Messaggio dei Vescovi italiani in occasione della pubblicazione della terza edizione italiana del Messale Romano
Carissimi fratelli e sorelle,
la terza edizione italiana del Messale Romano – frutto di un lungo percorso che ha impegnato molte persone, alle quali va tutta la nostra gratitudine – è un dono prezioso: con gioia lo affidiamo a ogni comunità, invitando ciascuno a riscoprire la bellezza e la fecondità della celebrazione dell’Eucaristia.
Nell’ultima Cena, il Signore Gesù ha voluto anticipare con il dono del pane e del vino la sua offerta sulla Croce. Da quel momento la Chiesa, illuminata dallo Spirito Santo, ha custodito intatto il mistero di quella Cena. Obbedendo all’esplicito comando di Gesù – «Fate questo in memoria di me» (Lc 22,19) – ogni volta che la comunità cristiana celebra l’Eucaristia annuncia la sua morte, proclama la sua risurrezione e vive nell’attesa della sua venuta. È memoriale della Pasqua, realizzazione della nuova ed eterna Alleanza, profezia dei cieli nuovi e della terra nuova.
A Emmaus, la sera di Pasqua, nel gesto dello spezzare il pane, gli occhi tristi e smarriti dei due discepoli si aprono e riconoscono il Signore (cf. Lc 24,31). Da quella sera memorabile, il pane spezzato nell’Eucaristia guarisce i nostri occhi e li rende capaci di vedere, proprio nella croce delle nostre ferite, la sua gloria, e di riconoscere nel nostro incerto camminare la sua presenza. Così sarà fino al giorno del ritorno del Signore.
Sulle rive del lago di Galilea, il Risorto torna a riempire le reti dei suoi discepoli – che ancora non avevano compreso che cosa significasse essere pescatori di uomini – e dopo aver spezzato il pane, conferma Pietro nella sua missione di pastore (cf. Gv 21,13-19). Da quel mattino, la nostra missione di annuncio viene continuamente rinvigorita dalla partecipazione alla mensa eucaristica, che il Signore prepara per noi.
Nella Chiesa tutto nasce dall’esperienza dell’Eucaristia e tutto vi ritorna nella gioia sempre nuova di un incontro che tutto assume, trasforma e armonizza. Nell’Eucaristia, infatti, materia e cose, pane e vino, ciò che appartiene alla terra non è ritenuto un peso di cui liberarsi, ma un dono prezioso di cui servirsi. L’Eucaristia convoca ciò che è visibile, tangibile, sensibile, non per condurre “oltre”, “al di là”, ma per ospitare e lodare il Creatore in tutte le sue creature. La creazione non si giustifica, anzi svanisce, senza il riferimento al Creatore (cf. Gaudium et spes, 36). L’Eucaristia, infatti, intona ogni giorno la lode delle creature al Padre e Signore dell’universo.
La Chiesa nasce dall’Eucaristia, riceve e diventa e sé stessa, cioè “Corpo di Cristo”, nella misura in cui si nutre ogni giorno del “suo” Corpo. Scrive sant’Agostino: «Se vuoi comprendere [il mistero] del Corpo di Cristo, ascolta l’Apostolo che dice ai fedeli: Voi siete il Corpo di Cristo e sue membra. Se voi dunque siete il Corpo e le membra di Cristo, sulla mensa del Signore è deposto il mistero di voi: ricevete il mistero di voi. A ciò che siete, rispondete: Amen, e rispondendo lo sottoscrivete. Ti si dice infatti: Il Corpo di Cristo, e tu rispondi: Amen. Sii membro del Corpo di Cristo, perché sia veritiero il tuo Amen» (Sermo 272: PL 38, 1247).
L’Eucaristia è «sacramentum caritatis» (san Tommaso d’Aquino). Nella celebrazione, la carità di Cristo, l’agape, viene a noi corporalmente per continuare il suo operare in noi e attraverso di noi. L’Eucaristia, infatti, è sacrificio e comunione, quell’offerta di sé che fa posto all’altro. Nel vivere le relazioni, noi siamo costantemente tentati di sacrificare l’altro per consacrare noi stessi; la celebrazione eucaristica rovescia questa logica mondana. L’Eucaristia è Cristo che si fa presente e ci attira nel suo amore oblativo, ci coinvolge nel movimento di una dedizione incondizionata, e perciò impensabile e impossibile per noi.
Il libro del Messale non è solo uno strumento per la celebrazione, ma è, prima di tutto, un testimone privilegiato di come la Chiesa abbia obbedito al comandamento – che è pegno, dono e supplica d’amore – di spezzare il pane in memoria del Signore. Le sue pagine custodiscono la ricchezza della tradizione della Chiesa, il suo desiderio di immergersi nel mistero pasquale, di attuarlo nella celebrazione, di tradurlo nella vita. Anche la materialità del libro è preziosa. Forse qualcuno potrebbe pensare che si tratti di un supporto ormai superato: la tecnologia digitale mette oggi a disposizione altri mezzi che sembrano offrire molti vantaggi pratici, come, ad esempio, la continua possibilità di creare aggiornamenti. Il libro liturgico è, in qualche modo, “icona” della preghiera ecclesiale, rimando concreto alla traditio viva, alla quale è doveroso sempre riferirsi per celebrare nella Chiesa «in spirito e verità» (cf. Gv 4, 23-24).
La Liturgia è certamente una realtà viva, che cresce e si rinnova nel suo attuarsi. Tuttavia, tale sviluppo si realizza sempre in obbedienza alla fede, nel solco di una tradizione viva, con rispetto religioso per il suo mistero e valutandone l’efficacia pastorale.
Un testo in aggiornamento continuo e immediato – e pertanto non sufficientemente ponderato secondo criteri ecclesiali – rischia di perdere solidità, forza, autorevolezza, connotando di precarietà le singole successive acquisizioni, che meritano invece di essere fissate come momenti significativi di un percorso di Chiesa.
Questo è ciò che il libro garantisce: un punto fermo, carico di tradizione, capace di custodire la memoria delle celebrazioni che hanno nutrito schiere di martiri, pastori, vergini, sposi, santi, e capace di offrirsi, anche oggi, come pietra miliare di un percorso di crescita. Libro “sigillato” per custodire la bellezza della verità del mistero pasquale; libro “aperto” per garantire lo sviluppo della sua conoscenza ed esperienza orante.
Il Messale, unitamente al Lezionario, concretizza per noi la norma della celebrazione dell’Eucaristia. Anche in questo per l’assemblea che celebra svolge un prezioso servizio, in quanto «le azioni liturgiche non sono azioni private, ma celebrazioni della Chiesa, che è “sacramento di unità”, cioè popolo santo radunato e ordinato sotto la guida dei vescovi. Perciò esse appartengono all’intero corpo della Chiesa, lo manifestano e lo implicano; i singoli membri poi vi sono interessati in diverso modo, secondo la diversità degli stati, degli uffici e della partecipazione attiva» (Sacrosanctum concilium, 26). Ogni celebrazione liturgica è indisponibile a stravaganze di arbitrarie sensibilità o a eccentriche manifestazioni di protagonismo, ma non è nemmeno prigioniera di sterili rubricismi e di vuote esteriorità. La norma che il Messale ci offre è garanzia e sostegno dell’arte del celebrare: essa è precisa come le regole dell’armonia ed è libera come la musica. Il libro liturgico ci offre nel programma rituale la partitura: l’azione celebrativa ci dona l’originalità di ogni esecuzione.
Nel riconsegnare il Messale, vogliamo invitare tutte le comunità a riscoprire nella Liturgia la «prima e indispensabile fonte dalla quale i fedeli possono attingere il genuino spirito cristiano» (Sacrosanctum concilium, 14). La partecipazione piena, consapevole, attiva e fruttuosa alla celebrazione dell’Eucaristia è garanzia per una formazione integrale della personalità cristiana.
La separazione tra le dimensioni costitutive della persona – razionalità, affettività, corporeità – è uno dei motivi che porta all’affermarsi di modelli educativi riduttivi, incapaci di sostenere la sfida di una formazione integrale: questa «richiede l’armonia e la reciproca fecondazione tra sfera razionale e mondo affettivo, intelligenza e sensibilità, mente, cuore e spirito. La persona viene così orientata verso il senso globale di se stessa e della realtà, nonché verso l’esperienza liberante della continua ricerca della verità, dell’adesione al bene e della contemplazione della bellezza» (CEI, Educare alla vita buona del Vangelo, n. 13). È quanto accade nella partecipazione all’Eucaristia: il coinvolgimento dei fedeli nell’azione celebrativa riguarda la persona nella sua totalità e rende possibile, con la vita sacramentale, quel cammino di maturazione per il quale «arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo» (Ef 4,13).
A tutti – e, in particolare, ai giovani – ci sentiamo di dire: riscopriamo insieme la bellezza e la forza del celebrare cristiano, impariamo il suo linguaggio – gesti e parole – senza appiattirlo importando con superficialità i linguaggi del mondo. Lasciamoci plasmare dai gesti e dai “santi segni” della celebrazione, nutriamoci con la lectio dei testi del Messale. Ci esorta papa Francesco: «Sappiamo che non basta cambiare i libri liturgici per migliorare la qualità della Liturgia. Fare solo questo sarebbe un inganno. Perché la vita sia veramente una lode gradita a Dio, occorre infatti cambiare il cuore. A questa conversione è orientata la celebrazione cristiana, che è incontro di vita col “Dio dei viventi” (Mt 22,32)» (Ai partecipanti all’assemblea plenaria della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, 14 febbraio 2019).
L’Evangelii gaudium non può non diventare orationis gaudium: la Chiesa, che vuole ogni giorno ritrovare la gioia dell’annuncio del Vangelo, viene continuamente rinvigorita dal gaudio della celebrazione del mistero pasquale, nella quale sperimenta e annuncia a tutti che Cristo è vivo.
Il Consiglio Episcopale Permanente
Roma, 8 gennaio 2020