo nella incessante meditazione dei tesori scritturali e sacramentali, di cui la Chiesa è l’erede, la custode, la maestra e la dispensatrice? Noi pensiamo, con i nostri predecessori, con la corona dei Santi che l’età nostra ha dato alla Chiesa celeste e terrestre, e con l’istinto devoto del popolo fedele, che la carità debba oggi assumere il posto che le compete, il primo, il sommo, nella scala dei valori religiosi e morali, non solo nella teorica estimazione, ma altresì nella pratica attuazione della vita cristiana. Ciò sia detto della carità verso Dio, che la sua carità riversò sopra di noi come della carità che di riflesso noi dobbiamo effondere verso il nostro prossimo, vale a dire il genere umano»[27].

Giovanni Paolo II all’inizio del terzo millennio cristiano ha rilanciato la sfida:

«Dalla comunione intra-ecclesiale, la carità si apre per sua natura al servizio universale, proiettandoci nell’impegno di un amore operoso e concreto verso ogni essere umano. È un ambito, questo, che qualifica in modo ugualmente decisivo la vita cristiana, lo stile ecclesiale e la programmazione pastorale. Il secolo e il millennio che si avviano dovranno ancora vedere, ed anzi è auspicabile che lo vedano con forza maggiore, a quale grado di dedizione sappia arrivare la carità verso i più poveri. Se siamo ripartiti davvero dalla contemplazione di Cristo, dovremo saperlo scorgere soprattutto nel volto di coloro con i quali egli stesso ha voluto identificarsi: “Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi” (Mt 25,35-36). Questa pagina non è un semplice invito alla carità: è una pagina di cristologia, che proietta un fascio di luce sul mistero di Cristo. Su questa pagina, non meno che sul versante dell’ortodossia, la Chiesa misura la sua fedeltà di Sposa di Cristo. Certo, non va dimenticato che nessuno può essere escluso dal nostro amore, dal momento che “con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo a ogni uomo” (Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 22). Ma stando alle inequivocabili parole del Vangelo, nella persona dei poveri c’è una sua presenza speciale, che impone alla Chiesa un’opzione preferenziale per loro. Attraverso tale opzione, si testimonia lo stile dell’amore di Dio, la sua provvidenza, la sua misericordia, e in qualche modo si seminano ancora nella storia quei semi del Regno di Dio che Gesù stesso pose nella sua vita terrena venendo incontro a quanti ricorrevano a lui per tutte le necessità spirituali e materiali»[28].

2.3. Aperti al paradigma della comunione trinitaria

La proposta della Chiesa vuole caratterizzarsi come una vita pienamente umana, che non evadendo la storia, è messaggio di salvezza che educa al vero, al buono e al bello.

Mi sembra che questa sia la scelta operata dai Vescovi italiani con gli Orientamenti pastorali dei primi due decenni del 2000 Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia (29 giugno 2001) e Educare alla vita buona del Vangelo (4 ottobre 2010).

Si tratta di far sì che i comportamenti siano guidati da una visione della persona e della società secondo l’originalità dell’evento cristologico, e cioè ispirati a una cultura della comunione trinitaria resa possibile e praticabile grazie alla Pasqua.

«Senza dubbio il cristianesimo storico ha avuto il merito straordinario di riuscire a esprimere dottrinalmente, con l’assistenza dello Spirito Santo, i grandi dogmi che concernono il Cristo e la Trinità, i due pilastri della fede cristiana – così ha scritto Piero Coda –. Ma queste verità di fede non sono ancora riuscite a diventare ciò che nella loro radice sono, e cioè delle verità anche antropologiche e di prassi. Delle verità anche storiche e sociali, dunque, delle verità da fare nella carità. Questo perché la relazione con Dio, letta nell’ottica di Cristo e della Trinità, è stata vissuta prevalentemente dal punto di vista del singolo. Direi, quasi con uno slogan, che ciò che abbiamo acquisito è che in Gesù Cristo è stato salvato l’individuo, ma sinora non abbiamo acquisito a sufficienza che anche la relazione tra le persone è stata salvata… Per questo, credo che il cristianesimo stia solo iniziando. Un progetto culturale cristianamente informato, e pertanto necessariamente chiamato ad attingere alla sorgente ispirativa della comunione, se vuole essere all’altezza della novità di Gesù e dei segni dei tempi non può essere giocato entro la sfera del pensiero classico, ma neppure entro quella della modernità. Il paradigma antropologico individualistico in cui è nata e si è costruita la cultura della modernità, deve lasciare il passo a un nuovo paradigma… Affiora un pensare, un fare, artistico e tecnico, un agire etico e sociale, che trova “la sua piena espressione nella relazione viva, con gli altri, con le cose, con Dio, con se stessi”»[29].

Terza parte.

La vocazione del presbiterio: la fraternità sacerdotale.

Se è vero che «Nella Chiesa ognuno è sostegno degli altri e gli altri sono suo sostegno»[30], nell’attuare il paradigma della comunione trinitaria hanno un compito tutto particolare i chiamati al sacerdozio ministeriale.

Il presbiterio diocesano ha la responsabilità di creare le condizioni perché si diffonda la cultura della formazione permanente come conversione permanente alla vocazione ricevuta. E per concretizzarlo è decisiva la testimonianza del radicalismo evangelico così come ne ha parlato Giovanni Paolo II nell’Esortazione apostolica Pastores dabo vobis[31] e Papa Francesco accennando all’ascetica e alla mistica della fraternità[32].

«Dio non ci ha creati perché dimorassimo nei confini della natura, né perché vivessimo una vicenda solitaria – ha scritto De Lubac –; ci ha creati per essere introdotti insieme in seno alla sua vita trinitaria. Gesù Cristo si è offerto in sacrificio perché noi fossimo una cosa sola in questa unità delle Persone divine… C’è un Luogo in cui, fin da questa terra, incomincia questa riunione di tutti nella Trinità. C’è una famiglia di Dio, misteriosa estensione della Trinità nel tempo, che non soltanto ci prepara a questa vita unitaria e ce ne dà la sicura garanzia, ma ce ne fa già partecipi. Unica società pienamente “aperta”, essa è la sola che sia all’altezza della nostra intima aspirazione e nella quale noi possiamo attingere finalmente tutte le nostre dimensioni. “Un popolo radunato dall’unità del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”: tale è la Chiesa. “Essa è piena della Trinità”»[33].

Anche noi siamo sfidati a non dare nulla per scontato e a cercare di vivere in modo maturo il rapporto tra libertà e autorità, tra individuo e società, tra amore e verità, tra sacrificio e realizzazione della persona, …

3.1. L’evento del Concilio Vaticano II

Un riferimento imprescindibile lo troviamo nel Concilio Vaticano II e, in particolare nella costituzione dogmatica Lumen gentium (21 novembre 1964) e nel decreto Presbyterorum ordinis (7 dicembre 1965).

Sono sempre più persuaso che riusciremo a vivere e comprendere il mistero della Chiesa alla luce del Comandamento nuovo (cf. Gv 15, 16-17; Lumen gentium, n. 9), se lo Spirito Santo ce ne fa la Grazia: da chiedere pertanto con insistenza[34]. Infatti, abbiamo il Vangelo, i documenti del magistero, ma non per questo riusciamo a mostrane la Sapienza.

Paolo VI così parlava della concretezza dell’amore nella vita della Chiesa:

«Noi siamo un Popolo, il Popolo di Dio. Noi siamo la Chiesa cattolica. Siamo una società singolare, visibile e spirituale insieme. Il Concilio ci fa più chiaramente avvertire che la nostra Chiesa è società fondata sull’unità della fede e sull’universalità dell’amore… questo Concilio lo dice: la Chiesa è una società fondata sull’amore e dall’amore governata! La Chiesa, in questo mondo, non è fine a se stessa: essa è al servizio di tutti gli uomini; essa deve rendere Cristo presente a tutti, individui e popoli, quanto più largamente, quanto più generosamente possibile; questa è la sua missione. Essa è portatrice dell’amore, è fautrice di vera pace, e ripete con Cristo: Ignem veni mittere in terram, sono venuta a portare fuoco sulla terra (Lc 12, 49). E anche di questa consapevolezza, di questa dichiarazione aveva bisogno la Chiesa; e il Concilio gliene ha offerta occasione»[35].

Il n. 7 della Presbyterorum ordinis scrive: «Tutti i presbiteri, insieme ai Vescovi, partecipano in tal grado dello stesso e unico sacerdozio e ministero di Cristo, che la stessa unità di consacrazione e di missione esige la comunione gerarchica dei presbiteri con l’ordine dei Vescovi… Per questa comune partecipazione nel medesimo sacerdozio e ministero, i Vescovi abbiano dunque i presbiteri come fratelli e amici,… I presbiteri, dal canto loro, avendo presente la pienezza del sacramento dell’ordine di cui godono i Vescovi, venerino in essi l’autorità di Cristo supremo pastore. Siano dunque uniti al loro Vescovo con sincera carità e obbedienza. Questa obbedienza sacerdotale, pervasa dallo spirito di collaborazione, si fonda sulla partecipazione stessa del ministero episcopale, conferita ai presbiteri attraverso il sacramento dell’ordine e la missione canonica. L’unione tra i presbiteri e i Vescovi è particolarmente necessaria ai nostri giorni, dato che oggi, per diversi motivi, le iniziative apostoliche debbono non solo rivestire forme molteplici, ma anche trascendere i limiti di una parrocchia o di una diocesi. Nessun presbitero è quindi in condizione di realizzare a fondo la propria missione se agisce da solo e per proprio conto, senza unire le proprie forze a quelle degli altri presbiteri, sotto la guida di coloro che governano la Chiesa»[36].

I primi collaboratori del Vescovo sono chiamati a vivere questo per attuare il Concilio. Da ricordare che parte viva del presbiterio sono anche i religiosi presbiteri[37].

Coloro desiderano apprendere il paradigma della comunione trinitaria dovrebbero impegnarsi a rimanere alla scuola di Gesù il quale scelse di formare una “nuova” famiglia: «uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli» (Mt 23, 8; cf. Mc 3, 31-35)[38]. Infatti è la testimonianza della comunione che rende fruttuoso l’impegno di “fare discepoli tutti i popoli” (cf. Mt 28, 18-20).

È questa una delle maggiori sfide: mostrare che i nostri presbitèri sono capaci di testimoniare come i vincoli della fede sono più forti di quelli della “carne e del sangue” (cf. Gv 1, 13). E questo significa rendere visibile quello che accade nella celebrazione del sacramento dell’Ordine, quando, per grazia, si entra in un Ordo e ciascuno dovrebbe dare il suo contributo affinché si pensi e si agisca da “vera famiglia”, con e sotto la guida del Vescovo[39]. Anche sfide pastorali, come la costituzione delle “unità pastorali”, possono essere opportunità per crescere nella fraternità alimentando quella Chiesa in uscita così spesso evocata da Papa Francesco.

3.2. La formazione permanente

La formazione non può che accompagnare l’intero itinerario della vita, nelle sue età, manifestazioni e servizi chiesti dalla Chiesa[40]. È un antidoto alla mondanità spirituale[41].

Nella formazione permanente si tratta di imparare a vivere da figli nel Figlio, custodendo quel “filiale rispetto e obbedienza” promesso al Vescovo nell’ordinazione diaconale. Soprattutto nelle giovani generazioni, non poche volte provenienti da “famiglie ferite”, è decisivo che sperimentino la paternità del Vescovo[42].

Nella formazione permanente si dovrebbe apprendere a vivere da fratelli. Ci si riscopre figli dell’Unico Padre, reso visibile dal Vescovo; egli «è come l’immagine vivente di Dio Padre», secondo l’espressione di sant’Ignazio citata nel Catechismo della Chiesa Cattolica[43].

Per i più giovani, si tratta di avvicinare i “più anziani” per imparare, senza rinunciare a donare il “carisma della gioventù”, mentre per i “più anziani” significa prendersi cura con amore, rispetto e delicatezza dei giovani, ma facendo in modo che possano avere lo spazio necessario per esprimersi. È determinante la capacità di accogliere e valorizzare i più giovani di ordinazione[44], come anche non far sentire inutili “gli emeriti”.

Si tratta di guardare i nostri fratelli mettendone in luce ciò che di bello, di buono e di vero esiste in ognuno. Di solito, si è abituati a sottolinearne i difetti, le imperfezioni (che pure ci sono, ma non dovrebbero emergere come elemento preponderante). Questo farà crescere la stima e l’accoglienza (cf. Rm 15, 7). Si dovrà crescere nell’amore autentico verso il fratello da giungere a correggerlo, ma anche ad accettare a nostra volta le correzioni. I modi sono importanti e, spesso, sono questi che creano un atteggiamento di rifiuto in chi ascolta, anche se chi parla desidera farlo con le migliori intenzioni. Ha scritto Papa Benedetto XVI: «aiutare e lasciarsi aiutare a leggere con verità se stessi, per migliorare la propria vita e camminare più rettamente nella via del Signore. C’è sempre bisogno di uno sguardo che ama e corregge, che conosce e riconosce, che discerne e perdona (cf. Lc 22, 61), come ha fatto e fa Dio con ciascuno di noi»[45].

E il popolo ha estremo bisogno di questa testimonianza.

Nella formazione permanente a un certo punto si sperimenta che si è pronti a diventare padri, perché il cuore di carne ha cominciato a sostituire quello di pietra (cf. Ez 36, 26). Si è divenuti attenti alle situazioni di tutti e di ciascuno, capaci ad accogliere con la misericordia di Gesù chi ha sbagliato, nell’equilibrio tra libertà e disciplina.

«L’educazione non può dunque fare a meno di quell’autorevolezza che rende credibile l’esercizio dell’autorità – ha detto Papa Benedetto XVI –. Essa è frutto di esperienza e competenza, ma si acquista soprattutto con la coerenza della propria vita e con il coinvolgimento personale, espressione dell’amore vero. L’educatore è quindi un testimone della verità e del bene: certo, anch’egli è fragile e può mancare, ma cercherà sempre di nuovo di mettersi in sintonia con la sua missione. […] La speranza che si rivolge a Dio non è mai speranza solo per me, è sempre anche speranza per gli altri: non ci isola, ma ci rende solidali nel bene, ci stimola ad educarci reciprocamente alla verità e all’amore»[46].

3.3. La corresponsabilità nella Chiesa particolare

Sì, l’apostolica vivendi forma dà luce e sapienza per affrontare le difficoltà (senza crollare), quelle della vita personale e pastorale. E la comunione nel presbiterio se vuole essere un segno vocazionale – ma non solamente per questo – deve essere ben inserito e innestato nel resto del popolo di Dio[47]. Infatti, tutti possiamo imparare dagli altri!

Si tratta di valorizzare i momenti di preghiera, soprattutto liturgica. Occasione tutta particolare, anche dal punto di vista vocazionale, è la solenne celebrazione del Giovedì santo presieduta dal Vescovo in cattedrale, con il popolo – non a caso, gli Atti degli Apostoli narrano che gli Undici in attesa della Pentecoste erano «perseveranti e concordi nella preghiera, insieme ad alcune donne e a Maria, la madre di Gesù, e ai fratelli di lui» (At 1, 14). La fraternità vissuta nella condivisione spirituale e materiale (cf. At 2, 42-47; 4, 32-35; 5, 12s), ci fa comprendere la disponibilità dei Sette (cf. At 6).

Strumenti privilegiati in questo itinerario di conversione culturale e pastorale sono gli organismi di partecipazione[48], tra cui, il consiglio presbiterale, il consiglio pastorale e per gli affari economici, “palestre” in cui ci si può allenare a vivere l’ecclesiologia di comunione praticandone la spiritualità[49].

Impegnarsi a vivere così, mi sembra che sia già una seria e positiva proposta vocazionale, anche senza aggiungere altri momenti. Infatti, è la testimonianza che muove e tocca i cuori rendendoli disponibili all’azione della Grazia.

Pur impegnative, vita fraterna e corresponsabilità ci salvano.

Vita fraterna e corresponsabilità ci offrono gli strumenti per essere attrezzati alla missione che ci è affidata e poterlo diventare sempre più:

far vedere Gesù[50],

far gustare l’anticipo della pienezza e bellezza del Regno di Dio in vista del compimento alla fine del tempo quando tutto sarà nella luce contemplando che l’Amore è vero e che la Verità è solo Amore.

Ma non sarà forse meno difficile crederlo se la Chiesa ne è in modo evidente l’inizio e il germe per il modo di vivere e di agire?

Testimoniare la bellezza della chiamata a seguire (per divenire) Gesù è un gesto di gratitudine al Dio tre volte Santo e di amore all’umanità perché è mostrare in modo evidente la verità di una delle affermazioni più citate del Concilio Vaticano II: «Chiunque segue Cristo, l’uomo perfetto, diventa anch’egli più uomo»[51].

Rocchi don Emilio

Alcuni detti di san Giovanni della Croce

«5. Colui che vuole rimanere solo e senza l’appoggio di un maestro e di una guida, sarà come l’albero solo e senza padrone in mezzo alla campagna: per quanto abbondanti siano i suoi frutti, non li porterà a maturazione, perché verranno colti dai passanti.

6. L’albero coltivato, custodito e curato dal suo padrone dà i suoi frutti al tempo sperato.

7. L’anima virtuosa, ma sola e senza un maestro, è come un carbone acceso ma isolato; si spegnerà, anziché bruciare a poco a poco.

8. Colui che cade da solo, solo rimane a terra. Tiene in poco conto la sua anima, perché si fida solo di sé.

9. Se dunque non temi di cadere da solo, come pensi di rialzarti da solo? Ricordati che due persone valgono più di una.

10. Chi cade sotto un peso, difficilmente si rialzerà con quel peso addosso.

11. E chi cade perché cieco, non potrà rialzarsi da solo nella sua cecità; anche se si rialzasse, si avvierà nella direzione sbagliata.

12. Dio desidera da te il più piccolo grado di purezza di coscienza piuttosto che tutte le opere che tu possa compiere.

13. Dio preferisce in te il più piccolo grado di obbedienza e di sottomissione piuttosto che tutti quei servizi che credi di rendergli.

14. Dio stima in te più l’inclinazione all’aridità e alla sofferenza per amor suo che tutte le consolazioni, le visioni e tutte le meditazioni che tu possa fare. […]

17. Anche se sei doppiamente afflitto di non poter fare la tua volontà, non cercare di compierla perché ti troveresti nell’amarezza. […]

21. Un’azione pura e fatta unicamente per Dio forma nel cuore puro un regno ove il Signore è padrone assoluto. […]

30. O buon Gesù, se nel tuo amore non addolcisci l’anima, questa rimarrà sempre nella sua naturale durezza. […]

96. L’anima che cammina nell’amore non stanca altri e non si stanca»[52].

[1]Nella preghiera del mattino la Chiesa ci fa dire: … Ti ringrazio di avermi creato e fatto cristiano.

[2]Per la dottrina dell’unità nella distinzione in Dio possiamo dire in verità che Gesù è morto in Croce; non il Padre o lo Spirito Santo. Tutti sono partecipi, ma in modo diverso della economia della salvezza.

[3]Nell’Udienza generale del 6 giugno 1973, Paolo VI ha affermato: «Alla cristologia e specialmente alla ecclesiologia del Concilio deve succedere uno studio nuovo ed un culto nuovo sullo Spirito Santo, proprio come componente immancabile dell’insegnamento conciliare».

[4]Cf. G. Antonazzo, Lettera pastorale Chi-Amati a rispondere. Creati per amore, nati per amare (6 agosto 2014), pp. 4-7.

[5]Sinodo dei Vescovi, Messaggio della XIII Assemblea ordinaria, n. 5. Le evidenziazioni sono nostre. Cf. Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, Enchiridion della Nuova Evangelizzazione. Testi del Magistero pontifico e conciliare 1939-2012, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2012; Francesco, Esortazione apostolica Evangelii gaudium (24 novembre 2013).

[6]Cf. Francesco, Lettera enciclica Lumen fidei (29 giugno 2013).

[7]Mi sembra preferibile celebrare il sacramento della confermazione prima del sacramento dell’Eucaristia o nel contesto della medesima Celebrazione, rendendo più esplicito il suo essere culmine e fonte della liturgia e dell’iniziazione cristiana.

[8]Oltre al decreto Gravissum educationis del Consilio Vaticano II, ulteriori e più recenti elementi li troviamo nei Lineamenta e nell’Instrumentum laboris del prossimo Sinodo (uscirà nei prossimi mesi) come nel materiale messo a disposizione in preparazione all’VIII Incontro mondiale delle Famiglie dal titolo: L’amore è la nostra missione (Filadelfia, 22-27 settembre). Cf. E. Cattaneo, La famiglia luogo di educazione alla fede secondo la Bibbia in “La Civiltà Cattolica” 2014 IV 49-58 | 3943 (4 ottobre 2014); A. Spadaro, Una Chiesa in cammino sinodale. Le sfide pastorali sulla famiglia in “La Civiltà Cattolica” 2014 IV 213-227 | 3945 (1° novembre 2014); E. Rocchi, Il protagonismo della famiglia nell’Anno della Fede in “Firmana” 22 (2013) n. 1, pp. 63-89.

[9]Di grande interesse il cammino di catechesi che Papa Francesco sta facendo durante le Udienze generali del mercoledì al tema della Famiglia. Mercoledì scorso, 18 febbraio, dopo aver considerato il ruolo della madre, del padre, dei figli, ha parlato dei fratelli sottolineando come: «Avere un fratello, una sorella che ti vuole bene è un’esperienza forte, impagabile, insostituibile. Nello stesso modo accade per la fraternità cristiana. […] Oggi più che mai è necessario riportare la fraternità al centro della nostra società tecnocratica e burocratica: allora anche la libertà e l’uguaglianza prenderanno la loro giusta intonazione».

[10]I Papi più volte hanno richiamato la necessità di verificare la recezione del Concilio Vaticano II. Giovanni Paolo II ne ha fatto, ad esempio, uno dei temi dell’esame di coscienza in preparazione al Grande Giubileo dell’anno duemila (cf. Lettera apostolica Tertio millennio adveniente [10 novembre 1994], n. 36).

[11]Sul rapporto tra verità e amore il teologo evangelico D. Bonhoeffer ha detto: «Quando qualcuno dice la verità senza tener conto della persona a cui parla, c’è l’apparenza della verità ma non la sostanza della verità» (Etica, tr. it., Bompiani, Milano 1983, p. 309).

[12]Cf. Benedetto XVI, Lettera ai cattolici della Chiesa d’Irlanda (19 marzo 2010).

[13]Bisogna impegnarsi a spiegare il dramma del dolore innocente e dell’immane potenza del negativo di cui è capace l’uomo. Come parlare di Dio e del suo infinito amore mettendo tra parentesi ciò che accade: è Dio che lo vuole? E se lo permette, perché? Questo argomento pone la questione della libertà della creatura umana rispetto ai disegni di Dio e la responsabilità delle nostre scelte. Il team è complesso anche perché chiede di non sottacere l’argomento della onnipotenza di Dio, onnipotenza nell’amore prima di tutto.

[14]Nel Messaggio per la Quaresima del 2015, Papa Francesco scrive: «… quanto desidero che i luoghi in cui si manifesta la Chiesa, le nostre parrocchie e le nostre comunità in particolare, diventino delle isole di misericordia in mezzo al mare dell’indifferenza» (n. 2).

[15]C. Moeller, Saggezza greca e paradosso cristiano (tr. it. del 1951), Morcelliana, Brescia 19856, p. 202s.

[16]Questa è una delle maggiori difficoltà nella formazione, riuscire a valutare il grado di incidenza di quanto si insegna nel modo di pensare e di agire, nel modo di impostare la vita e fare le scelte. Ma è anche una dimensione che oggettivamente è difficile da valutare.

[17]Mi sembra che si debba coltivare queste dinamiche, della Parola, della vita interiore e della preghiera, sul versante individuale come in quello comunitario. Non si può delegare tutto alla sfera comunitaria, né – al contrario – a quella individuale.

[18]Indicazioni che ritrovo all’inizio dell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium di Papa Francesco: «La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. In questa Esortazione desidero indirizzarmi ai fedeli cristiani, per invitarli a una nuova tappa evangelizzatrice marcata da questa gioia e indicare vie per il cammino della Chiesa nei prossimi anni».

[19]Tertulliano sembra essere il primo ad usare l’espressione latina sacramentum per dire quanto avviene nei riti dell’iniziazione cristiana. Il termine esprime, con una forte connotazione giuridica, sia l’azione che il mezzo consacrante. Significava il giuramento di fedeltà in campo militare quando avveniva l’effettiva incorporazione nell’esercito. Questo rito era interpretato in modo analogo a quanto accade nel Battesimo per i cristiani i quali consacrati a Cristo Signore, sono disposti a tutto pur di testimoniare il loro amore fedele a Gesù, unico Signore, e alla Chiesa.

[20]Ireneo di Lione, Adversus Haereses, IV, 20, 7. Cf. G. Antonazzo, Lettera pastorale Chi-Amati a rispondere. Creati per amore, nati per amare (6 agosto 2014), p. 17.

[21]Cf. Concilio ecumenico Vaticano I, Costituzione dogmatica sulla fede cattolica Dei Filius (24 aprile 1870) in D 3001-3004; 3021-3025. La frattura tra teologia e sapienza spirituale della fede si consumò dopo il Concilio di Trento. I “teologi” cominciarono a guardare con sospetto le affermazioni dei mistici e le novità “carismatiche” non ebbero ripercussioni sulla teologia, ma nella spiritualità. Con la “controriforma” si volle uniformare il pensiero teologico al tomismo, senza dare peso al progressivo isolamento culturale a cui si stava giungendo in Europa. Giovanni Paolo II nell’intervento al Simposio dei Vescovi europei, organizzato dal CCEE, sosteneva: «Le crisi dell’uomo europeo sono le crisi dell’uomo cristiano. Le crisi della cultura europea sono le crisi della cultura cristiana. […] Queste prove, queste tentazioni e questo esito del dramma europeo non solo interpellano il cristianesimo e la Chiesa dal di fuori come una difficoltà o un ostacolo esterno da superare nell’opera di evangelizzazione, ma in un senso vero sono interiori al cristianesimo e alla Chiesa. […] I rimedi e le soluzioni andranno cercati all’interno della Chiesa e del cristianesimo. […] La Chiesa stessa deve allora auto-evangelizzarsi per rispondere alle sfide d’oggi» (C.C.E.E., I vescovi d’Europa e la nuova evangelizzazione, Piemme, Casale Monferrato 1991, p. 131). La «notte oscura» dell’abbandono, come ha ricordato Giovanni Paolo II rievocando a Segovia san Giovanni della Croce, «acquista a volte dimensioni di epoca e proporzioni collettive» (Grande maestro dei sentieri che conducono all’unione con Dio. Celebrazione della Parola in onore di Giovanni della Croce a Segovia [4 novembre 1982], n. 8 in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, V, 3 [1982], 1141-1142).

[22]Bisogna sempre rispettare il senso della storicità della Chiesa. Persone come A. Rosmini, Y. Congar, perché disposti anche a soffrire per amore di Dio (cf. Rm 8, 28) e della Chiesa hanno contribuito a generare criteri che erano assenti e per questo erano stati condannati dall’autorità ecclesiastica. I carismi sono inviati dallo Spirito Santo per “convertire” persone e strutture e non sono esclusivi di qualcuno, ma inclusivi. Un carisma – pur essendo tipico di un Ordine o Congregazione religiosa o movimento ecclesiale – non può non riguardare tutta l’intera comunità. Si tratta di riscoprire, in particolare, in questo Anno della vita consacrata che non possiamo non essere “benedettini”, “francescani,” “gesuiti”, … ciò che lo Spirito ha voluto donare alla Chiesa per il mondo, è di tutti e ciascuno è invitato perché figlio della Chiesa ad accoglierlo nel modo di vivere e pensare. Questo significa anche cattolicità della Chiesa. Ogni battezzato ha bisogno del cuore e della mente sulla misura di Cristo, e non sulla dimensione delle proprie opinioni o vedute, pur significative, ma sempre insufficienti e, talvolta, anche inadeguate. Mi auguro che il V Convegno ecclesiale di Firenze (9-13 novembre) ne sia un’occasione privilegiata per vivere queste realtà!

[23]Si tratta di riconoscere che Dio, nonostante l’impegno della ricerca e la rivelazione, rimane un mistero (salvifico) che ha bisogno del linguaggio simbolico e analogico visto che «tra il creatore e la creatura, per quanto sia grande la somiglianza, maggiore è la differenza» (D 806).

[24]P. Foresi, Dio Amore e la preghiera in Nuova Umanità XXV (2003/3-4) 147-148, p. 326s. Cf. P. Coda, J. Tremblay, A. Clemenzia, Il Nulla-Tutto dell’amore. La teologia come sapienza del Crocifisso, Città Nuova, Roma 2013.

[25]San Giovanni della Croce, Salita del monte Carmelo, II, 22, 5. Se è vero che Gesù ci ha detto e dato tutto, ciò non significa che tutto è chiaro. Nella cammino della storia delle dimensioni diventano sempre più chiare ed evidenti, grazie al carisma di alcune persone e, non raramente, ad alcuni fatti sociali.

[26]Una adeguata dottrina trinitaria deve evitare l’uniformità senza diversità come il pluralismo senza unità. Il Dio di Gesù Cristo è Uno in Tre Persone e le Tre Persone sono Un solo Dio. Nella preghiera eucaristica troviamo frasi che mostrano questa dinamica trinitaria: «Ti preghiamo umilmente: per la comunione al corpo e al sangue di Cristo lo Spirito Santo ci riunisca in un solo corpo» (Preghiera Eucaristica II); «e a noi, che ci nutriamo del corpo e sangue del tuo Figlio, dona la pienezza dello Spirito Santo perché diventiamo in Cristo un solo corpo e un solo spirito. Egli faccia di noi un sacrificio perenne a te gradito» (Preghiera Eucaristica III).

[27]Paolo VI, Lettera enciclica Ecclesiam suam (6 agosto 1964) in EV 2,187.

[28]Giovanni Paolo II, Lettera apostolica Novo millennio ineunte (6 gennaio 2001), n. 49. Giovanni Paolo II nel Discorso tenuto il 16 gennaio 1982 ai partecipanti al congresso nazionale del Movimento ecclesiale di impegno culturale ha affermato che Una fede che non diventa cultura, non è una fede pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta (n. 2). Cf. Francesco, Messaggio per la celebrazione della Giornata Mondiale della Pace del 1° gennaio 2015, Non più schiavi, ma fratelli in “La Civiltà Cattolica” 2015 I 3-13 | 3949 (3 gennaio 2015).

[29]P. Coda, Per una cultura della risurrezione in Nuova Umanità XXVI (2004/5) 155, 554-557. Le sottolineature sono nostre.

[30]San Gregorio Magno, Omelie su Ezechiele, II, I, 5 citato in Giovanni Paolo II, Christifideles laici, n. 28.

[31]Parlando del radicalismo evangelico, Giovanni Paolo II ripropone la vita di “consigli evangelici” e cioè dice di coltivare l’obbedienza (vivere in modo propositivo il dare il meglio di sé in comunione con chi presiede la comunità ecclesiale), la povertà (mettere in comune non solo le cose materiali, ma anche ciò che si vive, con semplicità e sincerità) e la castità (amare tutti senza altri scopi che il Vangelo).

[32]Cf. Francesco, Esortazione apostolica Evangelii gaudium (24 novembre 2013), nn. 91-92, 272.

[33]H. De Lubac, Meditazioni sulla Chiesa, Jaca Book, Milano 1965, pp. 292-293.

[34]Giovanni Paolo II nella Novo millennio ineunte indica sette priorità per il terzo millennio: la santità, la preghiera, il primato della grazia, l’Eucaristia domenicale, il sacramento della Penitenza, l’ascolto e l’annuncio della Parola (cf. nn. 30-41). Da non dimenticare la preziosità del numeri. 21-19!

[35]Paolo VI, Discorso di apertura del 4° periodo (14 settembre 1965) in EV 1, 337*. 338*. 343*. Cf. M. P. Gallagher, Lo stile di Paolo VI e lo stile del Vaticano II in “La Civiltà Cattolica” 2045 IV 3-18 | 3943 (4 ottobre 2014).

[36]Cf. Concilio Vaticano II, costituzione dogmatica Lumen gentium, n. 28.

[37]Cf. Concilio Vaticano II, decreto Presbyterorum ordinis, n. 8; Cf. Papa Francesco, «Remate dunaue! Remate, siate forti!» in “La Civiltà Cattolica” 2014 IV 105-109 | 3944 (18 ottobre 2014).

[38]Nella vita pubblica, Gesù vive in fraternità condividendo tutto con apostoli e discepoli. Questo però non gli impediva di avere dei momenti “a tu per tu” col Padre, come narrano i Vangeli. Con loro aveva anche una cassa comune, tenuta dall’apostolo Giuda (cf. Gv 12, 4-6). Cf. E. Rocchi, IO… vengo per ABITARE con te in “vocazioni” 31 (2014) n. 3, pp. 15-25.

[39]Cf. E. Rocchi, Pensare e agire da vera famiglia in “presbyteri” 47 (2013) n. 8, pp. 604-610.

[40]Cf. GP. Salvini, Quindici malattie, dieci cure. Il Papa alla Curia e ai dipendenti vaticani in “La Civiltà Cattolica” 2015 I 180-188 | 3950 (17 gennaio 2015); Commissione Episcopale per il clero e la vita consacrata della CEI, Fare i preti. Esperienze e prospettive per la formazione permanente (a cura di F. Lambiasi), Dehoniane, Bologna 2014; L. Tonello (ed.), Formazione permanente dei presbiteri. L’esperienza dell’Istituto San Luca, Messaggero e Facoltà Teologica del Triveneto, Padova 2012. Da citare il n. 5 del 2014 della rivista “Vocazioni”, Consapevoli e consistenti. Pastorale vocazionale e formazione dei presbiteri, consegnato ai partecipanti all’Assemblea straordinaria della CEI del novembre scorso dedicata al tema della formazione permanente del clero.

[41]Nella Evangelii gaudium Papa Francesco parla della mondanità spirituale: «La mondanità spirituale, che si nasconde dietro apparenze di religiosità e persino di amore alla Chiesa, consiste nel cercare, al posto della gloria del Signore, la gloria umana ed il benessere personale. […] Assume molte forme, a seconda del tipo di persona e della condizione nella quale si insinua. […] Ma se invadesse la Chiesa, sarebbe infinitamente più disastrosa di qualunque altra mondanità semplicemente morale. […] si alimenta la vanagloria di coloro che si accontentano di avere qualche potere e preferiscono essere generali di eserciti sconfitti piuttosto che semplici soldati di uno squadrone che continua a combattere. Quante volte sogniamo piani apostolici espansionistici, meticolosi e ben disegnati, tipici dei generali sconfitti! Così neghiamo la nostra storia di Chiesa, che è gloriosa in quanto storia di sacrifici, di speranza, di lotta quotidiana, di vita consumata nel servizio, di costanza nel lavoro faticoso» (nn. 93. 96).

[42]Cf. A, Cencini, DISCERNIMENTO: uno SGUARDO che si prende cura in “Vocazioni” 31 (2014) n. 5, 25-33. Questo atteggiamento non è da confondere con il paternalismo (cf. Eb 12, 4-6). Come è decisivo il servizio del Vescovo il quale dovrebbe (tendere a) avere una conoscenza e un dialogo con ogni presbitero che gli è affidato – anche da questo dipende l’attuazione del Concilio –, così lo è l’impegnarsi nella pastorale familiare perché prepara il terreno favorevole al maturare delle vocazioni nella Chiesa.

[43]La si trova nel n. 1549. Sant’Ignazio di Antiochia afferma: «Cercate di tenervi ben saldi nei precetti del Signore e degli apostoli perché vi riesca bene quanto fate nella carne e nello spirito, nella fede e nella carità, nel Figlio, nel Padre e nello Spirito, al principio e alla fine, con il vostro vescovo che è tanto degno e con la preziosa corona spirituale dei vostri presbiteri e dei diaconi secondo Dio. Siate sottomessi al vescovo e gli uni agli altri, come Gesù Cristo al Padre, nella carne, e gli apostoli a Cristo e al Padre e allo Spirito, affinché l’unione sia carnale e spirituale» (Lettera ai cristiani di Magnesia, XIII,1-2).

[44]Preferisco parlare di giovani di ordinazione perché molto spesso gli ordinati non sono giovani in senso anagrafico. Negli anni ’80 erano pochi i casi di “vocazioni adulte” ma ora mi sembra che, nei paesi occidentali in particolare, siano quasi la norma.

[45]Cf. Benedetto XVI, Messaggio per la Quaresima 2012 «Prestiamo attenzione gli uni agli altri, per stimolarci a vicenda nella carità e nelle opere buone» (Eb 10, 24), n. 1.

[46]Benedetto XVI, Lettera alla diocesi e alla città di Roma sul compito dell’educazione (21 gennaio 2008). Prezioso l’invito a vivere «l’amore ricco di intelligenza e l’intelligenza piena di amore» (n. 30 della Caritas in veritate [29 giugno 2009]).

[47]Cf. M, Delpini, Per un “PRESBITERIO VOCAZIONALE” in “Vocazioni” 31 (2014) n. 5, 43-51.

[48]Cf. E. Falavegna, NOI… compositori CREDIBILI E CREATIVI in “vocazioni” 31 (2014) n. 6, pp. 36-45.

[49]Cf. Giovanni Paolo II, Lettera apostolica Novo millennio ineunte (6 gennaio 2001), nn. 42-43. Paolo VI durante il Concilio aveva affermato: «Forse questa pluralità di studi e di discussioni porterà qualche difficoltà pratica: l’azione collettiva è più complicata di quella individuale, ma se essa meglio risponde all’indole insieme monarchica e gerarchica della Chiesa e meglio conforta con la vostra cooperazione la nostra fatica, sapremo in prudenza e in carità superare gli ostacoli propri d’un più complesso ordinamento del regime ecclesiastico» (Discorso di chiusura del 3° Periodo del Concilio (5a Sessione del 21 novembre 1964) in EV 1/289*).

[50]Cf. E. Rocchi, È possibile (far) vedere Gesù? in “Firmana” 21 (2012) n. 1, pp. 235-258.

[51]Concilio Ecumenico Vaticano II, costituzione pastorale Gaudium et spes, n. 41.

[52]San Giovanni della Croce, Detti di luce e amore in Opere complete, San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 2001, pp. 109-111. 116.

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