Processi di riforma nella Evangelii Gaudium (Sora – Aquino, 27 gennaio 2016)

Processi di riforma nella Evangelii Gaudium

(Sora – Aquino, 27 gennaio 2016)

 

  1. La Evangelii gaudium e il sogno di Francesco per una Chiesa che si rinnova

Rivolgendosi alla Chiesa italiana, convenuta a Firenze, papa Francesco ha affidato alla meditazione di ogni comunità, parrocchia e istituzione, per i prossimi anni, la sua Esortazione apostolica, Evangelii Gaudium[1] (Eg), «per trarre da essa criteri pratici e per attuare le sue disposizioni».[2] In quel testo, del novembre 2013, egli descrive la Chiesa che vorrebbe, quella che immagina più conforme al progetto di Dio e alla sua volontà. Eg è uno scritto che proviene direttamente dal suo cuore di pastore, e nel quale raccoglie le meditazioni e le esperienze di una vita. Nella Eg il Papa comunica lo spirito che lo anima e con il quale guida la Chiesa. Una Chiesa che vuole vedere più giovane e aperta, più umile e gioiosa, più inserita nel mondo e protesa alla missione. Papa Francesco vuole una Chiesa più conforme alle istanze espresse dal Concilio Vaticano II, che cita più volte lungo l’Esortazione, quale fonte di continua ispirazione e riferimento ideale per la Chiesa del nostro tempo.

Papa Francesco vuole una Chiesa che cammini con umiltà e fiducia, per adempiere in pienezza, senza macchie né resistenze, la sua missione di portare il Vangelo e testimoniarlo a ogni essere umano. Per far questo, essa deve essere sempre capace di conversione e di rinnovamento, senza i quali né i singoli né le comunità possono rispondere adeguatamente alla chiamata di Dio, poiché «senza vita nuova e autentico spirito evangelico (…), qualsiasi nuova struttura si corrompe in poco tempo».[3]

Per questo, la Chiesa deve mettere in atto processi di continua verifica del suo operato e mantenersi in un atteggiamento di umiltà, che le permetta di fare autocritica, senza fossilizzarsi su quanto già è stato fatto. La capacità di rinnovarsi deve riguardare le strutture, i ministeri, le modalità di azione e i linguaggi, specie in questo tempo di enormi e rapide trasformazioni.

Provo a dire, sulla base della Eg, in che direzione e con quali modalità devono svilupparsi concretamente i processi di riforma auspicati dal Santo Padre e che contribuiscono a riconsegnarci una Chiesa bella, materna, misericordiosa; insomma evangelica.

  1. Una Chiesa missionaria

La prima e più importante modalità, attraverso la quale la Chiesa costantemente si rinnova e si mantiene giovane, è la tensione missionaria verso ogni uomo e ogni realtà che egli abita. «Ogni autentica azione evangelizzatrice – infatti – è sempre nuova»,[4] e ringiovanisce la Chiesa, come per primo Cristo è «sempre giovane e fonte costante di novità».[5] La Chiesa descritta nella Evangelii Gaudium è una «discepola missionaria»,[6] sempre animata dal desiderio di portare a tutti il lieto messaggio, dal quale per prima è stata raggiunta. Ora, la Chiesa è missionaria da sempre e per sua natura, in quanto è nata dal mandato di ammaestrare tutte le nazioni e battezzarle nel nome della Trinità (Mt 28,19). Ma questo carattere nativo deve essere concretamente attuato e sempre rivitalizzato.

A tal fine, la Chiesa deve mantenersi aperta, uscire dai luoghi dove solitamente svolge le sue attività, per andare verso le periferie, dove stanno le persone più lontane dalla sua fede e dai suoi ideali. Non vi è luogo che il Signore non voglia raggiungere, e nel quale la Chiesa e i credenti non debbano immergersi con passione, e con il coraggio che deriva loro dallo Spirito di Dio. Quello di annunciare il Vangelo a tutti, senza esclusione di alcuno, è un dovere proprio di ogni cristiano, che si fonda sul diritto di ogni essere umano di riceverlo.[7] Chi è stato raggiunto dal lieto messaggio della salvezza, infatti, non può gestirlo come una prerogativa o un dono individuale, ma da comunicare, per non perderlo a sua volta. In questo senso, sapersi mandati verso gli altri a trasmettere la grazia del Vangelo, è non solo un compito del credente, ma una grazia che egli stesso ha ricevuto, in quanto gli permette di vivere più pienamente il dono dal quale è destinatario. «Quando la Chiesa chiama all’impegno evangelizzatore – allora – non fa altro che indicare ai cristiani il vero dinamismo della realizzazione personale».[8]

  1. Una Chiesa povera per i poveri

Verso chi e verso dove va indirizzata l’azione missionaria della Chiesa? La manda in primo luogo verso coloro che per il Signore sono i primi, cioè i poveri. Essa, sulla scia delle parole e dei gesti di Gesù, che riflettono il pensiero e il cuore del Padre, la Chiesa ha sempre affermato il primato dei poveri e la sua opzione preferenziale per i più deboli e bisognosi. Per questa ragione, «per la Chiesa, l’opzione per i poveri è una categoria teologica prima che culturale, sociologica, politica o filosofica»,[9] che fa sì che «ogni cristiano e ogni comunità sono chiamati a essere strumenti di Dio per la liberazione e la promozione dei poveri»,[10] essi che sono immagine di Cristo, nei quali egli stesso si è identificato.

La sollecitudine per i poveri, che deve costituire una finalità primaria di ogni diocesi e di ogni comunità cristiana, è luogo privilegiato di conversione e rinnovamento, oltre che di testimonianza evangelica. «Preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca – osserva Francesco – per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze».[11] Ogni credente e ogni formazione ecclesiale dovranno, allora, verificarsi su questo punto, in modo da rinnovare il proprio slancio missionario e la propria solidarietà con i poveri, gli ammalati, i carcerati, le persone sole e abbandonate. «Così facendo, la comunità evangelizzatrice si mette, mediante opere e gesti, nella vita quotidiana degli altri, accorcia le distanze, si abbassa fino all’umiliazione, se è necessario, e assume la vita umana, toccando la carne sofferente di Cristo nel popolo».[12]

 

  1. Una Chiesa fedele alla storia

Uscendo in missione, la Chiesa non è chiamata ad attraversare il mondo in cerca di proseliti, ma ad abitarlo, facendosi solidale con le persone e la loro storia. Essa, attraverso i credenti, deve immergersi nelle pieghe della storia, condividere le preoccupazioni che affliggono la società e porsi in cerca delle soluzioni possibili. Lo farà con uno stile di dialogo e di collaborazione, e portando il suo contributo specifico, legato alla sua particolare e più piena visione dell’essere umano, e ai principi che attinge dalla Dottrina Sociale della Chiesa, alla quale Francesco raccomanda di fare costante riferimento.[13]

Anche questo aspetto dell’azione della Chiesa è espressione della sua attività missionaria. Infatti, «evangelizziamo anche quando cerchiamo di affrontare le diverse sfide che possano presentarsi»[14]: le povertà di ogni tipo, gli attacchi alla libertà religiosa, la diffusione di una cultura dell’effimero, che impoveriscono le persone e rendono più difficile vivere secondo il Vangelo e le sue logiche, e quindi trovare la felicità. La fedeltà alla storia consente di essere fedeli al principio della precedenza della realtà sull’idea, che Francesco spiega nella parte finale dell’Esortazione. È necessario evitare che le idee e i principi astratti si rendano indipendenti dalla realtà, vantando una sorta di precedenza su di essa.[15] Ogni fondamentalismo cade in questa trappola, così come ogni assolutizzazione di un punto di vista individuale. La fedeltà alla storia, al contrario, con l’analisi dei problemi e l’attiva collaborazione con gli altri, assicura alla Chiesa di non discostarsi dai poveri e di tenere fede alla dinamica dell’incarnazione, che l’ha costituita.

  1. Una Chiesa ministeriale

Questo stile di dialogo e confronto con il mondo e le persone, sarà possibile a partire da un allenamento costante alla sinodalità, a partire dalla vita ecclesiale e pastorale. Fine dell’azione pastorale, infatti, non è la realizzazione di iniziative o servizi, in funzione dei quali reperire collaboratori, ma quello di educare le persone secondo il Vangelo, facendo emergere il meglio da ognuno, e mettendo ognuno in grado di essere parte attiva, impiegando i suoi talenti. Tutti i credenti, sottolinea il papa con forza, avendo ricevuto lo Spirito di Dio, possiedono «un istinto della fede che li aiuta a discernere ciò che viene realmente da Dio»,[16] e quindi «una certa connaturalità con le realtà divine e una saggezza, che permette loro di coglierle intuitivamente».[17] Questo elemento è da tenere fortemente presente sul piano pastorale, e da parte della stessa teologia, in modo che sia valorizzato e messo a frutto questo carisma, che il Signore ha distribuito con abbondanza.

La partecipazione alla missione e all’attività della Chiesa, che devono essere quanto più possibile condivise, vale in particolare per le famiglie, la cui soggettività e partecipazione all’evangelizzazione il papa e il Sinodo hanno più volte richiamato, e vale anche per i poveri, che dobbiamo servire e che siamo chiamati a coinvolgere, in modo che la mano che tendiamo loro non serva solo a porgere un aiuto materiale, ma a stringere un legame, a chiedere un punto di vista e un contributo personale, secondo la misura delle capacità di ognuno. Solo accogliendo questa sfida, sarà veramente messa a frutto la pluralità dei doni, che lo Spirito semina con abbondanza, e dove vuole.

 

 

  1. Una Chiesa gioiosa

Una Chiesa che vive in una continua tensione missionaria, per soccorrere e salvare tutti i poveri, e così rinnovare se stessa nella fedeltà al Signore e alla storia, vive della gioia del Vangelo, e viene liberata «dalla tristezza, dal vuoto interiore e dall’isolamento»,[18] che tanto spesso affliggono gli uomini di oggi. «Il grande rischio del mondo attuale – osserva Francesco – con la sua molteplice e opprimente offerta di consumo, è una tristezza individualista che scaturisce dal cuore comodo e avaro, dalla ricerca malata di piaceri superficiali, dalla coscienza isolata».[19] Al contrario, il cuore aperto del credente, che nell’impegno a favore del prossimo e del mondo dimentica se stesso, gli fa sperimentare, quale dono inatteso e gratuito, la beatitudine di chi riceve la vita, avendola donata. «Questa gioia è un segno che il Vangelo è stato annunciato e sta dando frutto. Ma ha sempre la dinamica dell’esodo e del dono, dell’uscire da sé, del camminare e del seminare sempre di nuovo, sempre oltre».[20]

  1. La misericordia come architrave della Chiesa

Come abbiamo visto, sono vari gli aspetti del rinnovamento che Francesco sogna per la Chiesa, e diversi sono i processi e le modalità descritte nella Evangelii Gaudium. Nessuno di essi è esaustivo, ma ognuno richiama immediatamente gli altri e si integra con essi. È simile a quanto avviene per le beatitudini, che tracciano ognuno la faccia di un diamante e sono fra loro complementari, così che i poveri in spirito non possono che essere anche puri di cuore, e i misericordiosi anche miti e operatori di pace. Tutte queste facce, però, vanno a comporre il diamante, che è l’amore, come le virtù concorrono alla carità, che ne è la sintesi e la madre. L’amore, allora, è la cifra sintetica della Chiesa che Francesco vuole edificare. Una Chiesa che sa essere misericordiosa avrà per forza imparato a servire i poveri, a essere fedele alla storia, a rinnovarsi e a essere umile, a gioire dei doni del Signore. L’amore è la pienezza, della Legge e della vita cristiana, delle relazioni sociali e di quelle interpersonali, della vita trinitaria e di quella di ognuno di noi, che dello splendore della Trinità partecipiamo.

L’amore è la verità del nostro essere uomini, è l’immagine di Dio, che è Amore, impressa in noi, è la meta del faticoso procedere della storia. Tutto ciò che ci insegna ad amare contribuisce quindi a renderci più uomini e più cristiani, mentre ciò che ce ne allontana non può essere giudicato buono che da un punto di vista terreno e materiale. Ben vengano allora le prove e le umiliazioni, purché le accogliamo come motivi di crescita; ben vengano gli insuccessi, personali ed ecclesiali, se ci insegnano a essere più umili e miti; ben vengano anche i peccati – a patto che non siano maliziosamente programmati – come occasione del perdono e di una grazia sovrabbondante.

La nostra riflessione critica sulla fede (teologia), come la stessa nostra prassi, devono rimettere al centro l’amore. L’amore da senso alla vita dell’uomo ed è segno concreto di partecipazione alla vita divina; è in esso che la Chiesa traduce in prassi concreta la teologia e gli orientamenti pastorali, che devono avere nella misericordia il suo centro.

Tutte le strutture della Chiesa sono dunque chiamate a veicolare la carità, quale linfa che ci lega a Dio e della quale la Chiesa vive, e tutte le iniziative pastorali ne siano un riflesso, sostenute da relazioni improntante alla stima reciproca e al perdono. Anche noi dobbiamo tornare a sognare, insieme a Francesco, una Chiesa bella, viva, evangelica e non solo rituale. Insomma, una “Chiesa in uscita” non solo verso ogni periferia geografica ed esistenziale, ma di uscire, come Chiesa dalla retorica, dai luoghi comuni e dal politicamente corretto; di annunciare che l’uomo non è solo, ma è oggetto di un disegno di grazia; di abitare il nostro mondo, assumendone le sfide; di educare i fratelli a vivere secondo la logica del Vangelo; di trasfigurare le relazioni e gli ambienti di vita mediante la pratica della misericordia, che sola – ci insegna questo Anno santo – dà senso e pienezza alla vita umana.

+ Nunzio Galantino

    Segretario generale della CEI

Vescovo emerito di Cassano all’Jonio

[2] Francesco, Incontro con i rappresentanti del V Convegno nazionale della Chiesa italiana, del 10 novembre 2015.

[3] Francesco, Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium, del 24 novembre 2013, n.26.

[4] Ibidem, n.11.

[5] Ibidem.

[6] Ibidem, n.40.

[7] Cfr. ibidem, n.14.

[8] Ibidem, n.9.

[9] Ibidem, n.198.

[10] Ibidem, n.187.

[11] Ibidem, n.49.

[12] Ibidem, n.24.

[13] Cfr. ibidem, n.184.

[14] Ibidem, n.61.

[15] Cfr. ibidem, n.233.

[16] Ibidem, n.119.

[17] Ibidem.

[18] Ibidem, n.1.

[19] Ibidem, n.2.

[20] Ibidem, n.21.

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