Sacerdozio di misericordia
Omelia per la Messa Crismale
Sora-Chiesa Cattedrale, 23 marzo 2016
La liturgia della Messa crismale utilizza un lessico celebrativo che mette in stretta connessione la consacrazione messianica di Cristo e il valore simbolico-sacramentale dell’olio. Nei Sacramenti il Signore ci tocca per mezzo degli elementi della creazione. Essi sono espressione della concretezza della nostra fede che abbraccia corpo e anima, l’uomo intero. Acqua, pane, vino, olio, sono doni della terra e del lavoro dell’uomo. Il Signore li ha scelti come portatori della sua azione salvifica.
Il brano di Isaia parla di “olio di letizia invece dell’abito da lutto” in riferimento alla consacrazione e all’unzione del Messia, inviato per predicare un “lieto annuncio ai miseri”. Passando dall’albero ai suoi frutti e, in particolare, all’olio, i testi biblici fanno spesso riferimento a questo prodotto di grande utilità pratica, ma non si trascura il particolare che in esso si riflette anche la generosità di Dio, segno dell’amore di Jhwh. Nell’antico Israele l’olio era comunemente usato come medicina per lenire e curare svariate malattie. Ricordiamo la parabola del “buon samaritano” che, passando accanto al malcapitato, “gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino” (Lc 10,34).
“Sommo sacerdote misericordioso”
A partire dall’Antico testamento l’olio è utilizzato per “consacrare” oggetti, luoghi o persone, nel senso che ciò che viene unto assume speciale rilevanza e “viene messo a parte” per uso o finalità che riguarda il culto o il rapporto con Dio. Il brano di Isaia oggi parla di “olio di letizia invece dell’abito da lutto” in riferimento alla consacrazione e all’unzione del futuro Messia, che Dio invierà per predicare un “lieto annuncio ai miseri”. Gesù Cristo è l’Unto per eccellenza: “Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione (cfr. Lc 4,16-20). La celebrazione dell’anno giubilare della misericordia ci permette di valorizzare in modo speciale la teologia della Lettera agli Ebrei che descrive la consacrazione di Gesù Cristo divenuto così “sommo sacerdote misericordioso e degno di fede nelle cose che riguardano Dio, allo scopo di espiare i peccati del popolo” (Ebr 2,17).
Il termine “misericordioso” (eleémon) è un participio che indica: “colui che è capace di pietà”, ovvero è capace di compassione, è capace di capire le miserie, i limiti degli uomini. Gesù è passato attraverso le dolorose esperienze quotidiane degli uomini. È stato provato in ogni cosa come noi, è della nostra pasta, ha partecipato alla nostra storia, sa cosa vuol dire la sofferenza e il dolore. Proprio per questo ha dimostrato solidarietà, per questo è misericordioso.
La Lettera agli Ebrei precisa inoltre che Gesù Cristo è misericordioso perché ha sostituito i sacrifici di animali con il sacrificio di se stesso, perché “senza spargimento di sangue non esiste perdono” (Ebr 9,22). Ciò significa che Cristo non poteva esercitare un sacerdozio misericordioso senza pagare il versamento del proprio “sangue”, perché senza spargimento di sangue non poteva ottenere il perdono e la riconciliazione tra gli uomini e Dio Padre.
Il culto della misericordia
Noi battezzati partecipiamo tutti della consacrazione sacerdotale di Cristo. Scrive il Concilio: “Il sacerdozio comune dei fedeli e il sacerdozio ministeriale o gerarchico, quantunque differiscano essenzialmente e non solo di grado, sono tuttavia ordinati l’uno all’altro, poiché l’uno e l’altro, ognuno a suo proprio modo, partecipano dell’unico sacerdozio di Cristo” (Lumen gentium 10). Facciamo però attenzione ad un aspetto importante: il “sacerdozio comune” è davvero comune, cioè sacerdozio di tutto il popolo di Dio che forma il Corpo di Cristo. Talvolta si pensa al sacerdozio comune come se fosse dei soli fedeli laici e non più di chi è diventato prete. Se così fosse ci troveremmo di fronte ad una separazione: i preti sarebbero a servizio dei fedeli, senza però essere veramente loro fratelli. Questo pensiero è assolutamente sbagliato! Tutti i cristiani, e quindi anche i preti, i vescovi e il Papa sono chiamati ad esercitare il sacerdozio comune, cioè a vivere nella propria esistenza ciò che celebrano nella liturgia, alla pari di tutti i battezzati. Lo precisa s. Agostino: “Per voi sono vescovo, con voi sono cristiano” (S. Agostino, Discorso 340).
Come esprimere nella nostra vita reale la partecipazione comune al sacerdozio misericordioso di Cristo? Pertanto, tutti siamo coinvolti nell’esercizio del sacerdozio reale, personale, esistenziale, cioè nell’offerta della propria persona quale culto spirituale: “Vi esorto fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale. Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto (Rm 12, 1-2). Tutti, preti e laici, dobbiamo esprimere il culto vissuto della misericordia nella concretezza, sempre complessa e a volte complicata, delle nostre relazioni e attività.
E come per Gesù, anche per noi ogni gesto concreto di misericordia ci “costa sangue”, perché richiede l’offerta sacrificale dell’umiltà, della rinuncia, della mortificazione, della morte interiore. Ci costa, e molto: “Non vi stancate perdendovi d’animo. Non avete ancora resistito fino al sangue nella lotta contro il peccato” (Ebr 12,3-4). A tutti, presbiteri, consacrati e laici, costa sangue esercitare il culto della misericordia: piegare la testa, abbattere l’orgoglio, riconoscere i nostri sbagli, perdonare gli errori altrui, chiedere perdono per i nostri sbagli; senza questi processi interiori di umile rinnegamento (cfr. Mt 16,24), “non esiste perdono”.
E quando, se non adesso?
Tutto ciò assume un rilievo e direi un’applicazione necessaria soprattutto nel tempo speciale dell’Anno giubilare della misericordia. E quando se non adesso? A Nazareth Gesù dichiara: “Oggi si compie…”. Anche noi dobbiamo dare seguito e compimento all’Oggi del giubileo della misericordia. E quando, se non “oggi”?
Dico a me e a voi presbiteri: quando, se non adesso, dobbiamo rafforzare la vita del presbiterio, i vincoli dei nostri rapporti con gesti di misericordia, di perdono, di guarigione dei nostri pensieri e affetti feriti? Quando, se non adesso, cioè oggi, tempo di grazia giubilare, possiamo attuare gesti di riconciliazione e di pace? Tra poco inviterò l’assemblea a pregare per i nostri sacerdoti, e anche per me: fratelli e sorelle fatelo, vi prego, con tutto il cuore, e aiutateci ad essere ministri di misericordia sull’altare e sulle strade della vita. Le vostre osservazioni non siano spigolose, ma nutrite di amore delicato per la nostra Chiesa. Siate misericordiosi con il vostro Vescovo e con i vostri presbiteri, dimostrando sempre di essere un popolo di Dio capace di aiutare i propri pastori a rimanere in piedi, saldi e forti nelle loro responsabilità.
E anche voi fedeli laici siete impegnati ad esercitare il vostro sacerdozio “col ricevere i sacramenti, con la preghiera e il ringraziamento, con la testimonianza di una vita santa, con l’abnegazione e la carità operosa” (Lumen gentium 10). Questa celebrazione crismale vuole aprire un bando per reclutare operai specializzati in misericordia. Cerco uomini e donne che siano allergici al lamento, che trovino insopportabili i giudizi sommari, decisi ad assumere attitudini di benevolenza, di sim-patia, disposte a fare della parola un dono e non un’arma, capaci di incoraggiare piuttosto che criticare, seminare sorrisi piuttosto che malumori, dichiarare stima piuttosto che maliziose insinuazioni. La nostra Chiesa, edificata dalla partecipazione al corpo eucaristico, è il popolo santo di Dio, con le grazie e le ferite della sua storia, con tutta la varietà della sua geografia. La misericordia si fa arte della coralità, arte a volte dimenticata, intesa come l’insieme di sapienza spirituale, pazienza, intraprendenza, passione per il dialogo e per l’incontro che si fa polifonia di un coro che canta la gloria di Dio.
La preghiera del Vescovo per amore di questa Chiesa
Signore Gesù, sommo sacerdote misericordioso,
insegna ai presbiteri e ai laici della nostra Chiesa
il nobile e sobrio culto della sofferta comunione
come antidoto alle solitudini affettive e pastorali.
Insegnaci il solenne rituale della prossimità guarita.
Tu, solidale ma non complice con le ferite del peccato,
servo sofferente, agnello innocente, obbediente per amore,
spalma l’olio della tua compassione sulle nostre cadute
provocate da tristi e deplorevoli debolezze.
Lenisci il dolore per i nostri errori,
asciuga le lacrime nascoste dei nostri fallimenti.
Rimargina le piaghe dell’orgoglio ostinato
con la forza terapeutica di un abbraccio silenzioso.
Liberaci da giudizi implacabili e da condanne irrevocabili.
Cancella dal nostro volto rugoso e affaticato
i segni impietosi della rabbia e dell’odio.
Non farci devastare dall’erosione dei rimorsi,
e liberaci dal disonore spirituale della divisione.
E se abbiamo ceduto alla complicità del lamento,
rendici oggi solidali e gioiosi per una fraternità riconciliata.
+ Gerardo Antonazzo