La proposta di legge anti-omofobia e i suoi fini

Ufficio Diocesano per la Pastorale Familiare

“Quale futuro per la famiglia?”

Tra la giurisprudenza delle Corti e il relativismo etico

La Camera dei Deputati, il 19 settembre c.a., ha approvato in prima lettura il disegno di legge dal titolo: Disposizioni in materia di contrasto dell’omofobia e della transfobia.

I voti favorevoli a tale progetto di legge sono stati 228, i contrari 108 e gli astenuti 57. Hanno votato a favore Pd, Scelta Civica e Psi. Per il no si sono espressi Pdl (ma con il sì in dissenso di Giancarlo Galan), Lega e Fratelli d’Italia. Sel e Movimento 5 Stelle si sono astenuti.

I promotori hanno ritenuto di innestare artatamente tale progetto di legge su una legge speciale già esistente: la cd. “legge Mancino” n. 122/1993, modificativa della legge n. 654/1975, che ha recepito nel nostro ordinamento la Convenzione di New York del 1966 sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale.

Alla legge Mancino – che prevede forti sanzioni penali di tipo detentivo e accessorio a chi diffonde, incita a commettere, o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi e che vieta, tra l’altro, ogni organizzazione, associazione, movimento o gruppo avente tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione, o alla violenza per i motivi suddetti, – si è pensato di aggiungere altre due “categorie protette”: quelle afferenti all’omofobia e alla transofobia.

Tali termini, però, non sono conosciuti dal nostro ordinamento giuridico e dunque, dovranno essere riempiti di contenuto dai giudici.

Pertanto, gli elementi problematici e direi pericolosi di questa legge risiedono proprio nell’incertezza e nella fluidità della determinazione della condotta delittuosa, che è lasciata alla sensibilità del giudice, che potrà considerare istigazione all’odio e/o alla violenza espressioni che manifestino un giudizio non conforme a una sua scala di valori, che in un clima di accentuato relativismo etico è del tutto soggettiva.

Fa meraviglia, comunque, la fretta con cui è stato approvato tale disegno di legge dalla Camera dei Deputati, che ora è al vaglio del Senato, che intende approvarlo in tempi brevi, nonostante non ci sia alcuna urgenza sociale e nonostante siano altre le priorità a cui gli italiani attendono che si provveda.

Non è soltanto la fretta con la quale il Parlamento sta trattando tale disegno di legge che desta meraviglia, ma anche l’inutilità di tale provvedimento, visto che le norme del nostro ordinamento sono del tutto sufficienti a fronteggiare qualsiasi abuso nei confronti di qualsiasi soggetto, compresi quelli con orientamento omosessuale.

 Cerchiamo, allora, di capire cosa vi è alla base di questo progetto di legge approvato dalla Camera, in fretta e in furia.

 Tale progetto è, in verità, un dispositivo sostanzialmente ideologico e simbolico, che i movimenti LGBTIQ (Lesbian, gay, bisexual, transgender, intersex, queer) vogliono usare come apripista per inserire il matrimonio e l’adozione gay nel nostro ordinamento; ma tale provvedimento legislativo  ha, anche e soprattutto, un malcelato intento pedagogico e rieducativo del popolo italiano, finalizzato ad accompagnarlo con le buone e, se necessario, con le cattive (è prevista la reclusione fino a 1 anno e sei mesi e un’aggravante che aumenta la pena fino alla metà)  a considerare l’omosessualità un modo come un altro di vivere la sessualità e ad indurlo a prendere atto che non esiste una “normalità”, perché non esiste una “natura umana”.

 

Considerazioni sulla legge anti-omofobia approvata alla Camera

E’ di grande importanza, per una corretta analisi del disegno di legge, già approvato dalla Camera, ribadire, che i termini – omofobia e transfobia – che sono le nuove “categorie protette” inserite nella legge Mancino, hanno un’accezione incerta e comunque non prevista dal nostro ordinamento giuridico, il cui contenuto sarà determinato e non solo interpretato, dall’applicazione giurisprudenziale e ciò con evidenti rischi di pronunce radicalmente difformi, a causa del significato discrezionale che di volta in volta l’autorità giudiziaria darà a tali termini.

Il progetto di legge anti-omofobia sembra non tenere conto del principio di tassatività, direttamente collegato all’articolo 25 della Carta costituzionale. Viene, infatti, abbandonato un sistema penale fondato, per senso di realtà e garanzia, su dati oggettivi e diventano penalmente rilevanti, con conseguenze non lievi, viste le sanzioni in discussione, categorie non definite – per l’appunto, omofobia e transfobia –, la cui area di applicazione è ad alto rischio di arbitrarietà.

Oltre alla violazione del principio di tassatività per incertezza sull’oggetto effettivamente tutelato, le disposizioni progettate rischiano di violare il principio di tassatività anche sotto il profilo dell’idoneità descrittiva della proposizione normativa. I concetti di omofobia e transfobia non hanno precisione descrittiva e quindi risulta non chiaramente delimitato l’ambito dell’intervento punitivo.

Il dato normativo del progetto di legge prevede, difatti, la reclusione fino ad un anno e sei mesi e in alternativa  la multa fino a 6.000 euro per chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi o fondati sull’omofobia o sulla transfobia.

Prevede, invece, la reclusione da sei mesi a quattro anni per chi, in qualsiasi modo, istiga a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi o fondati sull’omofobia o sulla transfobia.

Vi è di più!

Il progetto di legge vieta ogni organizzazione, associazione, movimento o gruppo avente tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione, o alla violenza per motivi fondati sull’omofobia o sulla transfobia. Chi partecipa a tali organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi, o presta assistenza alla loro attività, è punito, per il solo fatto della partecipazione o dell’assistenza, con la reclusione da sei mesi a quattro anni. Coloro che promuovono o dirigono tali organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da  uno a sei anni.

Per esemplificare il senso delle norme suddette va detto che, alla stregua di tale proposta, potrebbero essere sottoposti a processo, in quanto incitanti a commettere atti di discriminazione per motivi di identità sessuale, tutti coloro che sollecitassero i parlamentari della Repubblica a non introdurre nella legislazione il “matrimonio” gay e, ancor più, tutti coloro che proponessero di escludere la facoltà di adottare un bambino a coppie omosessuali.

E’ opportuno ricordare, a tal proposito, che la Corte Suprema degli Stati Uniti ha definito «discriminazione» anche l’opposizione di principio al matrimonio e alle adozioni omosessuali, e tribunali americani e britannici hanno considerato discriminatorie affermazioni secondo cui gli atti omosessuali sono «disordinati» dal punto di vista morale, un’espressione che com’è noto si trova anche nel Catechismo della Chiesa Cattolica.

La debole clausola di salvaguardia inserita nella legge

Alcuni parlamentari afferenti a Scelta Civica, pensando di depotenziare il dispositivo ideologico che stava per essere approvato, hanno proposto un sub-emendamento, contenente una clausola di salvaguardia delle libertà di opinione e di espressione dal seguente tenore:

c) dopo il comma 3 è stato aggiunto il seguente:

              « Ai sensi della presente legge, non costituiscono discriminazione, né istigazione alla discriminazione, la libera espressione e manifestazione di convincimenti od opinioni riconducibili al pluralismo delle idee, purché non istighino all’odio o alla violenza, né le condotte conformi al diritto vigente ovvero anche se assunte all’interno di organizzazioni che svolgono attività di natura politica, sindacale, culturale, sanitaria, di istruzione ovvero di religione o di culto, relative all’attuazione dei principi e dei valori di rilevanza costituzionale che connotano tali organizzazioni.»

Tale clausola di salvaguardia apposta con l’intento di presidiare la libertà di opinione e di espressione, invero, presenta varie lacune che la fanno apparire facilmente aggirabile e pertanto non utile allo scopo dei proponenti.

I  punti deboli della suddetta clausola sono i seguenti:

a)      questa si premura di escludere dai casi di discriminazione e d’istigazione alla discriminazione la libera espressione e la manifestazione di convincimenti od opinioni riconducibili al pluralismo delle idee, purché non istighino all’odio o alla violenza.

A questo punto ci chiediamo: chi dovrà determinare se le libere espressioni e/o le opinioni riconducibili al pluralismo delle idee istighino, o meno all’odio, o alla violenza? Certo dovrà essere un giudice a farlo; ma il pericolo risiede nell’incertezza e fluidità della determinazione della condotta delittuosa, che è lasciata alla sensibilità del giudice, che potrà considerare istigazione all’odio e/o alla violenza espressioni che manifestino un giudizio non conforme ad una sua scala di valori, che in un clima di accentuato relativismo etico è del tutto soggettiva.

b)     Altro punto debole è la parte della norma in cui si afferma di escludere dai casi di discriminazione “le condotte conformi al diritto vigente”. Un punto di domanda è d’obbligo: quando tale legge verrà approvata,  sarà annoverata anch’essa nel diritto vigente e pertanto tale inciso, del tutto tautologico, cosa salvaguarderà? Ritengo, pertanto, che tale clausola sarà del tutto inutile.

c)      Altro punto molto ambiguo della clausola di salvaguardia è quello in cui si afferma di escludere dal reato di omofobia le condotte “ se assunte all’interno di organizzazioni che svolgono attività di natura politica, sindacale, culturale, sanitaria, di istruzione ovvero di religione o di culto, relative all’attuazione dei principi e dei valori di rilevanza costituzionale che connotano tali organizzazioni”.  Il fumoso dettato della norma permette la libertà di opinione e di espressione all’interno (dove? all’interno dei locali?) delle organizzazioni, ma se queste opinioni, o tesi si volessero portare al di fuori delle sedi, ciò non sarà possibile, perché s’incorrerebbe nel carcere previsto dalla stessa legge. Cerco di fare un esempio: se un’associazione religiosa, o politica decidesse di promuovere una campagna contro un’eventuale proposta di legge a favore del matrimonio gay, cosa accadrebbe nel momento in cui tale associazione dovesse  diffondere all’esterno le proprie opinioni? Sarebbe sciolta come prevede la legge Mancino all’art. 7? E i soci patirebbero il carcere?

Sorge un altro punto di domanda: cosa accadrebbe all’attivista di un’associazione che decidesse individualmente di diffondere in pubblico le idee della sua associazione, che considera l’omosessualità un disordine e ritiene inaccettabile il matrimonio gay? Cosa accadrebbe se tali idee fossero diffuse al bar, in piazza, o dal barbiere? La risposta è facile: incorrerebbe come minimo ad essere iscritto nel registro degli indagati, con tutto ciò che ne consegue.

Tutto ciò, come detto, potrà avvenire per l’indeterminatezza dei termini omofobia e transfobia, che unita all’ambigua e lacunosa clausola di salvaguardia, lascerebbe, comunque, ampia discrezionalità ai giudici di riempire di contenuto e di interpretare tali categorie non definite dal nostro ordinamento giuridico, in modo gravemente lesivo della libertà di pensiero e di espressione, esponendo i “buoni” a un costante e defatigante (e costoso) contenzioso.

 

L’inserimento della circostanza aggravante

Un altro elemento di non minore gravità e di grande allarme sociale è l’inserimento nella legge della circostanza aggravante ex art. 3 della legge Mancino, che prevede “per i reati punibili con pena diversa da quella dell’ergastolo commessi per finalità di discriminazione o di odio fondati sull’omofobia o transfobia, ovvero al fine di agevolare l’attività di organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi che hanno tra i loro scopi le medesime finalità”,  l’aumento della pena fino alla metà.

La gravità di questa circostanza, oltre che in sé, sta nel fatto che gli articoli 5, 6 e 7 della Mancino si applicano quando si procede per i reati aggravati ai sensi dell’articolo 3; pertanto se la legge sarà approvata dal Senato con il medesimo testo licenziato dalla Camera, saranno possibili perquisizioni, sequestri e confische delle sedi nelle quali l’autore del reato aggravato si riunisce (art. 5), la sospensione e lo scioglimento delle associazioni cui egli appartiene (art. 7).

Cosa c’è dietro la legge anti-omofobia

Un’emergenza omofobia nel nostro Paese non esiste. Nonostante ciò, ad occupare il primo posto nella scala delle priorità della politica e del parlamento non è la crisi economica ed istituzionale, non sono i problemi del lavoro, dei disoccupati e degli esodati, delle imprese che chiudono, della salute dei cittadini. No, il problema dei problemi in Italia è l’omofobia.

La legge anti-omofobia è, come detto, una legge inutile, perché i mezzi di tutela nei confronti degli eventuali abusi subiti dalle persone omosessuali sono già ampiamente previsti dal nostro ordinamento giuridico.

Appare, pertanto, inopportuno e infondato giuridicamente proteggere con leggi speciali solo una categoria di cittadini. E’ significativa la domanda posta da Piero Ostellino, in un editoriale pubblicato dal Corriere della Sera: «Non riesco a capire perché picchiare un omosessuale sarebbe un’aggravante, mentre picchiare me — che sono “solo” un essere umano senza particolari, selettive e distintive, qualificazioni sessuali — sarebbe meno grave. Picchiare qualcuno è un reato. Punto, basta e dovrebbe bastare».

Appare, tuttavia, necessario rilevare che la legge anti-omofobia ha un chiaro obiettivo: quello di porre le basi pedagogiche e rieducative per decostruire i pilastri della convivenza sociale, attraverso un mutamento della struttura sociale in modo del tutto artificiale, che prevede, tra l’altro, l’abolizione dal nostro ordinamento giuridico, dei termini padre, madre, marito e moglie, com’è già avvenuto in Spagna e in Francia e di cui anche in Italia si avvertono i segnali.

Nondimeno, rileva notare, che alla base di questo processo culturale e giuridico in atto in vari Paesi occidentali e, ora anche in Italia, vi è l’ideologia del gender, che è il nuovo pilastro attorno al quale si sta tentando di rimodellare non solo la disciplina del matrimonio e della famiglia, ma anche quella dell’adozione, della fecondazione e dei programmi educativi, introducendo anche una sorta di neo-lingua giuridica (progenitore A e B in luogo di padre e madre; gestazione per altri in luogo di utero in affitto; ovodonazione in luogo di vendita di ovuli femminili, etc.).

In tale ottica, le normative anti-omofobia hanno avuto, negli altri Paesi, una duplice funzione: quella di mettere, per un verso, definitivamente fuori gioco la prospettiva di un diritto di famiglia ancorato al dato naturale e, per altro, di introdurre il divieto di discriminazione inteso non come tutela da comportamenti persecutori, bensì come diritto di tutti a tutto ovvero, per riprendere slogan recenti, come un matrimonio e un figlio per tutti.

La legge anti-omofobia, dunque, è parte integrante di una strategia, che ha come obiettivo finale l’inserimento, in modo articolato, nell’ordinamento giuridico italiano, del matrimonio tra persone omosessuali e l’estensione, a questi, del diritto di adozione di minori. E’ il primo step, come ha affermato, tra l’altro, l’on. Ivan Scalfarotto, esponente del Pd e relatore alla Camera della legge antiomofobia, che intervistato il 26 agosto 2013 da L’Espresso, testata sulla quale era stato contestato per presunte “mediazioni al ribasso” sulle nuove norme all’interno della Commissione Giustizia, alla domanda “questo dibattito non allontana quello sui matrimoni gay”? lui risponde: “lo precede. Perché sono due cose diverse. E l’una viene logicamente prima dell’altra”.

Pertanto, se il Parlamento Italiano dovesse approvare definitivamente questa proposta di legge sarebbe messa in gioco la libertà di opinione,poiché una siffatta legge, così come formulata, non potrebbe non avere gravi ripercussioni sui diritti fondamentali dell’uomo riconosciuti dalla nostra Costituzione, tra cui il diritto alla libertà di pensiero (art.21) e alla libertà religiosa (art.19).

Se esprimere opinioni non «politicamente corrette», dunque, diventa un reato, la libertà religiosa e la stessa libertà di opinione sono in pericolo. Lo ha detto di recente PapaFrancesco, citando il profetico romanzo Padrone del mondo dello scrittore britannico Robert Hugh Benson (1871-1914): quando il «pensiero debole» del relativismo diventa «pensiero unico» obbligatorio per legge, finisce la libertà e iniziano nuove forme di totalitarismo pericolose per tutti.

Chi, dunque, ha a cuore le sorti della nostra civiltà, non può sperare che siano altri ad  impegnarsi a difesa dei presìdi su cui essa si fonda; non è giustificabile la logica del disimpegno. Sarà necessario che tutte le persone di buona volontà si uniscano per proporre in vari ambiti (dai mass media, alle piazze, alle scuole, alle università) la bellezza della famiglia, composta da un uomo e da una donna, come bene prezioso da custodire e da amare, propiziando, anche e opportunamente una sua difesa.

 

di Giancarlo Cerrelli

Vice Presidente UGCI

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