La riscoperta di un passato antichissimo e l’attualità del messaggio evangelico: la riapertura della chiesa di San Marciano ad Atina è stata l’occasione per tornare a parlare di fede e storia, di antichità e modernità, nella cornice di un profondo senso comunitario nel nome di Cristo.
La sinergia tra le istituzioni e la comunità locale costituisce la realizzazione più piena dell’esortazione alla concordia contenuta nella lettera di San Giacomo, ma anche della pagina del Vangelo del giorno legata al tema del servizio e del servire, come ha voluto sottolineare nella sua omelia il Vescovo Gerardo che ha presieduto la celebrazione.
L’attenta supervisione della Soprintendenza ai Beni Archeologici del Lazio, unita alla sensibilità delle Amministrazioni comunali Lancia e Mancini e all’insistenza del parroco don Domenico Simeone per conservare il carattere liturgico dell’edificio, hanno permesso alla comunità di Atina in località San Marciano di poter nuovamente fruire di una Chiesa, restituita alla dignità della propria funzione sacra e posta a testimonianza dell’antichità delle radici cristiane di Atina.
La chiesa è stata oggetto di un intervento per il recupero statico e conservativo finanziato dalla L.R. 27/90 che ha portato alla luce 23 tombe disposte attorno ad una sepoltura monumentale posta in asse con l’aula di culto, messa in risalto dai segni del privilegio: deposizione singola, corredo funebre, triplice strato di tegole sigillato da elementi di riutilizzo e opera cementizia. Le componenti del corredo (olla fittile, tesoro funebre con 23 nummi) permettono di collocare cronologicamente la sepoltura nella prima metà del IV sec. d.C.; un frammento di lastra iscritta, inglobato nella gettata cementizia, recante il cristogramma e una formula funebre tipicamente cristiana (“pax tecum”) confermano l’appartenenza della necropoli alla fase paleocristiana.
Un percorso di fede lungo diciassette secoli ha ricevuto, con questa celebrazione, il suggello di una comunità che riscopre la memoria delle proprie origini cristiane.
– Paride Parravano
– Foto di Alberto Ceccon e Luciano Caira