Si è concluso con una porta aperta verso il futuro il Convegno dei catechisti parrocchiali intitolato “Catechisti chiamati e inviati nella chiesa in uscita”. Dopo l’introduzione di Don Giuseppe Basile e la preghiera guidata da Don Aniello Crescenzi, Don Jourdan Pinheiro ha proseguito la sua relazione con concretezza, ma anche tanta simpatia.
Il Direttore dell’Ufficio Catechistico Diocesano di Albano e dell’Ufficio Catechistico Regionale del Lazio ha iniziato il suo intervento leggendo alcune testimonianze e spiegando che il compito del catechista non è sporadico, ma è una vera e propria vocazione trasversale che investe laici e religiosi. «La chiesa in uscita» ha chiarito Don Jourdan «non si lamenta della zizzania, ma sa vedere i frutti buoni e sa festeggiare. È stato il Signore a dirlo anche ai suoi discepoli: uscite dal cenacolo, uscite dalle vostre paure».
Il sacerdote, partendo da un passo della lettera di San Paolo ai Tessalonicesi e con l’ausilio di tre brani tratti da “Incontriamo Gesù”, il documento per gli orientamenti nazionali per l’annuncio e la catechesi, è poi passato ad elencare gli aspetti che devono qualificare l’identità di un catechista che esce dal cenacolo. Tre caratteristiche imprescindibili l’una dall’altra: essere testimoni, educatori e accompagnatori.
C’è bisogno di più testimoni e meno maestri, per questo Don Jourdan ha invitato tutti ad ascoltare l’esortazione di San Francesco: “predicate sempre il Vangelo e, se è necessario, usate anche le parole”. «Non bisogna cedere alla tentazione di dire qui Dio non c’è o non troverà mai posto» ha proseguito «ma dobbiamo saper riconoscere i segni di speranza dell’oggi, non pensare a come fosse meglio prima, ma interrogarsi su quello che lasceremo domani agli altri». «A volte» ha poi aggiunto il direttore dell’Ufficio Catechistico Regionale «pensiamo solo ai problemi che sono all’interno dei confini dei nostri recinti, quando invece dovremmo uscire e arrivare alle periferie esistenziali».
I catechisti devono poi essere educatori perché, nel proprio operato, entra in gioco la totalità della persona. Donne e uomini capaci di custodire dentro di loro il dono di Dio, l’incontro con Gesù, per poi risvegliarlo negli altri. Educatori che, però, hanno un continuo bisogno di formazione perché non si è mai del tutto arrivati, la comunità non è sempre la stessa e, soprattutto, dal momento che la chiamata cresce e matura con il chiamato.
Ultima caratteristica indispensabile: essere accompagnatore. «Per molto tempo» ha commentato il sacerdote «il catechista è stato solo l’esperto della preparazione religiosa, ma ora è il Papa stesso che ci dice di imparare l’arte dell’accompagnamento, “mettersi accanto” e “camminare con”». «Il chiamato inviato» ha chiosato «è inviato chiamante perché deve essere attento all’aspetto e alla dimensione vocazionale dei rapporti che intreccia».
Dopo l’intervento di Don Jourdan, ha preso la parola il Vescovo, il quale ha illustrato la sua lettera pastorale, scritta al termine della missione popolare diocesana dello scorso settembre. Monsignor Antonazzo ha fatto presente che il testo, “Inviati per una chiesa in ‘uscita’”, è il frutto delle relazioni arrivate dalle sei zone pastorali e non è né chiuso né blindato. Sua Eccellenza ha infatti esortato tutti i presenti a leggere attentamente il documento e a far presente eventuali osservazioni o precisazioni.
La lettera, scritta “per una rinnovata pastorale missionaria”, parte dal momento in cui si è iniziato a parlare di missione, passa per la settimana missionaria e guarda al domani perché continui un cammino in comunione che dovrà durare almeno per tutto l’anno pastorale in corso. «La lettera» ha spiegato Sua Eccellenza «chiude l’esperienza della missione raccogliendo ciò che abbiamo vissuto e guarda al futuro». «Lo slogan di questa esperienza» ha aggiunto «potrebbe essere “una settimana per la vita” perché il nostro deve essere uno stato di evangelizzazione continua. La missione, infatti, se non ha un seguito non ha senso».
Maria Caterina De Blasis