Mosè, servo del Signore
Inizio ministero pastorale di mons. Alfredo Di Stefano
nella parrocchia “S. Lorenzo M.”,
Isola del Liri, 26 settembre 2015
Rivolgo il mio cordiale saluto a tutti voi, sorelle e fratelli miei carissimi, alle stimate Autorità civili e militari, agli amati confratelli sacerdoti, e il mio abraccio fraterno a te, carissimo don Alfredo. Con l’odierna celebrazione il Signore Gesù, Pastore della nuova alleanza stipulata nel dono sacrificale della sua vita, ti costituisce guida e capo di questa nobile comunità di “S. Lorenzo martire”, perché tu compia a suo vantaggio spirituale il tuo sacro ministero con la stessa carità di Cristo: nel suo nome, a sua immagine, e a lui sempre più conformato.
Il nuovo parroco di solito inizia a immaginare un suo piano pastorale da condividere con la sua nuova comunità: caro don Alfredo, il tuo programma pastorale è la vita di questa gente, i suoi occhi spalancati quanto il suo cuore aperto nell’accogliere il suo nuovo pastore. Sappi leggere i suoi bisogni, le sue attese, le sue invocazioni e speranze. E’ su queste righe che dovrai comporre parole e gesti di esortazione, di istruzione, di consolazione e di santificazione. La prima lettura della liturgia odierna ci presenta la figura di Mosè quale modello di pastore cui fare riferimento. Vorrei apprendere proprio da Mosè e affidare a te, carissimo don Alfredo, alcuni lineamenti pastorali che devono caratterizzare il ministero della guida di una comunità, e offrirteli come punti solidi di riferimenti. La rilettura della figura di Mosè ci permette di attingere dal Pentateuco almeno quattro ritratti costitutivi di questo straordinario personaggio.
Mosè, pastore e guida
Mosè, dopo essere fuggito dalla mano omicida del Faraone, vive nel deserto presso la tribù di Ietro, sacerdote di Madian, suo suocero, avendo preso Mosè in moglie sua figlia Zefora. Nel deserto conduce il gregge al pascolo: “Mentre Mosè stava pascolando il gregge di Ietro, suo suocero, sacerdote di Madian, condusse il bestiame oltre il deserto e arrivò al monte di Dio, l’Oreb” (Es 3,1). Il Signore lo chiama per farlo diventare pastore di un nuovo gregge. Mosè viene chiamato a farsi carico delle sorti delle tribù d’Israele, schiave sotto il dominio egiziano: “Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sovrintendenti: conosco le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dal potere dell’Egitto e per farlo salire da questa terra verso una terra bella e spaziosa” (Es 3,7-8). Ha paura, si sente sconfortato e solo, e cerca di reagire negativamente alle parole di Dio opponendo un diniego. Dio conforta Mosè assicurandogli che lui sarà forte perché potrà agire nel suo “Nome”: “Io sono Colui che sono” è il nome con cui Mosè si presenterà agli Israeliti, Yahweh appunto. Il presbitero deve sapere che si diventa “guide” perché accreditati da Dio per poter agire nella potenza del suo nome, e non nella presunzione o spavalderia delle nostre forze umane. “In nome di…” è un’espressione non infrequente nella vita comune. “Vacci pure a nome mio…”; “se vuoi, puoi fare pure il mio nome…”; “dì pure che ti mando io…”; e così via. Si offre e si impegna il proprio nome come una garanzia a favore di altri. Caro don Alfredo, il tuo agire per questa comunità dovrà affermare sempre il primato di Dio e operare “nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito”. Nel suo Nome potrai superare difficoltà e scoraggiamenti, perché non perderai mai la certezza che è Lui ad affidarti questa missione.
Mosè legislatore e profeta
Il secondo ritratto che la Scrittura sacra ci offre di Mosè riguarda la sua missione di promulgatore della Torah, La Legge scritta da Dio quale guida e luce per il cammino del popolo che Lui si è scelto. “Non è più sorto in Israele un profeta come Mosè, che il Signore conosceva faccia a faccia”(Dt 34,10). L’insegnamento del Midrash afferma che mentre gli altri profeti avevano visioni o profezia con estasi quasi oltre il loro controllo della consapevolezza o della coscienza, Mosè manteneva sempre un controllo equilibrato; inoltre egli poteva avere la visione di Dio nella shekhinah in qualunque momento, senza la necessità di prepararsi, come dovevano gli altri, perché sempre pronto. Mosè ricevette la parola di Dio sempre sveglio mentre gli altri profeti profetavano anche e soprattutto in sogno. Mosè riceve direttamente dal Signore la sua Parola, perché aveva accesso immediato e personale alla presenza di Yahweh, potendo parlare con Lui “faccia a faccia”. Si tratta della trasmissione diretta e pura della Parola, appresa dalla viva voce di Dio, grazie a questo rapporto di profonda intimità e confidenza con la sua voce. Caro don Alfredo, anche tu sei costituito profeta del Signore perché chiamata alla medesima confidenza con la sua Parola, da Lui pronunciata e da te accolta, compresa e annunciata. Come si usa dire nel linguaggio comune, dovrai ‘pendere dalle labbra di Dio’ che pone le sua parole sulle tue labbra purificate dal fuoco dello Spirito (cfr. Is 6). Questa Parola deve conservare la sua purezza cristallina, per nulla contaminata da visioni e riduzioni umane che ne possano distorcere l’autenticità e indebolirne la potenza benefica. Sarai annunciare coraggioso e libero, mite e saggio della parola che purifica, converte e genera una vita nuova secondo Dio.
Mosè taumaturgo
Quella di Mosè contro il Faraone è una lotta impari. La debolezza umana è sostenuta dall’intervento prodigioso di Dio. Ricordiamo bene il prodigio delle “dieci piaghe” operate chiaramente dalla potenza di Dio mediante l’agire di Mosè per piegare la durezza del potere e convincere il Faraone a lasciar partire le tribù israelitiche. Dio opera il grande miracolo della divisione del Mar Rosso attraverso il gesto del bastone agitato da Mosè: il popolo può attraverso all’asciutto e ritrovarsi nel deserto lasciando alle spalle la sconfitta dei carri del Faraone. Intona il canto di vittoria: “Mia forza e mio canto è il Signore, egli è stato la mia salvezza. È il mio Dio: lo voglio lodare, il Dio di mio padre: lo voglio esaltare!” (Es 15,2). E ancora il miracolo dell’acqua scaturita dalla roccia, della manna e delle quaglie. Caro don Alfredo, carisismi presbiteri e popolo santo di Dio, non sono forse veri prodigi i segni sacramentali che Gesù ha voluto istituire e porre nelle mani dei suoi apostoli? Non rappresentano forse un vero e proprio sconvolgimento delle leggi della natura, visibile non agli occhi del corpo bensì allo sguardo luminoso della fede, le trasformazioni degli elementi naturali (acqua, olio, vino, pane, amore, peccato, debolezza…) in segni prodigiosi della presenza del Signore? Il presbitero agisce nella forza di Dio per nutrire il popolo pellegrino nel deserto della vita, facendogli pregustare i doni della “terra promessa” dove scorre “latte e miele”, prefigurazione della gioia eterna.
Mosè mediatore e intercessore
La Bibbia ci offre un quarto ritratto di Mosè: mediatore e intercessore tra Dio e il suo popolo. E’ lui a dover riportare la “rivelazione” delle parole e della volontà di Dio all’uomo, e ricondurre costantemente il cammino di un popolo “dalla dura cervice” a Dio. E quando l’atteggiamento riottoso e ribelle di Israele arriva a mettere a dura prova la pazienza di Dio, rischia lo sterminio: “Ho osservato questo popolo: ecco, è un popolo dalla dura cervice. Ora lascia che la mia ira si accenda contro di loro e li divori. Di te invece farò una grande nazione”. E’, questo, una dei tanti momenti drammatici nei quali Mosè si impone come mediatore di misericordia. “Mosè allora supplicò il Signore, suo Dio, e disse: «Perché, Signore, si accenderà la tua ira contro il tuo popolo, che hai fatto uscire dalla terra d’Egitto con grande forza e con mano potente?…Ricordati di Abramo, di Isacco, di Israele, tuoi servi, ai quali hai giurato per te stesso ». Il Signore si pentì del male che aveva minacciato di fare al suo popolo” (cfr. Es 32,9-14). Mosè è l’uomo dell’intercessione: la sua preghiera ottiene i favori di Dio per Israele: “Quando Mosè alzava le mani, Israele prevaleva; ma quando le lasciava cadere, prevaleva Amalèk. Poiché Mosè sentiva pesare le mani, presero una pietra, la collocarono sotto di lui ed egli vi si sedette, mentre Aronne e Cur, uno da una parte e l’altro dall’altra, sostenevano le sue mani. Così le sue mani rimasero ferme fino al tramonto del sole (Es 17,11-13). Il presbitero, carissimo don Alfredo, è l’uomo di Dio che sta dalla parte dell’uomo! Sei destinato ad essere anche tu per questa comunità segno della misericordia di Dio, pregherai per i tuoi fratelli, impetrerai per loro la pazienza di Dio, affiderai al cuore di Dio le loro preghiere e invocazioni, perdonerai nel nome di Dio i loro peccati e le miserie umane, conforterai il dolore e la sofferenza dei più deboli e dei più poveri, soprattutto quelli umiliati dalle ingiustizie dei potenti (II lett.).
Carissimi, accogliendo oggi il nuovo parroco riprendete un cammino pastorale antico e nuovo: ereditando l’esperienza migliore del vostro passato ecclesiale, guardate avanti insieme con il vostro pastore per esplorare le nuove periferie umane, soprattutto quella dei giovani che qui ad Isola vivono volentieri momenti di forte aggregazione sociale, non sempre costruttiva, e quella delle famiglie ferite da molte tristezze. Lasciatevi interpellare dalle loro “distanze” rispetto alla vita della comunità parrocchiale, per ridurle con lo stile dell’ascolto, la grazia dell’accoglienza, la bontà e la carità del cuore di Cristo buon Pastore che invece di attendere il “ritorno” che non ci sarà, si mette alla ricerca di chi non c’è.
+ Gerardo Antonazzo