La diakonia dell’amore
Ordinazione diaconale di Marcello Di Camillo
Cassino-Chiesa madre, 29 ottobre 2017
Carissimi,
nella felice ricorrenza della solennità di san Germano vescovo, patrono della Città di Cassino, titolare di questa Chiesa Madre ricostruita dopo la distruzione della guerra e consacrata quarant’anni fa, celebriamo l’ordinazione diaconale di Marcello Di Camillo e l’inaugurazione dell’anno pastorale diocesano.
Nel vangelo odierno un dottore della Legge interroga Gesù, non per apprendere ma per metterlo alla prova in merito ad una questione ritenuta complessa e di difficile soluzione, quindi un possibile tranello: “Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?”. In risposta, Gesù “recita” il Credo fondamentale di Israele, la fede nel Dio unico: “Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore. Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze. Questi precetti che oggi ti do, ti stiano fissi nel cuore” (Dt 6,4-6). Nella prima lettura (Es 22,20-26) sono indicati i doveri verso chi vive in condizioni di particolare indigenza e precarietà: si parla del forestiero (immigrato), della vedova, dell’orfano, della piaga dell’usura, etc. Anche il libro del Levitico prevede il precetto dell’amore verso il prossimo: “Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso” (Lev 19,18).
Il secondo è simile al primo
Con la sua risposta all’interlocutore scaltro, ma non troppo, Gesù sembra non proporre nulla di nuovo, dal momento che si limita alla cucitura di due citazioni veterotestamentarie (Dt 6, 4-5; Lv 19, 18). Oltretutto, posizioni simili già esistevano presso Israele. Ad esempio, Rabbì Hillel predicava: “Ciò che tu non ami, non lo fare al tuo prossimo; è tutta la legge, il resto è commento”. Anche Rabbì Aqiba risponde: “Amerai il tuo prossimo come te stesso: è il grande principio fondamentale della Torah”. L’intervento di Gesù mentre conferma il valore del prossimo come l’altro da amare, come un “altro me stesso”, introduce una straordinarie e sorprendente novità: tra i due comandamenti dell’amore stabilisce una “somiglianza” dichiarando che “il secondo è simile a quello”. Questi due comandamenti costituiscono “il grande comandamento” di cui il dottore della Legge chiede conto. Scrive san Gregorio Magno: “Il Signore manda i discepoli a due a due a predicare perché sono due i precetti della carità: l’amore di Dio e l’amore del prossimo” (Omelia 17,1-3).
In san Matteo ritroviamo lo stesso termine (ὁμοίos) che il greco utilizza per dire che l’uomo è creato a “somiglianza” di Dio (Gen 1). La somiglianza tra i due comandamenti dell’amore da una parte “umanizza” l’amore per Dio, perché lo incarna e lo rende possibile all’interno delle nostre relazioni; dall’altra, “divinizza” l’amore per il prossimo da amare con il cuore e i sentimenti di Dio. L’amore per Dio non può risolversi nella sola azione liturgica, o nella la preghiera, o nella contemplazione; se non ami il tuo fratello che vedi e conosci per quello che è, il culto a Dio si riduce a vuoto ritualismo narcisistico. “Simile” significa inseparabili perché l’uno è in riferimento all’altro, l’uno rimanda all’altro per il rispettivo completamento. L’amore per il prossimo realizza l’amore per Dio e l’amore per Dio si compie nell’amore per il prossimo.
Ma come convincersi che il secondo comandamento è davvero simile al primo? Dio, Lui sì, merita di essere amato. Ma come amare gli altri, così difettosi, miserabili, talvolta tanto sgradevoli e ostili? Gesù ha dichiarato proprio questo, e il Vangelo è tutto qui: “Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti”. Senza l’incontro con l’altro non c’è alcuna teo-logia, nessun discorso su Dio è possibile; senza l’incontro con l’Altro non c’è vera antropo-logia, nessun discorso sull’uomo e sulla sua dignità integrale. L’amore di Dio fonda una nuova relazione con il prossimo, riconosciuto non più sbrigativamente come “un altro”, ma come un “altro me stesso”; e la relazione evangelica con l’altro introduce nel cuore di Dio: “Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore…Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede” (1Gv 4, 8.20).
Diakonia dell’amore
Caro Marcello, ricevendo oggi l’ordinazione diaconale ti consacri per sempre al servizio del grande comandamento dell’amore. Il tuo amore celibatario è la condizione richiesta dalla Chiesa per lasciarti triturare dall’amore, come il frumento destinato a diventare pane: “Sono frumento di Dio e sarò macinato […] per divenire pane puro di Cristo (S. Ignazio di Antiochia, Lettera ai romani, cap. 4). Il diaconato attinge così la sua linfa dalla mensa eucaristica, dal servizio all’altare dove, lungi da un esercizio cultuale di inutile bigotta prestazione, imparerai piuttosto ad attingere dal frumento divenuto pane eucaristico la regola dell’amore che ti obbliga a lasciar morire ogni egoismo per diventare nutrimento di carità eucaristica per il prossimo da amare come “un altro te stesso”. Il celibato è testimonianza concreta di un amore incondizionato: puro, totale, gratuito, generoso. Aderendo a Lui con cuore indiviso, libero da ogni forma di egoismo, sarai libero di dedicarti al servizio di coloro che amerai come “un altro te stesso” per amore e nell’amore di Dio. L’impegno del celibato non è un atto di rinuncia ad amare, ma una scelta radicale d’amore. In questo modo, lo sai bene, il tuo stato di vita è annuncio profetico e anticipazione della futura condizione dei figli del Regno, “i quali saranno come angeli nel cielo” (Mt 22,30). Carissimo Marcello, il Signore ti chiama a non formare una famiglia naturale perché ti chiede di servire e di edificare la Chiesa come famiglia, e di accogliere come tua ogni famiglia, chiesa domestica.
Diakonia della Chiesa
Carissimi fratelli e sorelle, tale diakonia esprime anche la missione di tutta la Chiesa, lievito, sale e luce del mondo. La nostra Chiesa che vive in Sora-Cassino-Aquino-Pontecorvo, con il nuovo anno pastorale è chiamata a spendersi in una diakonia a tutto campo per la famiglia. Lo esprimeremo al termine della celebrazione con la consegna della Lettera ai Vicari zonali e ai referenti di tutte le aggregazioni laicali, in rappresentanza dell’intera nostra Chiesa particolare. Le nostre comunità si fanno carico con premurosa tenerezza dell’accompagnamento dei giovani, delle giovani coppie, delle giovani famiglie nei loro percorsi di maturazione e crescita: “E’ un lavoro che il Signore ci chiede di fare in modo particolare in questo tempo, che è un tempo difficile sia per la famiglia come istituzione e cellula-base della società, sia per le famiglie concrete, che sopportano buona parte del peso della crisi socio-economica senza ricevere in cambio un adeguato sostegno. Ma proprio quando la situazione è difficile, Dio fa sentire la sua vicinanza, la sua grazia, la forza profetica della sua Parola. E noi siamo chiamati ad essere testimoni, mediatori di questa vicinanza alle famiglie e di questa forza profetica per la famiglia” (Papa Francesco, 1 ottobre 2017).
L’invito di Maria
Durante le nozze di Cana la madre, Maria, assiste ad una crisi coniugale nel giorno stesso del matrimonio. Lei per prima, coinvolge il Figlio e poi i servi in questa crisi coniugale. Si rivolge a Gesù: ”Non hanno vino”, e ai servi: “Qualsiasi cosa vi dica, fatela”. Scrive Ignace De La Potterie: “I servi ai quali si rivolge Maria si rivolge non sono designati con uno dei termini usati altrove nel Vangelo (‘doùloi’ in Gv 4,51; oppure ‘hyperétai’ in Gv 18,36); sono invece dei diàkonoi, termine che Gesù impiega per il “servitore” che lo segue e lo serve (Gv 12,26). L’obbedienza dei “servitori” di Cana è il prototipo del servizio di ogni discepolo, chiamato a farsi servo dell’amore nuziale.
Carissimo Marcello, carissimi fratelli e sorelle, l’invito alla diakonia dell’amore oggi è rivolto anche a noi da Maria, la quale continua ad esercitare la sua maternità spirituale. E’ sempre Lei a impegnare anche noi nel servizio a favore dell’amore: “Qualsiasi cosa vi dica, fatela”.
+ Gerardo Antonazzo