Il discernimento morale: il senso di un tema
Paolo Benanti
Una premessa
La nostra società ha subito profonde trasformazioni negli ultimi anni e si presenta, oggi, caratterizzata da un quadro di complessità nel quale sembra sempre più difficile orientarsi e dare significato a molti aspetti della vita dell’uomo. Basti pensare a come la nostra epoca sia segnata da quella che molti definiscono la rivoluzione dell’informazione per cui stiamo assistendo a un nuovo grande passaggio storico legato al modo con cui trasmettiamo, memorizzazione, e recuperiamo le informazioni grazie ai processi informatici e telematici. Sembrano essere ormai superate le categorie dello spazio e del tempo generando un’autentica rivoluzione che trasforma radicalmente su scala planetaria il panorama sociale, culturale e politico.
La complessità è diventata una delle principali caratteristiche della nostra società. Non v’è settore o situazione in cui l’interdipendenza non si ponga come fattore decisivo. E l’intreccio delle relazioni si fa sempre più fitto, estendendosi a tutte le dimensioni e a tutti i livelli, fino a farci sentire a volte come in una ragnatela che lascia poche possibilità di scelta. Questa trasformazione è innegabile e sta cambiando giorno dopo giorno il nostro modo di vivere, di relazionarci tra noi e di considerare e accedere alla conoscenza. Tuttavia se pensiamo che sia questa la chiave ermeneutica che ci spinge nel discernimento morale rischiamo di compiere un errore valutativo che ci pone in una prospettiva inaccurata e pericolosamente fallace. Il tema del discernimento morale non è una malcelata richiesta di cambiamento nei confronti delle norme morali o del modo di capire e valutare il bene.
Il tema del discernimento morale può essere collegato, come nascita prossima, alla pratica del cosiddetto pastoral counseling, una pratica pastorale sviluppatasi soprattutto nei paesi anglosassoni da una giunzione tra azione pastorale e alcune conoscenze psicologiche sviluppando delle specifiche competenze volte all’accompagnamento dei fedeli in particolari momenti di difficoltà o bisogno. Evidentemente l’idea di accompagnare ha radici antiche, di fatto l’accompagnamento è una pratica in atto fin dai primi tempi del cristianesimo, ma l’espressione pastoral counseling e la formalizzazione delle competenze pastorali e psicologiche che compongono il suo ambito di azione è piuttosto recente e viene generalmente fatta risalire agli scritti di Seward Hiltner verso gli anni Cinquanta dello scorso secolo. La caratteristica principale di questa formula di counseling è il configurarsi come una risposta pastorale a individui, coppie o famiglie che sperimentano e sono in grado di verbalizzare un dolore (pain nella terminologia di Hiltner) nella loro vita e hanno la volontà di cercare aiuto pastorale per fronteggiarla. Lo sviluppo del pastoral counseling lo ha portato ad includere anche la dimensione morale dell’esistenza umana. Il frutto di questa evoluzione si è concretizzato, nella teologia morale nord americana, nella nozione di pastoral moral guidance introdotta da autori come Richard M. Gula. Questa speciale caratterizzazione del counseling indica quella guida o quel consiglio morale che alcune figure specializzate offrono per aiutare i fedeli a operare un discernimento e a pervenire a una decisione morale. La pastoral moral guidance si offre in situazioni esistenziali in cui per il soggetto (ambito soggettivo) ci si trova in una complessità morale e/o di non chiara modalità di applicazione delle norme morali.
Il discernimento morale, inclusa la forma canonizzata da riflessioni quali quella della pastoral moral guidance, va capita in stretto collegamento con lo sviluppo della riflessione teologica morale, in particolare con la relazione tra norme e scelta morale, sviluppatasi a partire dal Concilio Vaticano II. La morale pre-conciliare, la cosiddetta teologia morale manualistica, tendeva ad esprimere in termini sillogistici il rapporto tra norma morale e scelta: la norma costituisce la proposizione maggiore del sillogismo, la situazione contingente di fatto – le circostanze – costituisce la proposizione minore, il giudizio di coscienza si formava nell’applicazione deduttiva conseguente.
A partire dal Concilio Vaticano II la teologia morale partendo in particolare dai contributi di Gaudium et spes (GS) e le istanze di rinnovamento della disciplina indicate in Optatam totius (OT), sottolinea come la scelta morale, frutto di quella voce di Dio che risuona nell’intimo della coscienza (in imo nel testo latino di GS 16) è un’arte tanto quanto una scienza che la persona deve acquisire e coltivare per vivere appieno la dignità che la costituisce (GS 16). In questa prospettiva la scelta che voglia essere realmente morale, cioè operata in piena libertà, consapevolezza e responsabilità da una coscienza retta, certa, vera, formata e informata, è quella che cerca di attuare il valore morale. La realizzazione del valore morale si effettua secondo un’analisi dell’importanza e dell’urgenza dei valori umani in gioco. In questa dinamica, che possiamo chiamare discernimento morale quando avviene in forza di una coscienza retta, certa, vera, formata e informata, le norme morali sono gli strumenti essenziali e fondamentali che sono chiamati a guidare la persona in discernimento.
Una scelta morale che voglia essere autenticamente morale, cioè effettuata nelle modalità di coscienza descritte da GS 16, non è una mera questione di imperturbabile osservanza – peggio se meramente esteriore – delle norme né una risposta arbitraria e/o capricciosa che ogni situazione presenta. Il vissuto morale autentico è una questione di attuazione dei valori che meritano la preferenza in un cammino critico, responsabile e amante. Questo processo di discernimento e di scelta morale, dunque, è una questione che impegna tutta la persona nel suo capire e nel suo capirsi e su numerose questioni assume tratti tutt’altro che facili: vivere in maniera degna della vocazione battesimale e nell’attesa e realizzazione del Regno, apportando cioè frutti di carità per la vita del mondo, (cf. OT 16) esige impegno e serietà e necessita di una continua formazione e confronto ecclesiale.
Il discernimento morale richiede di valutare alcuni “poli” valutativi tra cui l’agente, la situazione, le norme appropriate.
La questione del discernimento comincia con il dover rispondere alla domanda morale pratica su l’agente morale – comincia con l’«lo» che è il soggetto della domanda «cosa devo fare?». Accompagnare il discernimento morale significa prestare attenzione alle caratteristiche della persona concreta che deve decidere sapendo che queste devono essere adeguatamente considerata (significa ripartire da quella sana prassi dei confessori che per meglio accompagnare l’esame di coscienza dei penitenti chiedevano alle persone di partire dal presentare la loro condizione di vita come strumento di comprensione dei doveri e delle possibilità). Solo una decisione che scaturisca dall’identità della persona e dalle sue intenzioni saprà essere realmente personale e coerente con l’integrità della sua storia e piena realizzazione delle sue capacità. È l’attenzione al soggetto che richiede, di conseguenza seguendo le riflessioni di Gula, una speciale attenzione alle sue stabili convinzioni, che formano l’autocomprensione dell’agente e la sua capacità (beliefs e ability nei termini di Gula) di considerare quel che è possibile fare: sono le convinzioni personali consolidate nell’esercizio della retta coscienza che di volta in volta spingono l’agente ad agire nel modo più coerente con la sua identità e integrità.
Poiché la decisione morale si basa sulla realtà, un corretto discernimento morale esige che si arrivi a una chiara configurazione e chiarificazione degli elementi che configurano la situazione concreta. In concreto il discernimento morale si farà accompagnando la persona nell’esplorare il più pienamente possibile le domande che sono in grado di portare alla luce la realtà su cui si discerne con l’obiettivo non di mettere in atto una sorta di indagine voyeuristica ma di essere strumenti di aiuto per prendere una decisione (reality-revealing e decision making nel linguaggio di Gula). Se ci si trova di fronte a complesse situazioni di conflitto la persona in decisione per mettere in atto una appropriata valutazione della ragione proporzionata deve possedere una chiara conoscenza delle circostanze.
La dinamica del discernimento non si può e non si deve risolvere in una relazione individualistica tra soggetto e circostanze ma richiede, oltre a un’analisi della situazione, che si faccia riferimento all’autorevole aiuto di varie sorgenti di sapienza morale: la Scrittura, la figura di Gesù e i criteri morali che sgorgano dall’essere suoi discepoli, la retta esperienza umana, la sapienza morale comunicata dall’insegnamento della chiesa e la testimonianza delle vite dei virtuosi morali e dei santi. Nel discernimento morale non bisogna mai scordare che le norme morali sono strumenti di straordinario aiuto in questo processo di consultazione, perché esse sono le espressioni generalizzate di una deduzione tratta da una larga esperienza del valore: in generale bisogna ricordare che le norme godono di una presunzione di correttezza, specie nelle situazioni che il soggetto avverte di maggior conflitto. Ma per quanto detto non ci si trova di fronte a un processo lineare e deduttivo per cui appellarsi alle norme non conclude il processo del discernimento morale. La coscienza morale cristiana, proprio in forza della fede che la anima, dovrebbe portare la piena forza delle convinzioni e degli impegni cristiani a rapportarsi con l’analisi morale così come con la valutazione e la selezione delle alternative per l’azione. L’esplorare le convinzioni e il contributo della fede ci riporta di nuovo al punto di partenza: è la persona che in ultima istanza è interpellata dalla vita e deve decidere e agire. Il discernimento morale allora è un processo circolare che parte dalla persona, nel suo domandarsi dubbioso sul da farsi, e torna alla persona spingendola ad agire verso un bene concretamente possibile cercato e voluto (si veda a questo proposito quanto Amoris laetitia – da ora AL – dice sul tema del discernimento in particolare al n. 303)
Dopo questa descrizione sommaria del processo di discernimento morale dobbiamo chiederci quale sia la relazione tra teologia morale e discernimento morale. La prima, in quanto disciplina scientifica (cf OT 16) è particolarmente interessata al polo oggettivo della moralità, il discernimento morale, specie quello offerto da pratiche come quelle della pastoral moral guidance, si presenta come l’arte di accompagnare le persone a compiere il massimo del bene loro possibile. Il discernimento morale, e chi pastoralmente si occupa di accompagnare a questo, si interessa della capacità che ha la persona di compiere l’ordine morale oggettivo accompagnandola a compiere nella vita e nelle scelte la migliore espressione possibile dei beni umani fondamentali che può realizzare in quel preciso momento per soddisfare quel che da lei esige l’amore (cf. OT 16 e GS 16).
Il comandamento all’amore del Vangelo (cf. Gv 13,34) è una norma valida sempre e perciò deve essere costantemente seguita. Tuttavia la condizione di limitazione che viviamo come creature, a volte anche a causa degli effetti del peccato, pone un limite a quel che può essere fatto. Mai bisogna scordare che farsi carico della realtà del peccato e accettare la creaturale limitata capacità di amare non significa né mai equivale a dissolvere l’esigenza del vangelo (cf. AL 307). IL discepolo si sa amato dall’Amore e proprio in forza di questo amore può riconoscere la distanza della sua risposta e la continua necessità di conversione.
È fondamentale riconoscere che tanto la teologia morale quanto il discernimento morale sono accumunati dal medesimo obiettivo: entrambi cercano la verità morale, cioè quel che ciascuno di noi deve essere e quel che dobbiamo fare per rispondere alla chiamata di Dio ad amare. Questa ricerca assume due differenti accenti: la teologia morale cerca il bene non partendo dalla situazione di conflitto e peccato di una particolare e individuale persona, il discernimento morale, invece, si avvia partendo dal considerare la persona e la situazione concreta per aiutare il soggetto ad attuare il massimo bene possibile in quel momento.
Il discernimento morale allora è chiamato ad accompagnare la persona secondo un principio di gradualità: la sapienza e la tradizione della chiesa ci insegna che una persona progredisce un passo alla volta verso l’attuazione delle esigenze della moralità oggettiva.
Ci preme ricordare che questa attenzione alla persona è stata assunta dal magistero divenendo parte dell’insegnamento della chiesa nella forma della legge della gradualità. In concomitanza con il VI Sinodo dei Vescovi sulla famiglia (1980) i padri sinodali hanno accolto in vario modo il tema. In particolare nella Proposizione 7 (EV 7/704) si legge: “Pertanto è necessaria una guida pastorale e pedagogica perché i singoli fedeli e anche i popoli e le civiltà siano condotti pazientemente da ciò che hanno già ricevuto del mistero di Cristo a una comprensione più ricca del mistero e a una sua integrazione più piena nella loro vita e nei loro costumi”. San Giovanni Paolo II ha accolto questa istanza riproponendo in forma quasi integrale questo testo in Familiaris consortio al n. 9.
Ci sembra opportuno sottolineare come il discernimento morale non sia una novità dettata da scombussolamenti sociali che vuole nascondere maldestri tentativi di rinnovamento dottrinale ma una istanza di cura pastorale che lo Spirito ha suggerito e che il magistero ha riconosciuto come necessaria per aiutare i fedeli a portare pienezza di frutto nella carità con le loro vite.
Guardando ai pastori ci sembra di riconoscere che tale accompagnamento al discernimento morale si configuri come una parte essenziale del ruolo educativo-morale svolto da chi svolge un compito pastorale e che può essere vissuto in pienezza solo se la formazione al discernimento morale diviene parte integrante della formazione alla vita pastorale.
Uno sguardo al contributo specifico di Amoris laetitia
Il cammino ecclesiale cominciato dalle intuizioni contenute nella pastoral moral guidance prosegue con Amoris laetitia. In particolare con il Capitolo 8 dove questi temi vengono racchiusi in tre verbi: accompagnare, discernere e integrare la fragilità. Vogliamo ora provare ad evidenziare alcuni passaggi del testo ch di quel tema della pastoral moral guidance che viene, dopo un adeguato discernimento magisteriale, riconsegnato a tutta la Chiesa tramite le categorie della legge della gradualità delineate già da Familiaris consortio.
L’Enciclica è consapevole che è uno zelo pastorale e di carità che anima e sostiene l’azione della Chiesa:
«la Chiesa deve accompagnare con attenzione e premura i suoi figli più fragili, segnati dall’amore ferito e smarrito, ridonando fiducia e speranza, come la luce del faro di un porto o di una fiaccola portata in mezzo alla gente per illuminare coloro che hanno smarrito la rotta o si trovano in mezzo alla tempesta».[Rel Syn 2014, 28] Non dimentichiamo che spesso il lavoro della Chiesa assomiglia a quello di un ospedale da campo. (AL 291)
Questo zelo che muove la Chiesa deve rendersi particolarmente visibile nell’opera pastorale perché
[…] ai Pastori compete non solo la promozione del matrimonio cristiano, ma anche «il discernimento pastorale delle situazioni di tanti che non vivono più questa realtà», per «entrare in dialogo pastorale con tali persone al fine di evidenziare gli elementi della loro vita che possono condurre a una maggiore apertura al Vangelo del matrimonio nella sua pienezza».[Rel Syn 2014, 41] […] Nel discernimento pastorale conviene «identificare elementi che possono favorire l’evangelizzazione e la crescita umana e spirituale».[Rel Syn 2014, 41](AL 293)
Francesco nel consegnare questo mandato pastorale a tutti i Pastori è però attento a sottolineare inequivocabilmente come questo non sia altro che lo sviluppo pastorale di quanto capito e detto in Familiaris consortio con la categoria di legge della gradualità:
In questa linea, san Giovanni Paolo II proponeva la cosiddetta “legge della gradualità”, nella consapevolezza che l’essere umano «conosce, ama e realizza il bene morale secondo tappe di crescita».[FC 34] Non è una “gradualità della legge”, ma una gradualità nell’esercizio prudenziale degli atti liberi in soggetti che non sono in condizione di comprendere, di apprezzare o di praticare pienamente le esigenze oggettive della legge. […] Perché anche la legge è dono di Dio che indica la strada, dono per tutti senza eccezione che si può vivere con la forza della grazia, anche se ogni essere umano «avanza gradualmente con la progressiva integrazione dei doni di Dio e delle esigenze del suo amore definitivo ed assoluto nell’intera vita personale e sociale dell’uomo».[Fc 9: 90](AL 295)
Il discernimento pastorale si configura quindi non come un’eclissi delle verità o come un regime di doppia verità in cui cadrebbe la prassi pastorale della Chiesa ma come una modalità di presenza pastorale che fa dell’accompagnamento delle persone la sua cifra prima:
I Padri sinodali hanno affermato che il discernimento dei Pastori deve sempre farsi «distinguendo adeguatamente», [Rel. Syn. 2014, 26] con uno sguardo che discerna bene le situazioni. [Rel. Syn. 2014, 45] Sappiamo che non esistono «semplici ricette».[Benedetto XVI, Discorso 2 giugno 2012] (AL 298)
Quello che emerge dalla lettura di Amoris laetitia è che la pastoral moral guidance, divenuta ora discernimento pastorale come forma di attuazione della legge della gradualità e del mandato pastorale contenuto in Evangelii gauudium, non è un compito che ci si possa auto assegnare o uno stile di fare pastorale che si può assumere o negare ad libitum. L’accompagnamento del cammino dei fedeli nelle loro situazioni di incertezza e di eventuale crisi, il discernimento pastorale nelle parole di Amoris laetitia, assume il profilo di quello che potremmo qualificare come un ministero:
I presbiteri hanno il compito di «accompagnare le persone interessate sulla via del discernimento secondo l’insegnamento della Chiesa e gli orientamenti del Vescovo […]» [Rel fin. 2015, 85] . […] Si tratta di un itinerario di accompagnamento e di discernimento che «orienta questi fedeli alla presa di coscienza della loro situazione davanti a Dio.[…]» [Rel fin. 2015, 86] .[…] «[…] Il colloquio col sacerdote, in foro interno, concorre alla formazione di un giudizio corretto su ciò che ostacola la possibilità di una più piena partecipazione alla vita della Chiesa e sui passi che possono favorirla e farla crescere. […]» [Rel fin. 2015, 86]. (AL 300)
La modalità e i le caratteristiche di questo mandato ministeriale sono un qualcosa di cui, in fieri, la Chiesa deve prendere consapevolezza e coscienza. Appare però chiaro e inequivocabile che proprio per questa sorta di matrice ministeriale che è possibile scorgere nel mandato al discernimento pastorale non si debba negare che ogni forma di servizio nella Chiesa è una forma di servizio alla Verità:
«[…] Dato che nella stessa legge non c’è gradualità (cfr FC, 34), questo discernimento non potrà mai prescindere dalle esigenze di verità e di carità del Vangelo proposte dalla Chiesa. Perché questo avvenga, vanno garantite le necessarie condizioni di umiltà, riservatezza, amore alla Chiesa e al suo insegnamento, nella ricerca sincera della volontà di Dio e nel desiderio di giungere ad una risposta più perfetta ad essa […]» [Rel fin. 2015, 86]. (AL 300)
Tuttavia essendo un ministero pastorale chi, su mandato ecclesiale e secondo le indicazioni del Vescovo, vivrà questa forma di servizio è chiamato ad esercitare la funzione di guida e a formare, secondo le modalità appropriate, le coscienze:
Naturalmente bisogna incoraggiare la maturazione di una coscienza illuminata, formata e accompagnata dal discernimento responsabile e serio del Pastore, e proporre una sempre maggiore fiducia nella grazia. […] Ma questa coscienza può riconoscere non solo che [1] una situazione non risponde obiettivamente alla proposta generale del Vangelo; può anche riconoscere [2] con sincerità e onestà ciò che per il momento è la risposta generosa che si può offrire a Dio, e scoprire con una certa sicurezza morale che quella è la donazione che Dio stesso sta richiedendo in mezzo alla complessità concreta dei limiti, benché non sia ancora pienamente l’ideale oggettivo. […] In ogni caso, ricordiamo che questo discernimento è dinamico e deve restare sempre aperto a nuove tappe di crescita e a nuove decisioni che permettano di realizzare l’ideale in modo più pieno. (AL 303)
L’Enciclica è ben conscia che il discernimento pastorale non è il tutto dell’azione pastorale ma che si deve continuare ad annunciare il Vangelo e la bellezza della vita coniugale nella pienezza del sacramento del matrimonio:
Per evitare qualsiasi interpretazione deviata, ricordo che in nessun modo la Chiesa deve rinunciare a proporre l’ideale pieno del matrimonio, il progetto di Dio in tutta la sua grandezza. (AL 307)
Ma ne emerge un’eguale consapevolezza sull’urgenza e sull’importanza di avere una cura per tutti i battezzati:
ne segue che «senza sminuire il valore dell’ideale evangelico, bisogna accompagnare con misericordia e pazienza le possibili tappe di crescita delle persone che si vanno costruendo giorno per giorno», lasciando spazio alla «misericordia del Signore che ci stimola a fare il bene possibile». [EG 44] (AL 308)
Questo rinnovato impulso nella pastorale, questo desiderio che i pastori siano, per così dire, in prima linea può provocare un certo senso di disagio e di questo il Pontefice ne ha consapevolezza:
Comprendo coloro che preferiscono una pastorale più rigida che non dia luogo ad alcuna confusione. Ma credo sinceramente che Gesù vuole una Chiesa attenta al bene che lo Spirito sparge in mezzo alla fragilità: una Madre che, nel momento stesso in cui esprime chiaramente il suo insegnamento obiettivo, «non rinuncia al bene possibile, benché corra il rischio di sporcarsi con il fango della strada». [EG 45] (AL 308)
Tuttavia nell’eco di quel caritas Christi urget nos (2 Cor 5,14) che appella il cuore del discepolo e spinge il successore di Pietro ad esortare la Chiesa tutta con Amoris laetitia deve risuonare nel cuore di ogni presbitero l’invito che Francesco fa:
invito i pastori ad ascoltare con affetto e serenità, con il desiderio sincero di entrare nel cuore del dramma delle persone e di comprendere il loro punto di vista, per aiutarle a vivere meglio e a riconoscere il loro posto nella Chiesa. (AL 312)
Alla luce di questo percorso possiamo quindi intuire come quella intuizione che la pastoral moral guidance ha introdotto nella prassi pastorale della Chiesa, dopo un discernimento ecclesiale e magisteriale che ne ha ridefinito l’identità mediante la cosiddetta legge della gradualità, venga ora, tramite Amoris laetitia, consegnata alla vita delle comunità ecclesiali tramite i suoi Pastori per poter illustrare ai battezzati la grandezza della vocazione in Cristo e aiutare tutti i fedeli a portare frutto nella carità per la vita del mondo (cfr Optatam totius 16).