Il cielo si aprì
Omelia per il rinnovo mandato per i ministeri
10 gennaio 2016
La liturgia del Battesimo del Signore ci invita a restare ancora con lo sguardo rivolto al cielo. Già con i Magi abbiamo imparato a sollevare il capo, a scrutare il cielo stellato per cogliere i segni di Dio fra stupore e benedizione. Anche il brano di s. Luca oggi ci invita ad unirci alla preghiera di Gesù per “ascoltare” il cielo, la voce del Padre, che parla di Lui e di noi. L’evangelista Luca presta meno attenzione all’incontro e al dialogo intercorso tra Gesù e Giovanni Battista, per dare maggiore risonanza alle parole che congiungono la terra e il cielo, il Figlio al Padre.
La Porta del cielo
La Bibbia fa del cielo il dominio di Dio, il suo santuario, il suo regno. Questa collocazione ha attraversato tutto l’immaginario ebraico e cristiano sino a lasciare tracce profonde nella nostra religiosità attuale, malgrado il ‘disincanto’ del cielo cui ha portato la scienza. Mircea Eliade nel suo “Trattato di storia delle religioni” ha cercato di perfezionare questi approcci, mostrando che il cielo, per la sua grandezza, la sua forza, la sua immutabilità, ha potuto all’inizio essere per l’uomo il luogo di un’espressione simbolica della trascendenza, una rivelazione del sacro o del divino (ierofania) offerta allo spirito stupito in modo immediato. Il primo libro della Bibbia, Genesi, inizia con la creazione del cielo (Gen 1,1). Così l’Apocalisse, ultimo libro della rivelazione biblica, si chiude con il richiamo del cielo (Ap 21,1).Lo stesso autore racconta come tramite una speciale visione è invitato a passare dal livello umano al piano celeste per ricevere una speciale rivelazione da parte di Dio: “Dopo ciò ebbi una visione: una porta era aperta nel cielo. La voce che prima avevo udito parlarmi come una tromba diceva: Sali quassù, ti mostrerò le cose che devono accadere in seguito”(Ap 4,1).
Nel vangelo odierno l’evangelista annota: “il cielo si aprì”. San Luca riprende un’immagine della visione inaugurale del Libro di Ezechiele: “Nell’anno trentesimo…mentre mi trovavo fra i deportati sulle rive del fiume Chebar, i cieli si aprirono ed ebbi visioni divine” (Ez 1,1). Quella del cielo è l’apertura di una Porta santa, decisiva per la comunicazione tra la sfera divina e la precaria condizione umana. L’apertura della porta del cielo invita anche il lettore all’incontro con il mistero di Dio che abita i cieli, la cui manifestazione permette un contatto e una comunicazione straordinaria. La manifestazione di Dio che con la sua voce squarcia i cieli significa solitamente l’affidamento di una missione speciale all’uomo da Lui prescelto.
L’investitura messianica
La voce dal cielo cita il Salmo 2, che è un salmo di intronizzazione regale. Ora si realizza la promessa dell’angelo a Maria: Gesù è riconosciuto Figlio di Dio e riceve la promessa legata al trono di Davide. Ma questa investitura di Gesù inaugura la regalità della sua attività pubblica. Segna anche la consacrazione dello Spirito, che resta una realtà concreta (“in forma corporea”) ma inesprimibile (“come una colomba”).
Gesù consacra la sua solidarietà con gli uomini
Presso il fiume Giordano si manifesta nella persona di Gesù una duplice relazione: quella della sua solidarietà con gli uomini e quella della sua appartenenza al Padre. Lambire le acque del fiume dove “tutto il popolo veniva battezzato” significa partecipare delle miserie umane, lasciarsi toccare e quindi sporcare, senza scandalizzarsi, dalla sozzura spirituale di altri: “Non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia prendere parte alle nostre debolezze” (Ebr 4,15). La sua solidarietà si fa bacio di misericordia sulle piaghe dei nostri maleodoranti vizi e istinti. Si fa abbraccio per chi si vergogna delle nudità delle proprie miserie, e si nasconde per la vergogna. Gesù si fa compagno per la solitudine di chi si sente giudicato e condannato senza appello. Si fa pastore per quanti sono confusi e hanno perso il senso del loro cammino. Si fa acqua fresca che sgorga dal costato ferito per quanti soffrono l’arsura dei propri egoismi. Si fa farmaco di vita per quanti soffrono per i morsi velenosi della lussuria. Si fa pane di vita per quanti vivono con la morte nel cuore.
Gesù consacra la sua appartenenza al Padre
La sua relazione filiale con il Padre è l’unica ragione dell’esistenza umana di Gesù. E’ al Padre che Gesù rivolge la sua obbedienza filiale nell’adempiere la missione di salvezza. All’inizio della sua missione Gesù ha bisogno di sentirsi confortato e ‘confermato’ (unto, crismato) nell’amore del Padre dall’unzione dello Spirito Santo. Per questo Figlio, Dio dichiara amore e compiacimento. Gesù servirà l’umanità ferita per amore del Padre: “Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera” (Gv 4,34). La relazione filiale di Gesù dimostra il primato del Padre nella sua vita: nulla senza il Padre, niente se non per il Padre. Gesù ‘sprofonda’ nei fondali delle acque per risollevare e riconciliare noi, nel sangue della croce di cui le acque del Giordano sono prefigurazione, con l’amore del Padre.
Partecipi della missione di Cristo
Ogni ministero svolto nel nome di Cristo nella sua Chiesa è partecipazione alla missione salvifica di Cristo. Significa servire con lo stile di Cristo: e questa è la regola d’oro che deve sempre ispirare e guidare l’esercizio di ogni ministero. La spinta interiore che lo Spirito Santo suscita provocandoci al servizio deve divaricarsi sia nella direzione del primato di Dio, sia nella direzione della cura misericordiosa dei fratelli per amore di Dio. Grazie alla dignità del battesimo i laici sono chiamati a partecipare in vari modi alla missione profetica, regale e sacerdotale della Chiesa esercitando alcuni ministeri formalmente istituiti e i tanti diversi ministeri di fatto, svolti dai molti operatori pastorali. A tutti è richiesta la fedeltà al Signore, alimentata e garantita dall’obbedienza alla Chiesa e dalla passione per l’uomo e per la sua integrale dignità.
Rinnovare oggi il mandato per il vostro ministero significa sentire su di voi il “compiacimento” che il Padre dichiara su Gesù. Non c’è dubbio che Dio sia contento di voi nel rendervi testimoni e ministri della sua grazia per i vostri fratelli e sorelle ammalati e anziani; ministri di misericordia per la sua Parola proclamata, meditata, insegnata e soprattutto vissuta. Ministri di misericordia per il dono del Pane eucaristico, farmaco di immortalità, pegno di vita eterna. Ministri di misericordia per l’amicizia umana con cui siete vicini nelle case di tanti, segnati da diverse forme di solitudine fisica e di abbandono affettivo.
Dio rivolga su ciascuno il suo sguardo di predilezione per confermare e consacrare nella forza del suo Santo Spirito la vostra premura per i bisogni altrui, spronare la prontezza della vostra vicinanza, alimentare sempre più la commozione della vostra tenerezza.
+ Gerardo Antonazzo