Omelia per l’Ammissione agli ordini di Andrea Pantone

Stemma Finis Terrae Mons. Gerardo Antonazzo

DISCEPOLI DI UNA PIETRA DI SCARTO

Omelia per l’Ammissione agli ordini di Andrea Pantone

21 aprile 2017

L’intensa luce della Pasqua continua ad illuminare il cammino dei discepoli, e la gioia del sepolcro dalla porta aperta restituisce all’umanità una speranza nuova, un’esistenza che non ha ormai paura né del dolore né della morte. Carissimo Andrea, dalla Parola celebrata in questa liturgia riceviamo la linfa di un pensiero fecondo e audace allo stesso tempo, per riflettere in modo speciale sul tuo cammino vocazionale. La scena evangelica si svolge sulle rive del lago di Tiberiade, e ripropone un dejà vu. Il brano giovanneo  (Gv 21, 1-14) esordisce dichiarando che Gesù si “manifestò di nuovo ai discepoli”. La sottolineatura “di nuovo” ci obbliga a collegare questo evento con quanto i discepoli avevano già vissuto. Il quadro, pertanto, fa supporre un’analoga vicenda vocazionale. Gli eventi della passione del Maestro avevano provocato contraccolpi piuttosto drammatici nelle aspettative e nella fiducia dei discepoli. Era necessario rincuorare il loro stato d’animo perché l’afflizione non affossasse la sequela. L’incontro con il Risorto è presentato dall’evangelista come una “manifestazione” del Signore. In fondo, ogni storia vocazionale può testimoniare una speciale “rivelazione” del Signore: è Lui che ci viene incontro, per cogliere di sorpresa la persona cercata; è Lui che entra dentro le nostre occupazioni per porre fine alle molte domande. La sua manifestazione è come un atto di consegna della sua volontà, un dono che Gesù fa di se stesso a quanti invita alla sua sequela. Pertanto, meritano attenzione alcuni particolari aspetti.

Il vuoto

Cosa precede l’incontro con il Signore? La nostra inquietudine, il nostro vuoto interiore, espresso bene dalla tristezza della pesca mancata: “Quella notte non presero nulla”. Le reti vuote per un pescatore sono un chiaro fallimento! Il giorno che segue sarà particolarmente grigio. Ancora oggi, il Signore intercetta i nostri “vuoti”, i nostri “nulla”, il fastidio delle reti vuote. Gesù ci parla nei nostri disagi, nelle nostre domande più profonde, nelle insoddisfazioni che ci turbano, nei pensieri che non ci danno pace, nelle nostre turbolenze spirituali. Il Risorto ci fa capire che evitarlo, e decidere nella nostra vita senza di Lui non ha senso, non dà frutto, non porta a nessun risultato, lascia vuote le nostre reti, ci condanna alla delusione dell’incompiutezza e a un senso di reale frustrazione.

La confusione

Le nostre domande non trovano facili risposte né semplicistiche soluzioni. Anzi, sembrano gettarci in uno stato confusionale: pensando di fare tutto da soli, non sappiamo riconoscere il Signore presente: “Non si erano accorti che era Gesù”. Nel marasma delle nostre confusioni, rischiamo di perdere di vista proprio il Signore. C’è, poi, uno stato confusionale che può seguire alla scoperta del progetto di Dio. La chiara percezione che sia proprio il Signore a chiederci qualcosa di più grande rispetto alle scelte “ordinarie” ci getta nella paura e nel disordine. La tentazione di resistere ai suoi progetti ci porta a depistare ogni possibilità di ascolto della sua parola e del suo invito “Seguimi”.

Nell’uno e nell’altro caso, la confusione può essere sciolta dal discernimento vocazionale. Da soli, non siamo in grado di fare chiarezza. Penso soprattutto all’aiuto che possono offrire i nostri maestri spirituali, in primis i sacerdoti di riferimento nelle nostre parrocchie. E’ proprio questo il loro primo compito e dovere, quello di offrirsi come accompagnatori vocazionali.

L’evidenza

Il Signore non si arrende di fronte alla nostra confusione. Ci provoca. E’ come se dicesse: almeno provaci; affronta di petto la tua situazione, prendi in mano la tua storia e lascia parlare il cuore. E’ inutile girarci intorno. Quando poi il nostro vuoto è riempito dall’incontro con Lui, non ci sembra vero ma è proprio il Signore: come resistergli? Non è illusione, non è un abbaglio, non un’esaltazione religiosa, non è un inganno, è proprio Lui. Che stupenda certezza: “Dominus est”. Allora tutto diventa irresistibile e irrefrenabile: “Simon Pietro, appena udì che era il Signore, …si gettò in mare” per raggiungere la riva il prima possibile. Prima o poi si crolla, e ci si getta a braccia aperte per correre incontro a Colui che ci è apparso sulla riva dei nostri sogni e dei nostri progetti. Adesso si può ripartire insieme con Lui e guardare lontano, molto lontano, sino a comprendere in pienezza il senso della nostra vita, fino al suo ultimo respiro. A questo punto, la sua manifestazione si fa attrazione: il suo amore non ci lascia indifferenti, tocca le corde più intime dei nostri affetti, fino alla decisione spontanea e travolgente del nostro Sì. Da parroco, ricevetti proprio la notte di un giovedì santo il Sì di un giovane il quale mi consegnava la sua resa a Dio con queste parole: “Questa notte, mentre pregavo ho sentito di dover dire ormai al Signore: Mi arrendo; hai vinto tu”. Ora è prete.

La confidenza

Il discepolo che accoglie la chiamata del Signore, ne diventa intimo e familiare: “Nessuno dei discepoli osava domandargli: chi sei?, perché sapevano bene che era il Signore”. Se lo conosci non lo eviti, non lo abbandoni più. Il tuo amore per Lui è poca cosa rispetto alla soverchiante abbondanza della sua tenerezza per te. Una tenerezza che spesso si fa perdono, misericordia, pazienza rispetto alle nostre lentezze e fragilità. Chi incontra il Signore e vi aderisce, condivide la medesima intimità dell’apostolo Giovanni, il discepolo che Gesù amava, sempre il primo a raccogliere le confidenze del Maestro e il primo a riconoscere il suo volto sulle rive del lago. L’amicizia spirituale con il Signore ci permette di posare il nostro capo sul suo petto, di penetrare i suoi affetti e pensieri, di condividere le sue gioie e le sue amarezze. La chiamata alla sua sequela ci educa al silenzio e al raccoglimento, all’ascolto e alla contemplazione: è il godimento estatico di chi sa di ricevere da Lui l’amore più grande.

Lo scarto

“Questo Gesù è la pietra che è stata scartata da voi, costruttori”. Siamo discepoli di una “pietra di scarto”, divenuta però testata d’angolo. Questo pensiero ci conserva nell’umiltà, per non dimenticare mai che siamo chiamati a costruire con pietre di scarto valorizzando le fragilità dei più umili, deboli, poveri, perché “non ci sono fra voi molti sapienti dal punto di vista umano, né molti potenti, né molti nobili” (1Cor 1,26). La pietra angolare è solo Lui. Cosicchè, “alla fine del tempo, dopo le turbolenze e i marosi della storia, l’ultima opera d’arte di Dio sarà plasmata con gli scarti di umanità, che emergono splendenti dal fango del mondo. Impiegando una metafora ardita, potremmo pensare ad un’immensa opera di riciclaggio del materiale di scarto: i corpi offesi dalla miseria e dall’esclusione, sfigurati dalla malattia e dalla vecchiaia, segnati dalle ferite della vita e tornati alla polvere saranno riconoscibili solo agli occhi amorosi di Dio (M. Gronchi).

 

+ Gerardo Antonazzo

 

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