Seconda Relazione di aggiornamento su Amoris Laetitia

DIOCESI DI SORA-CASSINO-AQUINO-PONTECORVO

8 marzo 2017

Il capo VIII di Amoris laetitia: accogliere/accompagnare e discernere/integrare

(II parte)

 

[Seguito del n. 4. Accompagnare, discernere ed integrare la fragilità]: Abbiamo già sufficientemente parlato dell’invito del papa a inaugurare una pastorale delle situazioni irregolari. In realtà ne aveva già parlato San Giovanni Paolo II nella Familiaris consortio[1] .

Tale opera pastorale comincia con l’accoglienza, che predispone poi a quell’accompagnamento e discernimento di cui tanto parla il documento papale. Certo, non ci si può nascondere il fatto che molti fedeli, che hanno alle spalle situazioni irregolari, ed il numero oggi è tutt’altro che trascurabile, si allontanano dalla Chiesa o perché conoscendo la dottrina cristiana sul matrimonio, hanno coscienza di essere in situazione irregolare; o perché pretendono che la Chiesa ratifichi semplicemente le loro scelte di vita, senza operare alcun giudizio. E’ evidente che l’accoglienza vale per tutti, ma – nello spirito del documento papale – solo i primi presentano le giuste disposizioni per una necessaria revisione di vita ed una maturazione ecclesiale. Ovvio che l’invito vale anche per i secondi, laddove però si abbandoni la pretesa di non operare una valutazione morale delle proprie scelte di vita e chiedere semplicemente di ratificarle, in nome del rispetto della coscienza, altrimenti non vi sarebbero le condizioni per realizzare quel discernimento spirituale di cui parla papa Francesco. Ho sentito una frase del cardinale Schönborn, che mi sono appuntato: “Alcuni vogliono essere ammessi alla comunione [eucaristica] per essere esonerati da una cattiva coscienza”.

Dunque, all’accoglienza segue l’invito al discernimento. Esso è anzitutto un obbligo del pastore: “I pastori, per amore della verità, sono obbligati a discernere le situazioni familiari” (n. 84). Qualora il fedele accetti, si instaura tra pastore e fedele un dialogo. Il richiamo alla coscienza individuale suggerisce che il discernimento del pastore non è un esame astratto su una data situazione a lui presentata, ma un dialogo nel quale al discernimento pastorale si affianca il discernimento morale individuale della persona. Discernimento pastorale e discernimento morale sono due operazioni distinte che procedono simultaneamente: tramite il discernimento pastorale, il pastore è chiamato ad “identificare gli elementi che possono favorire l’evangelizzazione e la crescita umana e spirituale” (n. 293), a verificare la risposta di fede che il fedele riesce a dare, poiché il fedele avanza nella vita di fede nella misura in cui si avvicina all’ideale coniugale cristiano; tramite il discernimento morale il fedele a sua volta si appropria dei contenuti del messaggio cristiano, ed illuminato dal vangelo, scopre la distanza che c’è tra la sua situazione particolare e l’ideale cristiano da incarnare nella vita.

Il discernimento pastorale è finalizzato:

  1. Alla presa di coscienza da parte del fedele della propria condizione obiettiva e delle connesse responsabilità: l’itinerario di accompagnamento e di discernimento – afferma il papa prendendo in prestito le parole di Giovanni Paolo II nella FC (n. 34) – è volto ad orientare i fedeli ad una presa di coscienza della loro situazione davanti a Dio ed a comprendere ciò che ostacola la possibilità di una più piena partecipazione alla vita della Chiesa;

2. Ad una sempre maggiore integrazione del fedele nella Chiesa nella misura del possibile.

Dunque, il discernimento è un mezzo necessario per avanzare in quella progressiva integrazione del fedele nella vita della Chiesa di cui appunto parla diffusamente il documento papale.

Il dialogo pastorale è finalizzato a formare la coscienza cristiana perché il fedele possa comprendere il valore insito nella norma o nell’ideale. E’ vero che il documento papale parla molte volte della coscienza e del rispetto della sua autonomia, della quale aveva peraltro parlato anche il concilio Vaticano II. Ma non si può far ricorso alla coscienza solo col pretesto di seguire un ideale cristiano diverso o parallelo a quello che la Chiesa insegna. La coscienza di cui parla papa Francesco non è la coscienza lassa o erronea, ma quella formata alla luce del Vangelo e della dottrina della Chiesa: “Certamente va intensificata la maturazione di una coscienza illuminata, formata ed accompagnata dal discernimento responsabile del pastore” (n. 303). Ed in un altro luogo si afferma: “La conversazione con un sacerdote nel foro interno contribuisce alla formazione di un giudizio corretto su ciò che ostacola la possibilità di una partecipazione più piena alla vita della Chiesa e dei passi che possono favorirla e farla crescere” (n. 300).

Si comprende qui che «accompagnamento» e «discernimento» sono due momenti simultanei che quasi si identificano. In effetti il discernimento avviene in un contesto di accompagnamento spirituale. Ma se l’accompagnamento spirituale ha un senso più ampio, punta cioè alla crescita di fede in senso integrale, il discernimento è un’operazione che mira ad un giudizio di coscienza sulla situazione coniugale particolare che il fedele vive nel momento. Il discernimento, afferma il papa, è dinamico, e deve rimanere aperto a sempre successive tappe di crescita e a nuove decisioni del fedele che permettano di realizzare l’ideale in maniera piena. Il punto di partenza è però sempre un’accoglienza che deve prescindere da ogni giudizio morale predeterminato dall’adesione a norme astratte, dal momento che, fa notare il papa, la norma – proprio a motivo della sua astrattezza – non può comprendere tutte le situazioni particolari.

A questo proposito, mi pare che il papa distingua l’ordine obiettivo disordinato dei conviventi o dei divorziati risposati e la personale imputabilità morale rispetto a quella situazione. Vi possono infatti esserci fattori che in un particolare contesto esimono o attenuano di molto l’imputabilità morale del soggetto. E’ un principio del diritto penale: la pena è dal giudice ridotta non perché il delitto sia obiettivamente meno grave, poniamo l’omicidio, ma perché il soggetto che lo ha perpetrato è stato spinto a quell’atto da grave necessità, minaccia, errore, educazione gravemente distorta, ed altre circostanze che il diritto penale qualifica come attenuanti la responsabilità morale o addirittura esimono dalla pena. Pensate al figlio che uccide il genitore che usa violenza contro l’altro genitore. O al furto di colui che non ha il necessario per mangiare o per vivere. Questo principio, dice papa Francesco, può e deve trovare applicazione anche nell’ordine morale. A questo proposito, il papa fa riferimento alla situazione di una donna, abbandonata dal precedente marito e con prole in tenera età, che senta in coscienza la necessità di dare ai figli una figura paterna ed assicurare loro un adeguato sostentamento ed un futuro meno mortificante. E’ ovvio che una donna che tiene fede al proprio patto nuziale e cerca di tirare su la prole fidando solo sulle proprie forze, è un’eroina che merita tutta l’ammirazione ed il sostegno. Ma non a tutti si può chiedere la forza del martirio, come diceva don Abbondio nei Promessi Sposi di Manzoni. Di fronte dunque a questi casi in cui l’ordine obiettivo disordinato si incrocia con un soggetto che abbia scarsa o nessuna responsabilità circa il fallimento dell’unione sacramentale, occorre la pazienza del pastore per accompagnare il fedele a vivere la sua situazione senza l’angoscia del giudizio, ma senza nemmeno chiudersi a futuri sviluppi positivi di carattere spirituale e sacramentale. Ecco perché il papa afferma che, poiché il grado di responsabilità non è uguale in tutti i casi (cfr. n. 51), le conseguenze o gli effetti di una norma non necessariamente devono essere sempre gli stessi (n. 300).

Mi pare che il papa Francesco operi secondo la teologia morale di S. Alfonso M. de Liguori il quale, opponendosi indirettamente al rigorismo giansenista, costruì un sistema morale improntato al senso del bene possibile. Come alcune volte si deve accettare una soluzione che in una data situazione costituisca un male minore, così occorre, in positivo evidentemente, sollecitare il bene possibile qui e ora, in questa determinata situazione, anche se essa non corrisponde all’ideale, a patto che essa rimanga sempre aperta a sviluppi di bene maggiore.

Ecco allora che, in questa prospettiva, partendo dal mostrare l’amore della Chiesa verso coloro che partecipano alla sua vita in modo incompiuto (n. 291), dall’accoglienza si passa al discernimento come un mezzo per consentire al fedele una risposta sempre più piena a Dio. Solo quando questa risposta, dopo un lungo discernimento, può essere sufficiente ed il fedele presenta determinate condizioni, allora giunge il momento dell’integrazione. Dunque, giungiamo finalmente al concetto di integrazione. Si tratta ovviamente di integrare i fedeli, anche quelli che hanno situazioni matrimoniali fallimentari alle spalle, nella pastorale ordinaria della Chiesa, fratelli accanto ai fratelli, avviati nell’unico cammino di fede e di pratica cristiana.

Il papa parla di una integrazione che non è solo riducibile alla partecipazione ai sacramenti, ma di una integrazione che ha anch’essa, parallelamente al cammino di discernimento, tappe di sempre maggiore inclusione. Dall’accoglienza, dunque, fino al pieno inserimento nella comunità cristiana, in alcune situazioni più felici, o fino al possibile in altre.

Quale l’inserimento possibile? Il papa non lo dice esplicitamente, lasciando ai vescovi diocesani di discernere, insieme con il presbiterio, le varie mansioni, servizi, incarichi di cui i divorziati risposati si possono far carico contribuendo così fattivamente alla vita concreta delle comunità ecclesiali. Egli indicativamente afferma che la loro partecipazione può esprimersi in diversi servizi ecclesiali: occorre perciò discernere quali delle diverse forme di esclusione attualmente praticate in ambito liturgico, pastorale, educativo e istituzionale possono essere superate (n. 299). E qui dunque si può scatenare tutta la creatività (responsabile) dei vescovi e presbiteri che operano nelle Chiese particolari. Il papa stesso, al n. 299 precisa: “… tale cammino [del discernimento] non giunge necessariamente fino all’ammissione ai sacramenti, dato che vi sono altre forme di integrazione nella vita della comunità a cui può orientarsi: una maggior presenza nella comunità, la partecipazione a gruppi di orazione e riflessione, l’impegno in diversi servizi ecclesiali …”.

Certo, è vero anche che il papa indica la possibilità che alcuni fedeli, in determinate situazioni di obiettiva irregolarità canonica ma in situazione di soggettiva minima o nulla morale responsabilità, dopo un lungo discernimento e qualora sia per loro del tutto impossibile ripristinare la situazione precedente senza incorrere in un peccato ancora più grave, allora possono essere ammessi ai sacramenti, a determinate condizioni. In questi ed altri casi simili si può giungere persino a consentire l’accesso ai sacramenti.

Questo è ben diverso che dire, come si è sentito dire, che AL ammette ai sacramenti i divorziati civilmente risposati. Chi afferma questo non ha compreso la genuina mente del papa e del suo documento postsinodale.

Si tratta della ormai famosa nota 351 annessa al testo di AL, che tante polemiche ed incomprensioni ha suscitato. A me sono sembrate polemiche esagerate. Il papa, in quella nota, parla del sacramento della riconciliazione e dell’eucarestia, come sostegno per il deboli. Ovviamente, l’affermazione non può essere presa in maniera assoluta, ma sempre nel contesto della dottrina ecclesiale. Tutti sappiamo che l’eucarestia è esca viatorum, medicina salutis. Tutti conosciamo l’antico inno Sacris sollemniis, dove ad un certo punto si dice: «Dedit fragilibus corporis ferculum, dedit et tristibus sanguinis poculum…»; e poco più avanti, nell’ultima parte che conosciamo come Panis Angelicus, si dice: «manducat Dominum pauper servus». Sono tutte espressioni che fanno comprendere come l’eucarestia non è premio per i buoni ed i perfetti, ma pane per il viandante e medicina per il malato. E’ precisamente quello che ci ricorda il papa. Tuttavia, non si può prendere tale dato teologico come assoluto.  Tale principio, portato alle estreme conseguenze, porterebbe ad eliminare ogni cautela e concedere la comunione a chiunque la chiede, a prescindere dalla propria condizione, anche agli omicidi, ai delinquenti, a coloro che a vario titolo hanno offeso gravemente il nome di cristiani ricevuto nel battesimo. In tal caso si cadrebbe nell’assurdo di affermare che la Chiesa ha errato per tanti secoli escludendo alcune categorie di fedeli dalla comunione e che sarebbe ora di cambiare questa prassi. Non è questa l’intenzione del pontefice.

Per papa Francesco il principio morale della dottrina cristiana sul matrimonio rimane intatto (n. 292). Non c’è una novità nella dottrina ma solo un coerente sviluppo della sua comprensione che non compromette l’integrità dell’insegnamento cattolico sul matrimonio: «Comprendere le situazioni eccezionali – afferma il papa nel n. 307 – non implica mai nascondere la luce dell’ideale più pieno né proporre meno di quello che Gesù offre all’essere umano».  La vera novità della Esortazione Apostolica risiede dunque nell’applicazione del principio morale tradizionale della Chiesa. Il ricorso continuo del papa Francesco al documento di Giovanni Paolo II, Familiaris consortio, mi convince che si tratta qui delle stesse fattispecie previste in quel documento. L’ammissione ai sacramenti dopo un lungo processo di discernimento è possibile, nei casi di diminuita o assente imputabilità morale circa la frattura della precedente unione, quando gli sposi, spesso avanti negli anni, accettino la proposta – difficile ma possibile in un contesto di vita intensa di fede e carità – di continuare a vivere astenendosi dagli atti coniugali intimi. Dico questo con sicurezza di coscienza, non solo perché questa conclusione corrisponde a quel criterio di lettura che ci siamo proposti all’inizio del nostro discorso, e che ho chiamato ermeneutica della continuità, ma anche perché da quanto abbiamo appreso dagli organi di stampa, è il Papa stesso che ha confermato questa corretta interpretazione del suo testo. Infatti, di poco posteriore alla pubblicazione dell’Esortazione postsinodale, i vescovi della Regione Pastorale di Buenos Aires, in data 5 settembre 2016, hanno approvato un documento chiamato Criterios básicos para la aplicación del capitulo VIII de Amoris laetitia, destinato ai sacerdoti (vedi Oss. Rom., del 13 settembre 2016). In questo documento si parla della possibile partecipazione di alcuni che vivono in una situazione denominata «irregolare» ai sacramenti della Riconciliazione e dell’Eucarestia. In tale documento, i Vescovi argentini – dopo aver stabilito che AL parla della possibilità di accesso ai sacramenti quando lo permetta il risultato del processo di discernimento – precisano che, allorquando non si possa ottenere una dichiarazione di nullità, i divorziati risposati non presentano responsabilità o colpevolezza per la rottura del precedente matrimonio sacramentale e obiettivamente non è possibile che possano disgregare la nuova famiglia costituita, solo allora AL apre alla possibilità di accesso ai sacramenti. Ed aggiungono: “Puede ser conveniente que un eventual acceso a los sacramentos se realice de manera reservada”, evitando accuratamente che si crei confusione nella comunità circa l’insegnamento del matrimonio indissolubile.

La domanda qui sorge spontanea: ma possono queste coppie accedere ai sacramenti pur compiendo gli atti intimi propri dei coniugi? I Vescovi argentini non eludono la domanda, ed affermano: “Cuando las circunstancias concretas de una pareja lo hagan factible, especialmente quando ambo sean cristianos con un camino de fe, se puede proponer el empeño de vivir in continencia. AL no ignora las dificultades de esta opción (cf. nota 329 e cioè concretamente il pericolo della fedeltà coniugale) y deja abierta la posibilidad de acceder al sacramento de la Reconciliación cuando se falle en ese propósito” (secondo l’insegnamento di Giovanni Paolo II che in una lettera al card. Baum affermò che la prevedibilità di una nuova caduta «non pregiudica l’autenticità del proposito» – cfr. nota 364 di AL).

Ebbene, in risposta al Vescovo delegato della Regione Pastorale di Buenos Aires, che inviò al papa il documento, papa Francesco il 5 settembre 2016 affermò: “El escrito es muy bueno y explicita cabalmente el sentito del capitulo VIII de Amoris laetitia. No hay otras interpretaciones” (in Oss. Rom., del 13 settembre 2016).

Come si vede bene, papa Francesco si inserisce nella linea dell’insegnamento pontificio costante, in particolare nella linea di Familiaris consortio, che già aveva trattato il tema nella stessa maniera. Di conseguenze, le polemiche posteriori apparse sulla stampa sono eccessive e francamente frutto di una lettura affrettata e pregiudiziale.

Una parola ultima sul dovere dei pastori di favorire l’opera dei tribunali ecclesiastici?

  • Necessità di non nascondere ai fedeli ed anzi esortarli a ricorrere al tribunale ecclesiastico, superando i tanti pregiudizi;
  • un servizio gratuito di consulenza canonica in ogni diocesi?
  • Mitis Iudex del 15 agosto 2015 facilita i processi e permette di servirsi di avvocati d’ufficio.

In una nota del Cardinale Vicario di Roma, trovo scritto che l’esperire il tentativo di ottenere una dichiarazione di nullità dal tribunale ecclesiastico sarebbe una delle condizioni per i divorziati conviventi di essere eventualmente ammessi – dopo il discernimento di cui abbiamo parlato – ai sacramenti. Solo laddove non sia possibile ottenere o non sia possibile provare la nullità del matrimonio precedente, ed i divorziati si trovino di fronte una porta ormai sbarrata, si aprirebbe l’eventualità di un accesso ai sacramenti.

[1]  Si veda FC, 84: “Insieme col Sinodo, esorto caldamente i pastori e l’intera comunità dei fedeli affinché aiutino i divorziati procurando con sollecita carità che non si considerino separati dalla Chiesa, potendo e anzi dovendo, in quanto battezzati, partecipare alla sua vita. Siano esortati ad ascoltare la Parola di Dio, a frequentare il sacrificio della Messa, a perseverare nella preghiera, a dare incremento alle opere di carità e alle iniziative della comunità in favore della giustizia, a educare i figli nella fede cristiana, a coltivare lo spirito e le opere di penitenza per implorare così, di giorno in giorno, la grazia di Dio. La Chiesa preghi per loro, li incoraggi, si dimostri madre misericordiosa e così li sostenga nella fede e nella speranza”.

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