Omelia del Vescovo Gerardo per il precetto pasquale dei Militari e Interforze, 11 aprile 2014

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HA LIBERATO LA VITA DEL POVERO

Omelia per il precetto pasquale dei Militari e Interforze
S. Restituta, 11 aprile 2014

Porgo a tutti voi Militari e Forze dell’ordine, partecipi di questa sacra celebrazione, il mio cordiale saluto e il vivo compiacimento per la condivisione della preghiera eucaristica in preparazione alla s. Pasqua. E’ il momento di una autentica revisione di vita, per lasciarci dire da Dio in che cosa la nostra vocazione cristiana deve illuminare la nostra vita quotidiana.

Per tale ragione voglio fare riferimento alla conclusione della prima lettura, dove l’autore, il profeta Geremia, commenta la sua personale esperienza: “Il Signore…ha liberato la vita del povero dalle mani dei malfattori” (Ger 20, 13).

Il sistema del malaffare

Al tempo del profeta Geremia la vita sociale, economica e politica di Israele era molto corrotta. Dominava il malaffare, le ingiustizie sociali, le vessazioni soprattutto verso le classi più deboli, quali le vedove, gli orfani, i forestieri. Prevaleva un’osservanza religiosa molto esteriore e ipocrita. Si curava il culto del tempio, cercando di osservare fedelmente e scrupolosamente ogni prescrizione rituale, per poi commettere ogni genere di iniquità e di perversione.

A livello socio-politico, i capi avevano indotto il popolo a non fidarsi più di Dio, ma a cercare piuttosto alleanze umane, quella filo-egiziana, che garantissero la difesa e la salvezza contro la minaccia dell’invasione babilonese.

Il profeta grida che solo una condotta retta e fedele all’alleanza con Dio, può essere garanzia e speranza di salvezza: “…giustizia tra l’uno e l’altro, non opprimere orfani e vedove, non versare sangue innocente in questo luogo, non andare appresso altri dei” (Ger 7,5-6).

Il profeta Geremia interviene perchè fosse rispettata la norma biblica dell’emancipazione degli schiavi dopo un periodo di sette anni; un impegno iniziale, sottoscritto dal re, fu nella pratica disatteso. Geremia intervenne duramente, vedendo in questa offesa alla dignità umana, l’avvisaglia inesorabile dello scatenamento della punizione divina: “Poichè voi non mi avete ascoltato, proclamando la libertà ciascuno al suo fratello e ciascuno al suo prossimo, ecco io proclamo la libertà, dice il Signore, alla spada, alla peste e alla fame, e vi porrò come oggetto di orrore per tutti i regni della terra” (Ger 34,17).

L’infedeltà dell’idolatria

L’altro grande tema della predicazione di Geremia è quello dell’abbandono del servizio divino, causa di ogni forma di degenerazione del sentimento religioso, fino al pullulare dell’idolatria. Dopo aver criticato la religiosità formale dei sacrifici, che non hanno senso in una società ingiusta, estende la sua polemica contro altri formalismi religiosi, scalzando la fiducia magica nel potere dei luoghi sacri; non ha senso invocare, a tutela della propria salvezza: “Questo è il Tempio del Signore” (Ger 7,4); è il comportamento, non il luogo, l’unica garanzia di salvezza.

Sull’idolatria l’atteggiamento del profeta è talvolta violento e sprezzante, altre volte problematico e sofferto. In quest’ultimo approccio è come se Geremia si stupisse sull’ enormità del reato che i suoi fratelli stanno compiendo, non rendendosi conto della grandezza del bene che abbandonano, e della nullità di ciò che gli preferiscono: “Due sono le colpe che ha commesso il mio popolo: ha abbandonato me, sorgente di acqua viva, e si è scavato cisterne, cisterne piene di crepe, che non trattengono l’acqua.” (Ger 2,13).

Geremia rimprovera la perdita di memoria storica di Israele, che dimentica la protezione divina del passato, e rileva l’assurda infedeltà del suo popolo a Dio, che non ha confronti con altri popoli, sempre fedeli alle loro divinità, che pure non sono vere divinità.

La voce del profeta

Il profeta alza la voce per denunciare il comportamento obbrobrioso del popolo, per annunciare la giustizia da recuperare e la vera religiosità da praticare. Il profeta è perseguitato perché uomo giusto e retto. Ha preso posizione contro i capi della comunità perché le loro decisioni non rispettavano il vero bene del popolo.

L’esperienza profetica di Geremia è, per la sua ricchezza e drammaticità, tra le più emblematiche e rappresentative del profetismo ebraico:parla a nome di Dio, rivolge ammonimenti al popolo, e ai suoi dirigenti in particolare, per il loro comportamento scorretto, soprattutto su due temi fondamentali: la pratica di culti idolatrici e l’ingiustizia sociale.

Il profeta ammonisce con forte coraggio, senza ritegno, invita al pentimento e annuncia quali saranno le tristi conseguenze per coloro che non si allontaneranno dalla strada del male. Nella missione che gli viene affidata riceve l’ordine di farsi forza e non aver paura.

Il capitolo 20 del suo libro esprime questa tremenda lotta tra il dovere di comunicare la parola di Dio prorompente, e la terribile condizione di solitudine ed emarginazione sociale che questo dovere comporta, destino di chi avverte e denuncia i mali della società.

Il profeta è una spina nel fianco, la sua parola infastidisce, le sue prese di posizione smascherano i malaffari della classe dirigente. I capi del popolo usavano ormai ogni sistema per ingannare, illudere, imbrogliare, favorire i propri interessi, approfittare della loro autorità per ricavare benefici a proprio vantaggio.

Coloro che sono raggiunti dalle parole del profeta cercano di impedire con ogni metodo la sua iniziativa contraria alla loro azione, vogliono mettere a tacere la voce che denuncia la loro corruzione sociale e religiosa.

Un messaggio di speranza

Il profeta Geremia è anche l’annunciatore della speranza, della ricostruzione, del futuro luminoso di Israele. Vi sarà una distruzione, ma non sarà mai totale, e dal residuo sopravvissuto la nazione verrà ricostituita. Geremia è grande nella descrizione del male, ma raggiunge vertici insuperabili nelle pur non numerose visioni e immagini di riparazione e di consolazione.

Anche oggi dobbiamo favorire molto di più la giustizia e la rettitudine, il rispetto e la responsabilità, la solidarietà con chi è senza lavoro, l’inclusione sociale dei poveri, l’equità sociale, l’accoglienza e la fraternità con gli immigrati e i rifugiati.

Scrive il Papa: “Nessuno può esigere da noi che releghiamo la religione alla segreta intimità delle persone, senza alcuna influenza sulla vita sociale e nazionale, senza preoccuparci per la salute delle istituzioni della società civile, senza esprimersi sugli avvenimenti che interessano i cittadini…Una fede autentica implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo, di trasmettere valori, di lasciare qualcosa di migliore dopo il nostro passaggio sulla terra. Amiamo questo magnifico pianeta dove Dio ci ha posto, e amiamo l’umanità che lo abita, con tutti i suoi drammi e le sue stanchezze, con i suoi aneliti e le sue speranze, con i suoi valori e le sue fragilità” (Evangelii gaudium, 183).

La Pasqua deve renderci creature nuove: coraggiosi e pronti a contrastare ogni forma di compromesso, di cedimento alle ingiustizie, alle furberie, ai ricatti, alle violenze.

Il profeta Geremia ci consegna oggi un esempio di sofferta fedeltà alla giustizia, alla verità, alla trasparenza, alla solidarietà, al rispetto.

Tutto questo interpella la nostra coscienza morale, sia umana, che cristiana e professionale. Siamo chiamati a svolgere un servizio per la promozione del bene sociale, favorendo la fiducia nelle Istituzioni, la speranza nel progresso dei più deboli e indifesi, l’ascolto di quanti chiedono una risposta ai loro problemi.

La festa della Pasqua segni la rinascita del vero bene, custodito e promosso da quanti hanno il coraggio di spendersi per la promzione della giustizia e della pace sociale. Amen.

+ Gerardo Antonazzo
Vescovo

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