Nel nome della misericordia
Meditazione per la Veglia Missionaria
21 ottobre 2016
Completerei così il tema ispiratore di questa Veglia missionaria diocesana: “Nel nome della misericordia, nel cuore della missione”. Ringrazio tutti voi per la condivisione non solo della preghiera comune, ma anche per la sensibilità missionaria di una Chiesa diocesana “in uscita”, per poi sperare di vederla definitivamente “uscita”. Scrive papa Francesco: “Siamo tutti invitati ad “uscire”, come discepoli missionari, ciascuno mettendo a servizio i propri talenti, la propria creatività, la propria saggezza ed esperienza nel portare il messaggio della tenerezza e della compassione di Dio all’intera famiglia umana” (Messaggio del Papa, 2016).
Ringrazio in modo speciale mons. Bonaventura Nahimana, vescovo della diocesi di Rutana in Burundi, con il quale abbiamo sottoscritto un accordo di cooperazione missionaria; con lui saluto anche p. Bonaventura, sacerdote della medesima diocesi, accolto da pochi giorni nella nostra Chiesa particolare per un periodo di collaborazione pastorale. La cooperazione missionaria, infatti, è scambio di beni spirituali. Un particolare ringraziamento alla Comunità di s. Egidio nella persona di Cecilia Pani, e per l’iniziativa ecumenica dei “corridoi umanitari”, che ha strappato all’orrore della violenza e dei massacri diversi siriani. Da tutti questi amici riceveremo tra poco vibranti testimonianze.
Il brano evangelico di s. Luca che abbiamo proclamato ripropone gli “imperativi” della misericordia e le condizioni per esercitarla nel nome del Padre, sull’esempio del quale il discepolo deve imparare ad agire: “..come il Padre vostro è misericordioso”. E’ interessante la struttura letteraria del brano 6,27-36, ove riconosciamo una sorta di inclusione, costituita dai versetti iniziali (vv. 27-31) e da quelli finali (vv. 35-36). Al centro del brano sono collocati i vv. 32-34. L’indicazione dello schema letterario è evidente: i versetti iniziali e finali del brano annunciano l’insegnamento sulla misericordia che ogni discepolo deve imparare ad amministrare, e rappresentano la prospettiva positiva della sequela; mentre nei versetti centrali del brano ritroviamo ciò che non deve appartenere allo stile del discepolo di Cristo, e cioè l’atteggiamento di agisce ancora secondo una logica pagana e non “come” il Padre celeste (v. 36).
Nel mondo non mancano certamente quanti agiscono per un tornaconto personale che si coniuga nell’ amare solo chi mi ama, fare del bene a chi mi fa del bene, prestare a chi può restituire, per riceverne altrettanto. Di questi tali non ne abbiamo bisogno, perché la loro logica non cambierà il mondo. Per costruire il Regno di Dio abbiamo bisogno di altri e di altro: di chi ama i suoi nemici, fa del bene a chi lo odia, benedice chi lo maledice, prega per chi lo maltratta, offre l’altra guancia chi lo offende, non rifiuta la tunica a chi lo priva del mantello, fa del bene senza esigere il contraccambio.
L’odio non riesce a morire nel cuore degli uomini: si manifesta spesso con tale furia e violenza, quasi a contrastare la bontà, la carità di coloro che senza interessi né compensi cercano ogni giorno di costruire piccoli e significativi passi di pace. Quando l’ONU e la stessa Unione Europea non riescono a salvare le nazioni dalle guerre, dalle ingiustizie, dal terrorismo, di fatto rischiano di non salvare più se stessi. L’amore di cui oggi parla Gesù nel suo insegnamento è novità assoluta, perché non si riferisce alla religione ebraica per la quale tale amore doveva essere assicurato, salvo rare eccezioni, solo ai compatrioti; né si riferisce alla filosofia greco-romana, secondo la quale l’amore doveva assicura la reciprocità. Il termine greco usato nel brano da s. Luca per parlare di amore è agàpe: non si tratta, dunque, né di filìa (da cui il termine italiano “filantropia”), né di eros (amore erotico, istintivo, passionale, possessivo). L’amore esigito da Gesù è agapico perché incondizionato, gratuito, generoso, puro e svincolato da ogni tornaconto: “Da questo amore essa trae lo stile del suo mandato, vive di esso e lo fa conoscere alle genti in un dialogo rispettoso con ogni cultura e convinzione religiosa” (Messaggio 2016).
Mi preme considerare un ultimo aspetto: è giusto quanto Gesù ci chiede? davvero serve a qualcosa? a cosa potrebbe portare? quali risultati si potrebbero sperare da atteggiamenti umanamente così deboli e remissivi verso i “nemici”? La reazione pacifica e agapica del discepolo che non è disposto a rispondere per le rime, potrà fungere da specchio per chi compie atti di violenza, facendogli prendere consapevolezza della gravità del suo comportamento e indurlo ad un’audace revisione di vita. Molti martiri nella storia del cristianesimo con la loro non-violenza impregnata di amore verso i loro aguzzini e uccisori hanno provocato la conversione di quest’ultimi. In questa prospettiva, l’amore di chi è offeso è una sorta di “azioni simbolica” con la quale i profeti biblici intendevano denunciare e stigmatizzare in nome di Dio le azione perverse e ingiuste dei prepotenti inflitte alle categorie sociali più deboli e meno protette. Assumiamo in modo convinto questa pagina lucana come regola di vita, memoria costituzionale del nostro agire quotidiano, per vivere ed essere riconosciuti come i “figli dell’Altissimo”.
+ Gerardo Antona