Convegno diocesano dei catechisti
DIOCESI DI SORA-CASSINO- AQUINO-PONTECORVO
Narrare il vangelo per un umanesimo di misericordia
Primo giorno
L’annuncio via del nuovo umanesimo
don Salvatore Soreca
La traccia del convegno ecclesiale di Firenze, introducendo la via dell’annunciare, indica la necessità di «verificare quanto abbiamo rinnovato l’annuncio»[1] come volano di una conversione missionaria della pastorale:
è necessario passare da una pastorale di semplice conservazione ad una pastorale decisamente missionaria […].Sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione. La riforma delle strutture, che esige la conversione pastorale, si può intendere solo in questo senso: fare in modo che esse diventino tutte più missionarie, che la pastorale ordinaria in tutte le sue istanze sia più espansiva e aperta, che ponga gli agenti pastorali in costante atteggiamento di “uscita” e favorisca così la risposta positiva di tutti coloro ai quali Gesù offre la sua amicizia. Come diceva Giovanni Paolo II ai Vescovi dell’Oceania, «ogni rinnovamento nella Chiesa deve avere la missione come suo scopo per non cadere preda di una specie d’introversione ecclesiale». [2]
Verificare il rinnovamento dell’annuncio è, necessariamente, verificare a che punto è il rinnovamento e la riforma del tessuto ecclesiale, delle strutture e del sistema educativo ecclesiale perché la chiesa evangelizza non solo con le parole, ma con la forma che si dà dentro la storia. Il suo modo di abitare la storia esprime la sua tensione missionaria. La missione e l’annuncio sono le chiavi del ripensamento della figura del cristianesimo, della chiesa e della sua pastorale. Si tratta di rileggere la vita della comunità ecclesiale a partire dall’assioma fondamentale del rinnovamento pastorale e catechistico italiano: l’integrazione fede-vita. Non è solo una questione metodologica; si tratta di considerare la verità dell’agire ecclesiale, nella sua natura teandrica, capace di attualizzare la salvezza, di catalizzare la correlazione fede-vita e di portare a compimento l’umano nella complessità delle sue tensioni.
Nel mio intervento, rifletterò sulla via dell’annuncio, in tre passaggi: un’introduzione sull’attenzione al primo annuncio; l’approfondimento della via dell’annuncio come attenzione di tutto l’agire ecclesiale; la proposta della via dell’annuncio come stile pastorale per abitare il nostro tempo.
- Il primo annuncio: una rilettura della via dell’annuncio
Al n. 35 gli Orientamenti per l’annunzio e la catechesi in Italia, Incontriamo Gesù, affermano che:[3]
Il primo annuncio è paziente e sa concentrarsi sull’essenziale della fede, senza per questo ridurre il valore e la ricchezza della riflessione dottrinale e della vita cristiana. Occorre soprattutto partire dalle esperienze che costellano la vita di ciascuno, da quel desiderio di una vita felice che è l’inizio e il punto d’arrivo di ogni avventura umana e cristiana.
È interessante sottolineare che gli Orientamenti parlano di primo annunzio (da ora PA) accordandolo con la categoria di desiderio, più precisamente il desiderio di una vita felice. Cosa può significare, per noi chiesa, ripensare la passione per l’annuncio del Regno nella prospettiva del desiderio di felicità che anima il cuore di ogni uomo? Proviamo, se pur brevemente, a penetrare la categoria di desiderio per infondere maggiore luce sull’annuncio. Per desiderio potremmo intendere una disponibilità a canalizzare tutte le nostre energie verso un oggetto stimato centrale per noi, in tale senso il desiderio, a differenza del bisogno, è esperienza nella quale l’uomo proietta se stesso nell’ambito della trascendenza. Il bisogno si soddisfa, il desiderio si coltiva, si condivide, perché è da esso che scaturisce la progettualità. Il volere e il decidere responsabile e progettuale è un’esperienza creativa che riceve la sua forza dal desiderio. Se manca il desiderio, la volontà è ridotta a volontarismo e il proposito diventa sofferenza. Pensare il PA in sintonia con la dinamica del desiderio significa liberalo dalle logiche di risposta certa e chiara ad un presunto bisogno di verità diagnosticato in coloro che ci ascoltano, e considerarlo azione ecclesiale nella quale l’essenziale della fede tocca l’essenziale della vita; nella quale la gioia di Gesù può intercettare il desiderio di felicità nel cuore di coloro che incontriamo. Penso che sia proprio qui la forza umanizzante dell’annuncio del Vangelo: «la creazione del mondo in Cristo e soprattutto la creazione dell’uomo a immagine di Dio in Gesù ha come conseguenza che l’essere umano giunge ad esser se stesso, realizzando il disegno di Dio su di lui, quando partecipa alla relazione con Dio e con gli uomini (filiazione e fraternità) propria di Gesù»[4] (GS 22)[5]. Annunciare il compimento dell’umanità nella partecipazione alla vita filiale di Gesù è la maggiore perfezione dell’uomo:
perfezione che solo per il dono di Dio l’uomo può ricevere, ma che corrisponde nello stesso tempo alla realtà più profonda del suo essere se pensiamo che la vocazione in Gesù è un elemento determinante la sua esistenza concreta […] La divinizzazione dell’uomo non può essere concepita se non come l’incorporazione all’umanità divinizzata di Gesù […] Solo con questo riferimento fondamentale a Gesù, la cui immagine siamo chiamati a riprodurre sin dal principio della creazione, possiamo comprendere la “grazia” come la perfezione del nostro essere umano. In essa si produce la piena realizzazione della nostra vocazione personale, risposta alla donazione personale di Dio trino, che ci costituisce in ciò che siamo. La grazia perfeziona la nostra natura, il nostro essere creaturale e il nostro essere personale, nel senso che soltanto essa può portare a compimento l’essere dell’uomo realmente esistente. Non è una realtà creata la causa della nostra pienezza, ma Dio stesso presente in noi nel suo Spirito Santo che ci unisce a Gesù, perché per mezzo di lui possiamo avere accesso al Padre. Il mistero dell’uomo si apre così al mistero stesso del Dio trino[6].
Vivere un PA in sintonia con la dinamica del desiderio per svelare la forma umanizzante e santificante del Vangelo di Gesù è possibile nella misura in cui la comunità ecclesiale cura la disponibilità ad accogliere e ad accompagnare le diverse forme di espressione di tale desiderio, nella consapevolezza che solo accompagnando, ponendosi all’interno di alcune esperienze, ella può annunciare la Parola che redime. In Evangelii Gaudium papa Francesco descrive così il PA:
Abbiamo riscoperto che anche nella catechesi ha un ruolo fondamentale il primo annuncio o “kerygma”, che deve occupare il centro dell’attività evangelizzatrice e di ogni intento di rinnovamento ecclesiale. Il kerygma è trinitario. È il fuoco dello Spirito che si dona sotto forma di lingue e ci fa credere in Gesù Cristo, che con la sua morte e resurrezione ci rivela e ci comunica l’infinita misericordia del Padre. Sulla bocca del catechista torna sempre a risuonare il primo annuncio: “Gesù Cristo ti ama, ha dato la sua vita per salvarti, e adesso è vivo al tuo fianco ogni giorno, per illuminarti, per rafforzarti, per liberarti”. Quando diciamo che questo annuncio è “il primo”, ciò non significa che sta all’inizio e dopo si dimentica o si sostituisce con altri contenuti che lo superano. È il primo in senso qualitativo, perché è l’annuncio principale, quello che si deve sempre tornare ad ascoltare in modi diversi e che si deve sempre tornare ad annunciare durante la catechesi in una forma o nell’altra, in tutte le sue tappe e i suoi momenti […] Non c’è nulla di più solido, di più profondo, di più sicuro, di più consistente e di più saggio di tale annuncio. Tutta la formazione cristiana è prima di tutto l’approfondimento del kerygma che va facendosi carne sempre più e sempre meglio, che mai smette di illuminare l’impegno catechistico, e che permette di comprendere adeguatamente il significato di qualunque tema che si sviluppa nella catechesi. È l’annuncio che risponde all’anelito d’infinito che c’è in ogni cuore umano (EG 164-165).
Il PA mira a donare l’intensità del Kerigma, perché il cuore del Vangelo tocchi il cuore di ogni esistenza umana. In questo modo la chiesa aiuta, quanti incontra, a scoprire che il desiderio di felicità può essere desiderio di Dio nella loro vita, e che il desiderio di Dio è sicuramente desiderio di felicità.
La gioia è l’atteggiamento spirituale fondamentale nel PA. Non è un caso che, soprattutto in Evangelii Gaudium, la sottolineatura della gioia sia costante (EG 1-18).[7] In genere non ci si aspetta che gente gioiosa e festante possa essere “anche” credente! Eppure è così! La missionarietà, in concreto, nelle nostre comunità, assume anche il volto di luoghi aperti, ospitali, sani, in cui ognuno può sentirsi accolto a braccia aperte, partecipi del cammino ecclesiale. Annunciare il Vangelo vuol dire, concludendo questo primo punto, porre attenzione, a due movimenti vitali per la comunità ecclesiale: un movimento che concerne la sua vita ad intra e un movimento che concerne la sua vita ad extra. Per quanto concerne l’attenzione alla vita intraecclesiale, la comunità ecclesiale deve vivere e assumere in modo radicale la storia nella quale è chiamata a costruire il Regno, per ripensare nuovi modi e termini per narrare la speranza del Vangelo. Compito della comunità ecclesiale non è reiterare una prassi missionaria centrata unicamente sulla trasmissione dei contenuti della fede e delle loro conseguenze etiche, ma realizzare un annunzio che scelga l’inculturazione non come strategia, ma via della evangelizzazione.
In altre parole, l’evangelizzazione si è connotata come inculturazione del Vangelo, la cui proposta sta ad indicare che il contenuto del messaggio cristiano non è riducibile a semplici schemi culturali propri di un determinato momento storico, ma li oltrepassa, pur nella coscienza della contestualità dell’annuncio.[8]
Annunciare il vangelo, comporta lo sforzo di costruire, in un atteggiamento di dialogo con la cultura, canali comunicativi nuovi attraverso i quali donare la Verità e la Speranza evangelica delle quali la Chiesa è custode.[9] Se l’annuncio della comunità deve introdurre il Mistero, sperimentato, celebrato, compreso e vissuto, è chiaro che è importante il recupero di tutta l’armonia dei linguaggi della fede. In tal senso, è importante che l’annuncio allarghi la propria razionalità e introduca l’intera gamma dei linguaggi umani e della fede: quello narrativo, quello simbolico della liturgia, quello della sintesi delle formulazioni dogmatiche, quello estetico della poesia e dell’arte, quello argomentativo, quello della preghiera.
Porre attenzione alla vita ad extra, mente, comporta per la comunità attivare processi interculturali che pongano il Vangelo in costante contatto con la cultura e con l’uomo contemporaneo per significare di nuovo la trama storica, creando e rinnovando i processi di elaborazione culturale:
Il Vangelo non solo può coniugarsi con la cultura e le culture, ma innesta nei processi di elaborazione culturale istanze e valori che possono contribuire alla maturazione dell’umano e del mondo, anche attraverso il suo spessore profetico e critico nei riguardi dei relativismi etici, delle tradizioni religiose, degli schemi operativi della società.[10]
Annunciare il Vangelo è allora rinarrare il Vangelo nella cultura di oggi, all’interno delle domande di senso e dei bisogni di salvezza, perché possa giungere in modo nuovo al pensare e alla comprensione degli uomini e delle donne di oggi, e possa portare a pienezza la Bellezza propria dell’uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio.[11] Evangelizzare la cultura è collaborare per trasformare l’umanità accompagnandone le scelte, le svolte, gli insuccessi;[12] è mostrare all’umanità il suo compimento nella piena umanità realizzata in Cristo (GS 22). In altri termini è leggere e vivere la storia a partire dall’/e nell’ evento fondatore della vita cristiana: Gesù Cristo.
Ma, in particolar modo, il processo di evangelizzazione della cultura deve puntare alla ri-creazione del tessuto umano, prerequisito indispensabile per riformulare una cultura che promuova il bene e la pace. L’esito va ben oltre, perché riassume nel suo orizzonte la stessa esperienza religiosa, aprendola, cammin facendo, al suo ruolo di riserva critica nei confronti delle strutture socio-culturali che impediscono la vita. Solo in questa prospettiva l’evangelizzazione potrà dare forma a comunità cristiane il cui stile di pensiero e di approccio dialogico alle questioni che riguardano il vivere comune, può contribuire alla narrazione e costruzione di una cultura che metta al centro la fioritura dell’umano.[13]
Quanto affermato fin qui, cosa comporta per l’annuncio? Annunciare il Regno non comporta unicamente consegnare dei contenuti statici, ma è raccontare un Vangelo impastato con la propria vita; far sperimentare una chiesa viva; comunicare che la fede è per la storia, per leggerla e trasformarla.
2. La via dell’annuncio attenzione di tutto l’agire pastorale
Una comunità ecclesiale attenta all’annuncio deve abitare il proprio contesto socio-culturale e proporsi, con la propria vita, come luogo accogliente, luogo profondamente umano e, per questo, “pieno di Cristo”. La via dell’annuncio è, allora, il primo ambito pastorale in cui realizzare l’integrazione fede-vita-cultura. L’accoglienza della fede e la scelta matura per Cristo vanno considerate nella prospettiva più ampia della consapevolezza e ricomprensione della propria cultura. Si tratta di riconsiderare tutto l’impegno missionario nella luce dell’inculturazione (DGC 109-110).[14] Annunciare il Regno è abitare evangelicamente i luoghi della vita ordinaria, per mostrare la gioia del Vangelo e per infonderne la forza rinnovatrice e umanizzante, perché il Kerigma si “faccia carne” nei passaggi della vita delle persone. Nella traccia del convegno ecclesiale di Fierenze, la via “dell’Abitare” è identificata con la scelta preferenziale per i poveri, come scelta fondamentale e programmatica, come condizione di possibilità di ogni annuncio del Vangelo e di ogni agire ecclesiale: senza l’opzione preferenziale per i più poveri, «l’annuncio del Vangelo, che pur è la prima carità, rischia di essere incompreso o di affogare in quel mare di parole a cui l’odierna società della comunicazione quotidianamente ci espone» (EG 19).
Quali allora, le attenzione di un agire ecclesiale in chiave di annuncio e capaci di esprimere un abitare così come indicato dalla traccia del convegno ecclesiale? Ne individuiamo quattro:
- Testimoniare l’amore di Dio con l’attenzione all’altro. Ogni fedele, la comunità tutta, deve necessariamente abbandonare la tensione a giudicare preventivamente le vita di coloro con i quali si entra in contatto per aprire il proprio cuore alla ricchezza dell’incontro;
- Uscire nel senso di abitare pienamente e con iniziativa. Il santo padre, in EG ai nn. 19-24 parla di una “chiesa in uscita”. A mio avviso l’espressione “in uscita” non allude ad un moto a luogo, cioè ad un andare verso, ma, forzando un pò la grammatica, definisce uno stato in luogo: la chiesa deve abitare pienamente la storia e la cultura in cui è inserita per “uscire” con l’umanità intera a lei affidata verso Cristo:
La comunità evangelizzatrice si mette mediante opere e gesti nella vita quotidiana degli altri, accorcia le distanze, si abbassa fino all’umiliazione se è necessario, e assume la vita umana, toccando la carne sofferente di Cristo nel popolo (EG 24).
- Partire dalle esperienze che costellano la vita di ciascuno, dal desiderio di una vita felice. La chiesa deve poter leggere il bello che è nella vita di chi incontra, per annunziare la Bellezza che è il compimento del bello disseminato nella vita delle persone.
- Curare la formazione di cristiani adulti nella fede capaci di rendere ragione della gioia della fede, raccontando il Vangelo sostanza di ogni singolo momento della vita.
Le attenzioni appena descritte sono sia la premessa necessaria per un annuncio che tocchi l’esistenza delle persone nei passaggi fondamentali della vita, in quelle che, gli Orientamenti Incontriamo Gesù, chiamano “soglie” nella quali il cuore dell’uomo può aprirsi ad una Parola che ridona significato (IG 37-41), sia le scelte fondamentali di un abitare che sempre più sia espressione di «una chiesa di popolo nelle trasformazioni demografiche, sociali e culturali che il Paese attraversa (con la fatica a generare e a educa- re i figli; con un’immigrazione massiva che produce importanti metamorfosi al tessuto sociale; con una trasformazione degli stili di vita che ci allontana dalla condivisione con i poveri e indebolisce i legami sociali)».[15]
- Una Chiesa esperta in umanità: uno stile pastorale in chiave di annuncio
Una comunità viva è una comunità capace di offrirsi come compagna di viaggio in tutte la stagioni della vita; non concentra le sue forze unicamente per educare alla fede solo alcune età, ma, nel suo vivere ogni giorno l’ascolto della Parola e la frazione del Pane Eucaristico, è luogo di crescita per tutti e per tutte le età. Solo in questa attenzione alla vita dell’uomo nell’integralità del suo sviluppo bio-psico-spirituale, la comunità può essere un “laboratorio di annuncio” capace di intercettare le soglie della vita di quanti in essa vivono o di quanti semplicemente l’attraversano per un momento. Il fondamento biblico della via dell’annuncio è si nel mandato missionario (MT 10,7) ma con non meno evidenza è nel comandamento dell’amore (Gv 13,34), la sintesi di tutta la legge e i profeti. Nell’amore, nella passione per l’uomo vissuta con la stessa intensità di Cristo (come io vi ho amati), la comunità ecclesiale ha la motivazione profonda di un annuncio sempre nuovo. Il dono della Parola come luce per la vita del popolo, scaturisce dalla compassione di Gesù (Mc 6, 34), dall’amore viscerale di Gesù per il suo popolo, quell’amore che è all’origine di tutto il piano salifico di Dio. In tale senso è possibile pensare la via dell’annuncio come una scelta ecclesiale che scaturisce direttamente dell’amore di Dio per ogni uomo.
- Una comunità che sa osservare e che sa orientare: l’annuncio nel tempo della ricerca
La prima “soglia” è la crisi dell’età preadolescenziale e adolescenziale. Dopo la linearità dei cammini iniziatici, la comunità deve ripensarsi e ripensare un annuncio capace di toccare la magmatica tensione evolutiva del periodo adolescenziale. Con l’adolescenza si entra in un kairos, un tempo mistico perché tempo in cui si svela il desiderio di futuro. In tal senso l’adolescenza è tempo da risignificare, perché la ricerca di senso avviata in questa tappa è fondamentale per la vita del ragazzo. L’adolescente inizia a percepire un proprio essere nel mondo, autonomo, segnato da diversi strappi con ciò che avverte come autorità, e, nel contempo, avverte l’esigenza di trascendersi, di andare oltre sé per trovare negli altri, nei “miti”, il senso del proprio vivere. In altre parole, realizza uno sguardo diverso sulla realtà che è il suo e che và necessariamente rispettato e compreso. La comunità ecclesiale può incidere su tale processo esistenziale, tanto potente quanto delicato, unicamente riempiendo di significato, di senso, i due ambiti che l’adolescente percepisce come “luoghi” in cui esprimere la sua autonomia: lo spazio e il tempo, proponendoli come spazio vissuto e tempo vissuto. Spazio e tempo, due luoghi significativi che possono mediare un vissuto capace di incidere sulla vita dell’adolescente. Risignificare l’adolescenza in un annuncio capace di toccare la vita dei ragazzi è, in altre parole, risignificare le dimensioni dello spazio e del tempo ritornando alla fede creduta, per rintracciare la tensione del soggetto alla ricerca di senso e orientarla al cuore del Mistero: lo spazio vissuto, lo spazio da abitare, è la comunità ecclesiale e il tempo vissuto, il tempo da abitare, è la storia personale di salvezza.
In quanto spazio vissuto, abitato, spazio umanizzato, la comunità ecclesiale può essere per l’adolescente, uno spazio bello, uno spazio felice, uno spazio da avere a cuore, in cui esprimere un proprio modo di stare nello spazio, quello della condivisione e della riflessione, della confusione e del silenzio, della prossimità affettiva e della solitudine. Spazio identificante perché impregnato di Vangelo e per questo spazio aperto al possibile, spazio della progettualità e, quindi, spazio della trascendenza. La propria storia di salvezza, nel suo essere tempo vissuto, è un tempo intriso di significato, è tempo teso al futuro e allo stesso tempo radicato nella comprensione di sé; è il tempo della ricerca della Bellezza che fa bella la vita e, quindi, è tempo della creatività, della possibilità, è, in sintesi, tempo della trascendenza. Incontrare uomini e donne con la propria storia personale di salvezza affascina i ragazzi più di qualsiasi contenuto, perché percepiscono nella vita incontrata la stessa sete di verità e di senso che caratterizza la loro vita.
- Una comunità che sa amare: l’annuncio nel tempo dell’amore
Nel suo essere esperienza complessa, l’amore nelle sue diverse forme è una “soglia” fondamentale della vita, espressione dell’accogliere e del lascarsi amare, dell’essere amabili e capaci di amore, del desiderio profondo di uscita verso l’altro. L’amore è spazio umano magmatico, complesso e ricco di tensione e per questo vulnerabile e allo stesso tempo il più incisivo nella crescita di una persona. La comunità, in quanto spazio relazionale in cui l’amore è vissuto in tutte le sue forme, può essere un luogo caratterizzante e incisivo per iniziare e per accompagnare la comprensione delle singole esperienze di amore (genitoriale, filiale, amicizia, fidanzamento, sponsale) nell’orizzonte dell’amore evangelico, nella misura dell’amore di Cristo. La possibilità di incidere su tale soglia non si coniuga con una presenza comunitaria rigida, autocelebrante e autoreferenziale, ma si realizza in uno stile comunionale intenso, dinamico e duttile, che realizza una presenza ecclesiale capace di adattarsi per accogliere e accompagnare la duttilità e l’imprevedibilità dell’amore, investendo sull’importanza di alcuni passaggi pastorali: «l’educazione affettiva dei giovani, la ricerca vocazionale anche in vista di speciali consacrazioni, i percorsi di preparazione al matrimonio e l’accompagnamento degli sposi, l’attenzione e la prossimità a situazioni di persone separate o divorziate» (IG 39).
- Una comunità che sa abitare la sua cultura: l’annuncio nel tempo dell’impegno
La passione per l’uomo espressa in tutte le sue forme – solidarietà, impegno per la giustizia sociale, denunzia del sistema mafioso, l’attenzione alla custodia del creato, la scelta di stili di vita sobri e solidali, la cura dei poveri e degli immigrati – è potenziale luogo di rivelazione del desiderio di Dio. La comunità ecclesiale che condivide radicalmente, con gli uomini e le donne di buona volontà, tali ansie, annunzia la “passione” di Cristo per l’uomo e per l’umano. Nell’agire pastorale, capace di valorizzare i segni del Regno presenti nelle pieghe della storia e della cultura e di denunciare le ferite e le contraddizioni del vivere sociale, la passione di Cristo per l’uomo incontra la passione di ogni uomo o donna, credente o non, per il proprio fratello più debole: si costruiscono alleanze sui crinali della carità, contesti fecondi per un annuncio della Parola intriso di umanità.
- Una comunità che sa farsi compagna: l’annuncio nel tempo della genitorialità
Accompagnare una giovane coppia che si prepara a vivere la genitorialità, è per la comunità una occasione feconda di annuncio. Il tempo dell’attesa di un bimbo è tempo carico di tensioni, – desiderio e paura, progettualità e preoccupazione, gioia e sofferenza, condivisione e intimità – che grattano via dalla vita della coppia tutto ciò che eccede il solo mistero che ad essi si schiude: la vita, dono del quale non possediamo la sorgente ma che ripone con forza la questione del senso. Rivolgere l’annunzio della Parola che salva nel tempo della genitorialità vuol dire accompagnare la coppia nell’attesa del bimbo, nell’accoglienze e nella prima educazione con una presenza discreta ma concreta. L’accompagnare nasce dal desiderio di coinvolgersi con l’esperienza dell’attesa. Annunciare inoltre è affiancarsi con rispetto alla coppia che si prepara a rinascere nuovamente alla vita, con occhi nuovi e quindi carichi di interrogativi. I modi e i tempi di un nuovo avvio nella vita di fede non vanno imposti dalla comunità che accompagna; i tempi, i luoghi e i processi della ricerca sono dettati dal cammino interiore e dal progressivo dischiudersi dei neogenitori. La comunità che accompagna, in altre parole, serve il cammino interiore della coppia, mostrandosi madre e famiglia. Sa ascoltare, provocare per sostenere l’entusiasmo e, allo stesso tempo, sa coinvolgersi con la vita della coppia. La comunità che accompagna, infine, è la memoria per i neogenitori: attraverso la ricchezza dell’esperienza di altre famiglie, la comunità è come uno scrigno da cui possono attingere quella Sapienza necessaria alla loro missione educativa.
- Una comunità che sa farsi vicino: l’annuncio nel tempo della sofferenza
Avere compassione, un patire-con, un sentire in se stessi il dramma della sofferenza dell’altro al punto che il nostro stesso cuore sembra spezzarsi. Potrebbe sembrare esagerato, a tratti forzato, ma solo in tale radicale prospettiva di condivisione, alla comunità cristiana è riconosciuta l’auterovelozza per rivolgere una Parola che sana, lì dove, nella sofferenza appunto, a regnare è il silenzio. Compatire, è il verbo della Kenosi, quella Kenosi verso il cuore della sofferenza del fratello a cui ogni comunità ecclesiale è chiamata. In un ottica pastorale, tale espressione indica la irrimandabile necessità di impegnarsi non in agire ecclesiale per chi soffre, ma in un agire ecclesiale con chi soffre, nella radicalità di una presenza profetica che si declina nell’urgenza di guardare alla realtà integrando la prospettiva della sofferenza e del fallimento. Compatire per la comunità si traduce nel “farsi vicino”, nell’accostarsi con discrezione alla vita ferita, perchè il riverbero di quest’ultima si propaghi nella trama relazionale della comunità per poter mitigarne, nella condivisione, l’effetto distruttivo. Usando un’immagine forte, il “farsi vicino” identifica l’attenzione della comunità ecclesiale volta a fermare l’emorragia di sangue in attesa dell’intervento risanatore. Troppo spesso sentiamo parlare di un bisogno di andare alle cause, di non avere le forze per accompagnare le tante esperienze di sofferenza che si affacciano nelle nostre comunità, di finirla con un assistenzialismo senza prospettiva; ciò è giusto nella misura in cui, in nome di questi assunti, non si sacrifichi la necessità di una presenza caritatevole che sa farsi primo intervento, che sa farsi tampone di tutte quelle situazioni per la cui risoluzione i tempi sono lunghi. L’annuncio, in questo ambito più che mai, è strettamente legato alla qualità e alla credibilità delle relazioni comunitaria, della vita ecclesiale: un annunzio sterile, impersonale, che non parte da un lungo lavoro di presenza e di condivisione delle fragilità, risulterebbe non solo inutile, ma a tratti dannoso per l’ esperienza di fede di chi soffre.
- Conclusione
«Di primo annuncio vanno innervate tutte le azioni pastorali», così la nota pastorale il Volto missionario della parrocchia in un mondo che cambia (VMPMC 6)[16] comunica che l’annuncio, in tutte le sue forme, è una tensione che caratterizza tutta la pastorale. Una pastorale intrisa di annunzio e in chiave di annunzio è una pastorale della proposta.[17] È forse questo il nodo fondamentale di una presenza ecclesiale capace di incarnare la Parola nel tessuto storico e culturale, ed essere laboratorio di un nuovo umanesimo in ascolto, concreto, plurale, integrale, d’interiorità e aperto alla trascendenza.[18] In questa prospettiva, è necessario che l’agire ecclesiale, in tutte le sue forme, sia vissuto come “luogo” dell’annuncio e dell’educazione della fede. La tensione missionaria costituisce il modo privilegiato per ravvivare la via dell’annuncio e dare forza alla proposta e all’accompagnamento della fede che nasce o che rinasce. Il protagonismo di ogni battezzato nell’impegno dell’evangelizzazione è il centro di uno stile pastorale in chiave di annuncio (EG 120): ogni battezzato, pietra viva dell’edificio spirituale che è la chiesa (1Pt 2,5), determina la qualità della vita intra ecclesiale e la fecondità dell’agire extra ecclesiale; è costruttore di un nuovo umanesimo.
[1] Conferenza episcopale italiana, In Gesù Cristo. Il nuovo umanesimo. Una traccia per il cammino vesro il convegno ecclesiale nazionale, Dehoniane, Bologna 2014, 48.
[2] Francesco, Esortazione sull’annuncio del Vangelo nel mondo, Evangelii Gaudium (EG), 23 novembre 2013, nn. 15; 27.
[3] Conferenza Episcopale Italiana, Orientamenti per l’annuncio e la catechesi in Italia, Incontriamo Gesù, 29 giugno 2015 (IG).
[4] L. F. Ladaria, Antropologia teologica, Piemme, Casale Monferrato 20055, 425.
[5] In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo. Adamo, infatti, il primo uomo, era figura di quello futuro (Rm5,14) e cioè di Cristo Signore. Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l’uomo a se stesso e gli manifesta la sua altissima vocazione. Nessuna meraviglia, quindi, che tutte le verità su esposte in lui trovino la loro sorgente e tocchino il loro vertice. Egli è «l’immagine dell’invisibile Iddio» (Col1,15) è l’uomo perfetto che ha restituito ai figli di Adamo la somiglianza con Dio, resa deforme già subito agli inizi a causa del peccato. Poiché in lui la natura umana è stata assunta, senza per questo venire annientata per ciò stesso essa è stata anche in noi innalzata a una dignità sublime. Con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo […]. Il cristiano poi, reso conforme all’immagine del Figlio che è il primogenito tra molti fratelli riceve «le primizie dello Spirito» (Rm8,23) per cui diventa capace di adempiere la legge nuova dell’amore. In virtù di questo Spirito, che è il «pegno della eredità» (Ef 1,14), tutto l’uomo viene interiormente rinnovato, nell’attesa della «redenzione del corpo» (Rm 8,23). […] E ciò vale non solamente per i cristiani, ma anche per tutti gli uomini di buona volontà, nel cui cuore lavora invisibilmente la grazia. Cristo, infatti, è morto per tutti e la vocazione ultima dell’uomo è effettivamente una sola, quella divina; perciò dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire associati, nel modo che Dio conosce, al mistero pasquale. Tale e così grande è il mistero dell’uomo, questo mistero che la Rivelazione cristiana fa brillare agli occhi dei credenti. Per Cristo e in Cristo riceve luce quell’enigma del dolore e della morte, che al di fuori del suo Vangelo ci opprime. Con la sua morte egli ha distrutto la morte, con la sua risurrezione ci ha fatto dono della vita, perché anche noi, diventando figli col Figlio, possiamo pregare esclamando nello Spirito: Abba, Padre!.
[6] Ladaria, Antropologia teologica, 426, 452, 439.
[7] Francesco, Esortazione sull’annuncio del Vangelo nel mondo, Evangelii Gaudium, 23 novembre 2013 (EG).
[8] C. Dotolo – L. Meddi, Evangelizzare la vita cristiana. Teologie e pratiche di Nuova Evangelizzazione, Cittadella Editrice, Assisi 2012, 33. Cf. Benedetto XVI, Luce del mondo. Il Papa, la Chiesa e i segni dei tempi. Una conversazione con Peter Seewold, Libreria editrice vaticana, Città del Vaticano 2010, 192.
[9] «È dovere di tutto il popolo di Dio, soprattutto dei pastori e dei teologi, con l’aiuto dello Spirito Santo, ascoltare attentamente, discernere e interpretare i vari linguaggi del nostro tempo, e saperli giudicare alla luce della parola di Dio, perché la verità rivelata sia capita sempre più a fondo, sia meglio compresa e possa venir presentata in forma più adatta». (GS 44)
[10] Dotolo – Meddi, Evangelizzare la vita cristiana, 33.
[11] Cf. Benedetto XVI, Luce del mondo, 193. Cfr L.F. Ladaria, Antropologia teologica, Piemme, Casale Monferrato 1995, 194-202; I. Sanna, L’identità aperta. Il cristiano e la questione antropologica, Queriniana, Brescia 2006, 387-412.
[12] Cf. G. Collet, «…Fino agli estremi confini della terra». Questioni fondamentali di teologia della missione, Queriniana, Brescia 2004, 244: “L’inculturazione non può perciò neppure consistere nella rianimazione di passate usanze religiose ed ecclesiali o nella conservazione di stili di vita non più salvabili. Essa deve piuttosto dimostrare la propria validità proponendo un’alternativa vivibile e vissuta nel mezzo di una molteplicità di offerte religiose e culturali di senso e invitando a confidare nel vangelo e nella sua promessa di vita”.
[13] Dotolo – Meddi, Evangelizzare la vita cristiana, 29-30. Cfr. La Nuova Evangelizzazione per la trasmissione della Fede Cristiana. Lineamenta, n.9.
[14] A. Fossion, La compétence catéchétique. Perspectives pour la formation, in H. Derroitte – D. Palmyre (sous la direction), Les nouveaux catéchistes. Leur formation, leurs compétences, leur mission, Lumen Vitae, Bruxelles 2008, 21. Traduzione a cura dell’autore. Interessante la riflessione che l’autore fa nelle pagine 20 e 21 del testo citato.
[15] In Gesù Cristo. Il nuovo umanesimo, 50.
[16] Conferenza Episcopale Italiana, Il volto missionario della parrocchia in un mondo che cambia, Nota pastorale, 30 maggio 2004.
[17] Cf. Stijn Van den Bossche, Il Rinnovamneto dell’Iniziazione Cristiana nell’orizzonte della Nuova Evangelizzazione, in Ufficio Catechistico Nazionale, Annale, (febbraio 2014) n. 8, 42-58, in www.chiestacattolica.it/ucn.
[18] Cf. In Gesù Cristo. Il nuovo umanesimo, 13-20.