Introduzione
Ricorrono nel 2014 gli 80 anni dalla scomparsa di Suor Maria Teresina Zonfrilli (1899-1934)[1], nata al mondo nella città di Pontecorvo sotto la protezione del vetusto campanile di S. Nicola di Porta[2], ma generata alla vita religiosa per i voti presi nella famiglia fondata da Virginia Centurione Bracelli (1587-1651), rampolla di nobile stirpe genovese, moglie esemplare e madre di due figli, rimasta vedova appena ventenne, elevata agli onori dell’altare da Giovanni Paolo II nel 2003, la quale, a suo tempo, aveva saputo trasformare il lutto d’una giovane sposa in un’esperienza di grazia straordinaria, per avviare il primo nucleo di quel gruppo femminile, che dal 1631 aveva occupato nel capoluogo ligure il convento di Santa Maria del Rifugio in Monte Calvario, impegnandosi sotto il manto della Vergine Addolorata in una regola di vita attenta a coniugare la contemplazione con l’operosità e proliferando nei secoli due Congregazioni gemelle (Le Suore di Nostra Signora del Rifugio in Monte Calvario con sede generalizia nella città d’origine; Le Figlie di Nostra Signora al Monte Calvario con sede generalizia a Roma), destinate a fulgida espansione planetaria[3].
Giunte a Pontecorvo nel 1854 per interessamento del vescovo Giuseppe Maria Montieri (1938-1862), che intendeva assicurare fresche energie all’assistenza ospedaliera e promuovere un nuovo spazio per una sana emancipazione della donna con l’introduzione di esperienze scolastiche concepite allora solo al maschile, le Figlie di Nostra Signora al Monte Calvario (cui d’ora in poi ci riferiremo più semplicemente come Suore del Monte Calvario) avranno il frutto più bello della loro semina locale proprio in Suor Teresina[4], la cui tomba, sita a Roma nella Chiesa della Casa Generalizia (Via Emanuele Filiberto, 104), divenne ben presto luogo di venerazione, tanto da far sì che il 18 febbraio 1940 il Vicariato di Roma e la Curia di Pontecorvo dessero avvio al processo informativo, che il 19 novembre 1957 avrebbe poi permesso a Pio XII di introdurre la causa di beatificazione, battendo la pista a quel primo lusinghiero benché ancora incompleto risultato concretizzatosi il 10 maggio 1973, quando Paolo VI ne dichiarerà le virtù eroiche.
Per leggere i tratti biografici della Venerabile la fonte più significativa si risolve in un testo, la cui prima edizione apparve ad Isola del Liri, appena tre anni dopo la sua morte, per i tipi della Società Macioce & Pisani, sotto il titolo di «Piccola Ostia. Suor Maria Teresina Zonfrilli delle Figlie di Nostra Signora al Monte Calvario (1899-1934)»: pubblicato con l’imprimatur del vescovo Michele Fontevecchia (1936-1952) dato in Sora il 21 marzo 1937[5], esso è eco viva di avvenimenti trascritti sulla scorta di testimonianze dirette e di autografi della protagonista poi raccolti in un Diario del suo mondo interiore.
A) Il contesto epocale
Spesso si sente dire che i santi sono qualche cosa che appartiene al passato, quando, in una società diversa e più favorevole di quella attuale, la Chiesa cattolica incideva maggiormente con la sua voce, facilitando l’affermazione di splendide figure come la stessa Suor Teresina Zonfrilli. In realtà, ogni tempo scarica sulla Chiesa la burrasca di un mondo, che pone complicazioni e disagi all’umano cammino verso la perfezione cristiana. Anche tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, quando cioè nasce e cresce la Venerabile, non mancava alla Chiesa un saggio delle difficoltà, che la storia perennemente le riserva e che, nella circostanza, non erano certo più leggere di oggi.
Cominciamo con le difficoltà culturali. Era quella l’epoca, in cui si diffondeva il movimento intellettuale noto come modernismo, movimento di portata internazionale, con vari accenti dottrinali correnti “da un mero aggiornamento dell’apologetica cattolica ad un più o meno accentuato relativismo religioso”[6], che ebbe in Italia, tra gli esponenti più radicali, il sacerdote Ernesto Buonaiuti (1881-1946), sospeso a divinis nel 1907, divenuto professore di Storia del Cristianesimo alla Sapienza, prima di esserne espulso nel 1929 per l’ingresso della materia concordataria vietante l’insegnamento del clero ridotto allo stato laicale. Lo citiamo simbolicamente da una schiera ampia e nutrita, perché, essendo d’ambito romano, incideva maggiormente sui nostri circuiti del Lazio meridionale sia per la possibilità di contatti più diretti sia per una più immediata circolazione delle sue pubblicazioni, che raccoglievano alcune posizioni teologiche molto insidiose, estremizzando lo spirito anti-temporalista del liberalismo ottocentesco, che, anche nella nostra Diocesi, aveva avuto un megafono di spessore, come don Benedetto Scafi (1796-1879)[7], parroco e storico di Santopadre. Le tesi, che più sfidavano la spicciola catechesi del clero, possono sciogliersi, con il beneficio dell’inventario dinanzi ad una ragnatela di proposte complesse e articolate, in due assunti fondamentali:
1) il Cristo della fede non è il Cristo della storia. Il Cristo della fede, quello che è morto e risorto, non è il Cristo della storia, che fu un semplice araldo di Dio, per annunciare la parusia, cioè che questo mondo prima o poi avrà una fine e che in ogni epoca bisogna essere pronti a ciò. Il Cristo della fede, che i Vangeli presentano come Verbo incarnato, è un mito che i suoi primi discepoli elaborarono per dare forza al suo messaggio. La Resurrezione non è un evento storico, ma un ideale socio-politico per dire che il suo messaggio non morirà mai;
2) la Chiesa è una costruzione umana. La Chiesa è un’organizzazione posta in essere dai primi discepoli per mantenere vivo nell’arco della storia l’annuncio escatologico del Cristo, sollecitando intanto l’impegno degli uomini ad edificare una società migliore nel fluire di questo mondo, per sortire una loro degna presentazione in Giudizio al termine del pellegrinaggio terreno. Insomma, fu il bisogno contingente dei seguaci, e non una esplicita volontà di Dio, a fondare la Chiesa.
Contro le manifestazioni radicali del modernismo replicherà Pio X nel 1907 con l’enciclica Pascendi, a supporto del Decreto Lamentabili del sant’Uffizio. Il Papa ribadisce fermamente i pilastri della Tradizione cattolica, peraltro, già ben richiamati nella sua precedente enciclica del 1905, Acerbo nimis, con la quale aveva promosso il nuovo Catechismo per la formazione dei fanciulli ai sacramenti, testo che rimarrà in vigore fino all’epoca conciliare e che, dunque, ebbe, a suo tempo, in Suor Teresina un’icona generazionale dei primissimi fruitori. Tali pilastri, ricondotti solidamente nella catechesi parrocchiale, rilanciano con fermezza che:
1)il Cristo della storia è il Verbo incarnato, il Figlio di Dio, la seconda Persona della Trinità che, per la Redenzione della stirpe adamitica contagiata dalla colpa dei progenitori, nella pienezza dei tempi volle condividere in tutto, fuorché nel peccato, la natura umana.
2) La Chiesa è di fondazione divina, in quanto l’ha edificata sul suo sangue Cristo, Verbo incarnato, per prolungare nel tempo e nello spazio la sua missione salvifica, adempiendo attraverso l’azione sacramentale della stessa Chiesa, che nell’Eucarestia trova sorgente e pienezza, il senso reale della promessa evangelica: “Ecco io sono con voi tutti i giorni fino alla fine dei tempi”[8].
D’altro canto, per la Chiesa di allora i tempi non erano più comodi di oggi anche per le grandi difficoltà politiche, che essa viveva. Erano i decenni successivi alla Presa di Porta Pia, che nel 1870 aveva cagionato l’annessione di Roma al giovane Regno d’Italia e la fine del millenario Stato Pontificio. È noto a tutti il dissenso di Pio IX, che aveva condannato l’evento come frutto di violenza e di abuso, schiudendo con il suo atteggiamento la famosa “questione romana” destinata a soluzione solo nel 1929, quando la Chiesa sarebbe finalmente pervenuta al riconoscimento dello Stato Italiano con i Patti Lateranensi. Perciò, nel tempo in cui S. Teresina veniva alla luce, la situazione era ancora incandescente e lontana a risolversi. Dal 1874 vigeva per i cattolici il non expedit del Papa, cioè il divieto assoluto di collaborare con il Regno d’Italia nato sulle ceneri dello Stato Pontificio. Non stiamo ora a fermarci su un dibattito sempre appetibile, che comunque ci porterebbe qui fuori tema, ma è certo che l’assenza dei Cattolici dalla politica produsse in quei decenni una serie di provvedimenti parlamentari fortemente anti-ecclesiastici, che sul piano educativo ebbero un segno eloquente nel 1877 con la Legge Coppino, laddove, pur non arrivando a formale drastica soppressione, si spingeva, ignorandolo, fuori dalle aule delle scuole statali l’Insegnamento di Religione[9], mentre il contesto poneva una serie di ostacoli per provocare l’eutanasia delle scuole cattoliche.
Il clima dell’epoca lascia i segni anche a Pontecorvo[10], dove per decenni il Comune proverà ad azzerare l’attività scolastica ed educativa dei Dottrinari, cercando di incamerare i locali del Collegio di S. Marco: ci vorrà la tenacia di quell’eroico combattente, che fu P. Giuseppe Peretti (1844-1930), perché la resistenza della Chiesa avesse ragione sulle pretese dell’Amministrazione civile[11]. Ed anche le Suore del Monte Calvario, sia pure più fortunate di altre esperienze religiose femminili, avevano avuto in città la loro parte di vessazione nello scudiscio generale sferzato dall’attivismo laicista sui territori dello Stato Pontificio che passavano all’incipiente Regno d’Italia[12].
B) La formazione giovanile (1899-1918)
In queste condizioni culturali e ambientali, che erano per la Chiesa cattolica non certo più tranquille di oggi, si consuma la formazione giovanile della Venerabile, al secolo Maria Francesca Zonfrilli, fino all’ingresso nella vita religiosa. La piccola Maria Francesca può, comunque, contare su un solido triangolo educativo, che, quando c’è e ben si raccorda come nel suo caso, sa essere vincente sulle intemperie di qualsiasi epoca. Tale triangolo si concentra su tre agenzie:
1) la famiglia, in cui Maria Francesca, seconda di nove figli, respirò sin dalla nascita l’atmosfera di un’operosa generosità, della quale fu interprete indefettibile il papà Gaetano, ben sostenuto da una sposa, che merita, a sua volta, uno studio approfondito come modello laicale di madre cristiana: Teresa Zonfrilli, cresciuta dopo la morte del padre nella casa di un profondo spirito orante quale fu l’amato zio don Luigi Zonfrilli, pro-segretario capitolare di San Bartolomeo[13], e divenuta in seguito leader carismatica di una pia associazione parrocchiale fondata a S. Nicola di Porta con lo scopo di contemplare ogni giorno, secondo turnazione dei confratelli, il Crocifisso nelle tre ore di agonia;
2) la parrocchia di S. Nicola di Porta, presso cui Maria Francesca ricevette i sacramenti dell’iniziazione cristiana: il Battesimo, l’8 febbraio 1899, tre giorni dopo la nascita, per mano dell’economo don Giovanni Ciccone, padrini Ferdinando Carrocci e Crescenza Nora; la Cresima, a distanza ravvicinata secondo l’uso del tempo, nell’ottobre successivo ad opera del cardinale Gaetano Aloisi Masella (1826-1902)[14]; la Prima Comunione, il Lunedì Santo del 1907, sulla scorta di una solida catechesi impartitale dall’abate Giovanni Caramadre (1855-1936), parroco non certo sulle dotte vette di predecessori come lo storico Pietro Coccarelli (1817-1880)[15], ma dotato di una speciale sensibilità pastorale, tanto da essere celebrato come vero “dono di Dio” nella storia della comunità locale dal compianto don Tommaso De Bernardis[16].
3) la scuola delle Suore del Monte Calvario situata all’epoca in un fabbricato contiguo alla chiesa, oggi scomparsa, recante l’antico titolo di S. Biagio[17], dove Maria Francesca conobbe i rudimenti elementari sotto la guida di maestre, che all’istruzione associavano una testimonianza qualificata nella cura dei malati all’interno dell’ospedale, collocato oltre il ponte lirino, nell’area del vecchio convento domenicano annesso alla chiesa dell’Annunziata[18].
Emerge, in sostanza, un’ottima sinergia educativa, in cui preghiera e carità, contemplazione ed azione, fede ed opere, risultano la serie dei binomi caratterizzanti la formazione di Maria Francesca dall’infanzia alla gioventù: una formazione che potrebbe far pensare come ad un esisto scontato la sua vocazione religiosa all’interno di una cornice familiare, dove peraltro, a un certo punto, già sua sorella maggiore, Lucia, era entrata tra le Suore del Monte Calvario e uno dei suoi fratelli minori, Vincenzo, aveva cominciato il seminario, promettendo molto bene negli studi[19].
C) Vocazione e ingresso tra le Suore del Monte Calvario (1918)
Tuttavia, “se il Signore non costruisce la casa invano vi faticano i costruttori”[20].
La biografia della Venerabile mostra una tempra adolescenziale molto vivace. Chioma riccia, la si tratteggiava con il classico adagio: “ogni riccio un capriccio”, benché al fondo del suo animo albergasse una bontà così palese da farle ricevere molti stimoli affinché entrasse in convento: specie il rettore dei Passionisti, che talora si recava a far visita alla sua famiglia, sembra essere stato convinto di un suo futuro in tal senso[21]. Al momento, tuttavia, una simile prospettiva non faceva parte dei suoi programmi: la sua è una vocazione adulta, matura, meditata con sofferenza e profondità. A conti fatti, più della metà della sua breve esistenza la vive da laica: aveva oltre 19 anni quando s’incammina sulla via dei voti, mentre la sua vita si spezzerà a neanche 35 anni compiuti.
Nella sua storia personale si coglie chiaramente il segno di una vocazione che non nasce dalle spinte umane di altri, né dal desiderio umano di emulare qualcun altro: è un chiamata di Dio, che rapisce ma chiede il consenso di colui che è rapito; è un rapimento nella libertà, che evoca cioè una risposta dell’uomo e la lascia sedimentare tra dubbi, scosse e scommesse interiori. In questo tormentato percorso, che precede la risposta e che batte per la “porta stretta e la via angusta” di evangelica memoria[22], Dio, dal suo canto, non abbandona mai nessuno allo smarrimento, neanche per un attimo: se abbiamo questa impressione, è perché noi stiamo scegliendo di sottrarci al suo ascolto. Dio, invece, se la nostra intelligenza e la nostra volontà si lasciano guidare, ci fornisce addirittura gli strumenti per accompagnare positivamente la nostra risposta, strumenti che si determinano in un duplice indirizzo ausiliare:
1) la stessa grazia di Dio che non ci lascia mai soli e che, a dispetto delle nostre resistenze, non cessa mai di dispensarsi con larga generosità: in altri termini, la grazia di Dio è proposta ma anche condottiera sicura nella risposta;
2) il sostegno della comunità che Dio ci ha messo accanto per orientarci bene nel discernimento: in altri termini, la grazia di Dio non è mai una dinamica individualistica a beneficio egoistico di chi la riceve, ma avviene sempre e si fruisce sempre all’interno di un progetto ecclesiale.
A questo punto ci si può chiedere: se una vera vocazione non è scontata, se prescinde da qualsiasi calcolo umano, se sfugge a qualsiasi condizionamento psicologico, se sa volare più alto delle spinte altrui in un senso o in altro, come mai proprio la scelta delle Suore del Monte Calvario?
Maria Francesca, quando la sera del 23 novembre 1918 lasciava la casa paterna per recarsi in Roma ad iniziare la vita religiosa[23], è ben conscia d’aver seguito dinamiche chiare e precise nella determinazione della scelta. Non è scontata la Congregazione preferita, solo perché dalle Suore del Monte Calvario ha ricevuto la prima istruzione elementare, né perché già sua sorella Lucia l’ha preceduta in tale direzione. La sua opzione è, altresì, il completamento della risposta ad una chiamata specifica, che comincia sempre più a prendere volto nell’ambito concreto voluto dalla Provvidenza.
Nella sua vicenda la Venerabile mette a nudo l’esperienza mistica, che chiarisce questo aspetto. Era indecisa su dove Dio la chiamasse a prendere i voti. Da parte propria, non le sarebbe dispiaciuto l’ingresso in un ordine contemplativo, come le Carmelitane: alla vita di preghiera, d’altronde, sua madre l’aveva forgiata sin dall’infanzia all’ombra spirituale della pia associazione dedita in S. Nicola di Porta alla meditazione quotidiana del Crocifisso agonizzante. Inoltre, lo stesso nome della mamma, Teresa, aveva evocato ogni giorno alla sua mente l’esempio ascetico di due insuperabili contemplative come S. Teresa d’Avila (1515-1582) e S. Teresa del Bambin Gesù (1873-1897), modelli che, del resto, si porterà scolpiti nel cuore per tutta la vita religiosa, come mostra la scelta di chiamarsi, morendo spiritualmente al mondo, non più Maria Francesca ma Maria Teresina. Specie la mistica di Lisieux, che reca all’anagrafe completo i nomi di battesimo inversi ai suoi (Françoise Marie), l’affascinava con il suo insegnamento sulla “piccola via”[24] e le scaldava il cuore come una “dolce mammina”: morta ventiquattrenne di tubercolosi, costei rimarrà per Suor Teresina una grande icona di riferimento spirituale, quando, testo sempre alla mano (Lo spirito di Santa Teresa del Bambin Gesù[25]), dovrà trovare linfa ascetica, ogni giorno di più, per sopportare il fardello della malattia.
Ma l’uomo propone e Dio dispone: la Vergine Addolorata le avrebbe manifestato il piano della Provvidenza, che la chiamava proprio tra le Suore del Monte Calvario, dicendole che questo era il carisma donatole dall’Amore di Dio per il servizio alla sua Chiesa: vivere in una Congregazione in grado di associare vita contemplativa e vita attiva, in modo da essere come Maria, che sulla via del Calvario contempla il Figlio di Dio mentre va a morire per la Redenzione dell’uomo peccatore, ma che allo stesso tempo sulla via del Calvario è compagna di viaggio concreta, vicina cioè, come “avvocata nostra”, alle sofferenze umane d’ogni tempo, che Cristo raccoglie e porta con sé sulla Croce.
Tutto ciò, comunque, non basta: la Venerabile sa bene che qualsiasi esperienza soprannaturale abbia potuto fare, necessita di una verifica. Ogni scelta è autentica, se transita per il discernimento dell’istituzione ecclesiale, la quale unicamente certifica la genuinità di un carisma, altrimenti si tratta di vuota ambizione soggettiva. Prima di compiere il grande passo, Maria Francesca s’era affidata con tutta l’anima ad un dotto sacerdote di Formia operante nella Chiesa di S. Lorenzo[26], rimettendo alla sua sentenza la propria opzione esistenziale. Solo dopo la valutazione incoraggiante di costui, non avrà più dubbi a prendere il velo tra le Suore del Monte Calvario. Qui del resto, ella poteva coniugare la preghiera con la carità, interpretare cioè il senso di quella fede operosa, a cui era stata improntata tutta la sua formazione giovanile maturata tra famiglia, parrocchia e scuola.
D) Le prove della vita religiosa (1918-1923)
Certo, se gli intenti di partenza erano i migliori, non tardano però ad affacciarsi le prove della vita religiosa nel tragitto a tappe, che vede Suor Teresina indossare il distintivo delle postulanti (8 dicembre 1918), entrare in noviziato (26 marzo 1920) e, quindi, arrivare alla professione (20 novembre 1921). Molte volte lo scoramento l’assale all’inizio del cammino nell’ambiente romano, da cui ella si distacca, durante i primi cinque anni, per alcuni periodi, che nel programma di preparazione ai voti la portano a S. Domenico in Orsara di Puglia, a Maratea e a Lagonegro. Dai materiali disponibili gli ostacoli, che la giovane suora affronta, sembrano potersi ricapitolare in due grosse fonti di tentazione: 1) la superbia; 2) la disperazione.
La superbia è la nemica più immediata, che ella percepisce sin dall’arrivo quando gli ordini superiori, che calano secchi e perentori, cozzano con il clima più dolce e disteso dei comandi materni. Si chiede subito un’obbedienza, che suscita naturale ritrosia in una giovane diciannovenne matura, che si vede mettere sullo stesso piano o addirittura in subordine a postulanti e novizie più giovani di lei. Ma questa non è nemmeno la forma di superbia più pericolosa. Suor Teresina lo scoprirà man mano che comincia a penetrare i ritmi della vita religiosa: la tentazione della gara ad essere più perfetta della consorelle è forte; ma essere i primi della classe, esultando perché si supera le altre, è il trionfo della vanagloria, non della santità.
L’altra grande nemica della vita spirituale è, poi, la disperazione, figlia di una superbia che prima o poi viene sferzata dalla vita. Spesso, infatti, le misere forze umane non riescono negli obiettivi spirituali, che ci proponiamo ambiziosamente: “lo spirito è pronto ma la carne è debole”[27]. Ecco allora che ci assale l’istigazione a desistere dinanzi ai disagi: è forte la paura di non farcela; viene, pertanto, la voglia di mollare tutto ed andare via. Lo sconforto Suor Teresina lo avverte particolarmente nel 1922, quando il ritmo degli studi secondari si fa più pesante e il fisico, saggiato dalle prime avvertenze di un grande male, proprio non ce la fa: dovrà accettare di riposarsi nella casa di S. Marinella[28] e con qualche fatica, infettata dal malsano orgoglio di chi tiene esageratamente al suo buon nome tra le consorelle, si rassegnerà a non poter mai conseguire il diploma superiore.
Ma proprio “dove abbonda il peccato sovrabbonda la grazia”[29]. Suor Teresina lo sperimenta, trovando i due più efficaci antidoti spirituali, che affogano il male nella prospettiva del bene, ovvero la “lordura” dell’uomo in un suo lavacro spirituale: 1) la Confessione; 2) l’Adorazione eucaristica.
Nel Confessionale, si rinnova il miracolo del battesimo, grazie al quale diventiamo lordura lavata. Siamo, in effetti, “lordura”, cioè sporcizia, perché tale ci ha resi il peccato originale, che fu il più grosso peccato di superbia, in quanto l’uomo, cogliendo il frutto proibito, s’illuse di diventare come Dio, sprofondando di conseguenza nella disperazione, allorché prese coscienza dell’inganno orditogli dal Serpente[30]; e “lordura torniamo ad essere quando i nostri peccati, eco di una superbia umana mai dismessa, macchiano la veste candida del battesimo. La Confessione è la gioia di poter lavare costantemente la nostra “lordura” e la continua speranza per ricominciare da capo, rimettendo la nostra vita a Cristo, il quale non è lontano, ma vicinissimo con la sua presenza reale nel sacramento dell’Eucarestia[31].
Nell’Adorazione eucaristica l’uomo trova ininterrottamente la forza per sconfiggere l’insidia della disperazione, che ci assale quando il proponimento di non commettere più peccati s’infrange nelle debolezze quotidiane. L’Ostensorio, dinanzi a cui ci inginocchiamo, deve essere il richiamo perenne ad un nostro voto di abbandono: abbandono alla volontà di Dio che ci ama come siamo; abbandono al suo perdono che sfida vittorioso le nostre colpe e le nostre ricadute; abbandono alla sua grazia che è l’unica a meritarci il lavacro inarrestabile della nostra lordura. Se ci si abbandona a Dio con cuore sincero, ogni dolore può essere accettato come frutto di un piano provvidenziale: non solo, dunque, la mortificazione per il mancato raggiungimento del traguardo scolastico, ma anche il grande dispiacere per la morte dell’amata mamma venuta a mancare il 7 marzo 1923 e, in ultimo, persino i segni di una malattia galoppante, che finirà per inchiodare a letto Suor Teresina. Il giaciglio della sofferenza potrà così trasformarsi nel suo “tronetto d’amore”[32].
E) L’apostolato (1923-1928)
Mentre lievita questa robustezza ascetica, Suor Teresina, tra qualche pausa di sollievo che la malferma salute concede, si cimenta con un fervente apostolato, che s’intensifica dal 1923 al 1928, portandola a muoversi, oltre che a Roma, presso altre località, tra cui spicca Maratea[33], nei campi caratterizzanti l’impegno della propria Congregazione: 1) l’assistenza dei malati; 2) la formazione delle giovanette. Nel lavoro la cogliamo anzitutto, sempre e comunque, come modello a tutto campo di un’operatrice, che ha chiara la centralità della persona, così come essa è, nella sua condizione esistenziale unica, irripetibile e originale.
Ciò constatiamo, quando Suor Teresina agisce nelle corsie d’ospedale: è infermiera attenta alla cura integrale dell’uomo. Non si perde in una vaga presenza consolatoria che rischia i luoghi comuni, convinta che una religiosità tradotta con frasi di circostanza basti alla salvezza dell’anima: la malattia, se non ci si sforza di curarla al meglio, lascia il corpo in balia di tormenti, che possono uccidere la speranza, divenendo una trappola anche per l’anima. Perciò, ella s’immerge pronta, assidua e diligente nella premura di curare la fisicità dei malati, ciascuno secondo la particolare storia, ben sapendo che corpo e anima sono un tutt’uno e tutto l’uomo, anima e corpo, è immagine del Verbo incarnato. D’altro canto, è pur vero che curare non significa semplicemente sanare. Infatti, neanche l’attenzione infermieristica può limitarsi ad un materialistico soccorso del corpo: l’uomo guarisce per davvero, quando, nell’esperienza d’ospedale anche la sua anima diviene più matura, accettando la sofferenza come investimento spirituale ad espiazione dei peccati, ovvero magnificando Dio per la guarigione, che non è mai bravura esclusiva dell’arte medica ma rientra sempre nel suo piano provvidenziale[34].
Su un analogo registro personalista s’impronta l’azione educativa di Suor Teresina. Ella entra nelle storie personali delle educande, sulle cui diverse abilità confida, fossero anche le fanciulle ospitate nel Regio Istituto dei Sordomuti[35]: vi penetra studiando strategie d’intervento particolareggiate, sorriso sempre pronto, ma misto tra severità e determinazione con le fanciulle più resistenti, dolcezza e incoraggiamento con le più delicate. Al fondo d’ogni strategia, c’è un unico obiettivo: far sì che ciascuna allieva, nella sua situazione specifica, venga messa nelle condizioni più adatte perché valore ideale e vita vissuta vadano di pari passo, sciogliendosi in marcia sinergica all’insegna di un cristianesimo incarnato, una scuola cioè non di buone maniere idealmente confezionate, ma una scuola che interpreta la fede con le opere di carità. E tutto ciò nel quadro di un fecondo rapporto, dove l’educatrice opera in comunione con l’educanda, non calandole precetti come scure dall’alto, ma creando un circuito affettivo, che vede la norma come un bene da raggiungere e non come una morsa repressiva, ovvero qualcosa che valorizza la libertà della persona e non l’affligge, qualcosa che nutre la speranza sulla via della perfezione e fustiga la superbia sulla via dell’illusione, rammentando di fatto ad ogni componente del dialogo educativo che l’educazione stessa è un processo storicamente interminabile, destinato a pienezza, per chi crede, solo nella dimensione escatologica[36].
F) La lezione spirituale (1929-1934)
Gli ultimi anni di Suor Teresina sono segnati dall’affondo della malattia, che nel 1934 la porterà all’eterno esodo pasquale. Dal 1929 aveva cominciato a mettere a punto il suo prezioso Diario [37], che costituisce senza dubbio la fonte essenziale per la conoscenza e lo studio della suo mondo interiore. È, insomma, la sua grande lezione spirituale, su cui è possibile qui solo qualche cenno, occorrendo ben altri spazi per una disamina approfondita. Appare, però, straordinario poter osservare, scorrendo le pagine, come una suora, a cui dalla malferma salute neanche era stato concesso finire il curricolo degli studi superiori, affondi con le sue proiezioni mistiche in intuizioni stupefacenti per i teologi professionisti, ai quali spetterà sdoganare il pensiero della Venerabile da sbrigative e semplicistiche valutazione[38].
Davvero stimolante è, anzitutto, la sua immagine della vita religiosa come un giardino da coltivare, tenendo conto di quattro elementi essenziali, che lo rendono particolarmente bello e profumato e che proviamo di seguito ad interpretare: 1) le erbette odorifere; 2) le mammolette; 3) i giglietti; 4) le roselline[39].
Le erbette odorifere esprimono la speranza, la virtù teologale che muove le persone, pellegrine nel mondo e nella storia, a mettersi in marcia verso una meta: la santità, a cui Dio le chiama. La speranza simboleggiata dal verde delle erbette è il buon odore, che, profumando la strada, attrae e vitalizza ogni viandante, incantandolo opportunamente senza concedere pause alle provocazioni per farlo desistere.
Le mammolette esprimono l’umiltà: esse non sono le più appariscenti, ma sono quelle che nell’insieme sorreggono il profumo e la bellezza di un intero giardino. Così è l’umiltà nel giardino del nostro cuore, ovvero è la virtù nascosta che alimenta tutte le altre, insegnando a vincere le due tentazioni principali, la superbia e la disperazione, cause maldestre di quei malesseri che rischiano di non far sentire il profumo della speranza, giacché ne inquinano il buon odore, coprendolo o disperdendolo nei meandri dell’illusione.
I giglietti esprimono la purezza, che è figlia naturale dell’umiltà vissuta: il bianco dei gigli esprime il candore di un giardino incontaminato dai brutti colori di erbacce e foglie secche; la purezza è il segno di una vita, che si muove nella marcia giusta dettata dalla speranza. Ogni offesa alla purezza è una battuta d’arresto per la speranza: significa cioè gettare nel giardino un nauseabondo inquinamento contrastante l’incentivo che l’umiltà fornisce al buon odore della speranza.
Le roselline esprimono l’amore, il fiore più bello del giardino, che però è tale in quanto coronato da tutti gli altri elementi del giardino: speranza, umiltà e purezza sono gli ingredienti dell’amore, che è inizio, progresso e fine di tutta la nostra esistenza. L’intero giardino viene coltivato perché le roselline diano senso, forza e valore a tutti gli altri elementi: così l’amore dà senso alla speranza (che altrimenti sarebbe un inutile affanno perso nell’egoismo), forza all’umiltà (che altrimenti sarebbe evanescente ipocrisia), valore alla purezza (che altrimenti sarebbe vuoto formalismo). Come le roselline nel giardino, l’amore è la dote più bella dell’uomo, che per amore è stato creato, nell’amore è chiamato a vivere, all’amore guarda come dimensione incessante della felicità.
Forse sono questi quattro elementi del suo giardino spirituale i veri fiorellini promessi da Suor Teresina come aiuto a chi, dopo la sua morte, ne avrebbe invocato la celeste protezione: prima ancora dei miracoli contingenti, che pur largamente i devoti della Venerabile riconosceranno alla sua potente intercessione[40], ella avrebbe impetrato per loro presso il trono dell’Altissimo le più alte grazie della speranza, dell’umiltà, della purezza e dell’amore.
Di sicuro, la Venerabile non smarrisce mai l’idea di fondo che governa tutta la sua spiritualità: ogni fiore del giardino, ogni profumo, ogni bellezza è dono di Dio, non capacità autosufficiente dell’uomo. Senza la grazia di Dio costui non riesce a coltivare nel suo cuore né la speranza, né l’umiltà, né la purezza, né l’amore. Ecco allora il bisogno della Trinità, unico Dio, che
1) con il Padre avviò nel giardino dell’Eden il suo dialogo d’amore verso l’uomo;
2) con il Figlio ha difeso questo dialogo nonostante il Serpente avesse tentato di uccidere i migliori fiori presenti nel giardino dell’Eden, e cioè speranza, umiltà, purezza, e amore;
3) con lo Spirito Santo non smette di incentivare la cura del giardino, che al momento non è più l’Eden ma il palcoscenico transitorio della storia.
Una storia dalla quale l’Altissimo non è distante, ma nella quale resta realmente vivo e presente tramite Gesù Eucarestia, in attesa di restituirci, come compenso del nostro lavoro, un nuovo giardino molto più bello dell’Eden: il Paradiso, partecipazione beatifica alla comunione trinitaria di Dio, che nel Verbo “si è fatto come noi per farci come Lui”[41].
Di queste verità escatologiche l’Eucarestia, alla scuola ascetica di Suor Teresina, è già da oggi autentica caparra e indubitabile garanzia:
1) è esperienza di comunione vera con tutta la Trinità, perché il Figlio incarnato, che si offre sull’altare, è indissolubilmente unito al Padre e allo Spirito Santo; sicché, nutrendosi al banchetto eucaristico, tramite l’Una ci si nutre delle altre Persone.
2) è esperienza di assimilazione vera al Verbo incarnato, perché, nutrendosi al banchetto eucaristico, l’uomo reca in sé realmente Cristo in corpo, sangue, anima e divinità: sicché ognuno può divenire, a sua volta, una piccola ostia e offrirsi così in sacrificio vivente a Gesù stesso, Supremo Sacerdote dell’umanità.
Tutto ciò la Venerabile lo sa bene e nell’istante del suo trapasso, il 20 gennaio 1934,ormai cristiforme, s’immolava come particola a Dio per la celebrazione liturgica della Domenica senza tramonto:
«Si celebra la Messa? – chiese la sorella religiosa, volendo significare che Suor Teresina era la piccola ostia offerta a Gesù Sacerdote».
«Sì, rispose l’inferma».
«Chi è il sacerdote? ».
«Gesù».
«L’ostia sei tu?».
«Sì».
«Che fai?».
«La volontà del Padre Celeste!».
Correvano le ore 21,50. Furono le sue ultime parole, che interpretavano in modo perfetto il senso del canto: “Eccomi, Eccomi, Signore io vengo. Eccomi, eccomi, si compia in me la tua volontà”[42]. Poi la fede e la speranza, che Suor Teresina aveva vissuto fulgidamente in terra, si sciolsero nel suo abbraccio dell’eterna Carità[43].
[1] Pubblico qui, con un necessario adeguamento letterario ed il conforto di un utile apparato critico, la relazione svolta a Pontecorvo, la sera del 10 febbraio 2014, nella Chiesa di S. Nicola di Porta, all’interno di una manifestazione celebrativa coordinata dal prof. Angelo Molle e presieduta dal vescovo diocesano, mons. Gerardo Antonazzo, alla presenza della Superiora Generale delle Figlie di Nostra Signora al Monte Calvario, Madre Maria Virginia La Maida, e di varie autorità civili e religiose.
[2] La prima notizia di questa Chiesa rimonta al 1065 sulla scorta di documentazione cassinese. Collegiata dal 1311 con un abate-parroco e sei canonici, è stata ben studiata nei processi e nei personaggi, che ne hanno caratterizzato la storia, dalle capillari e instancabili ricerche di don Tommaso De Bernardis (1914-2001), che vi fu parroco dal 1968 fino alla sua morte. Cfr. M.C. Carrocci, Pontecorvo sacra. Ricerche storiche, (= Archivio storico di Montecassino. Studi e documenti sul Lazio Meridionale, 10), Montecassino 2010, pp. 218-221; L. Casatelli, Produzione bibliografica del clero pontecorvese nel XX secolo: un servizio pastorale alla cultura locale e alla memoria storica, in «Culto, pastorale e uomini di chiesa nella storia religiosa di Pontecorvo», cit., pp. 157-160.
[3] Cfr. R.-G. Magaglio, Virginia Centurione Bracelli (1587-1561). Antesignana realizzatrice dei moderni metodi di intervento socio-assistenziale, Edisigma, Genova 1985; M. Romanelli Pezzi, Virginia Centurione Bracelli: protagonista scomoda del seicento genovese, Marietti, Genova 1992; M.V. La Maida, Santa Virginia Centurione Bracelli. “… cose da niente per la gloria sua”, San Paolo, Cinisello Balsamo 2003; F. Stano, Virginia Centurione Bracelli. L’itinerante dell’amore, Áncora, Roma 2003; G. Venturini, Virginia intrepida per due sì, Algraphy, Genova 2003.
[4] Sulla storica presenza pontecorvese di questa Congregazione (oggi residente in Via XXIV Maggio, n. 122) e sulla loro incidenza socio-educativa è stato discusso, nell’A.A. 2007-2008, all’Università di Cassino, dalla studentessa Federica Fresilli (matr.0013885), un elaborato per il conseguimento della Laurea triennale in Scienze dell’Educazione (La presenza delle Suore del Monte Calvario a Pontecorvo: aspetti storici ed educativi). Vi si trovano interessanti indicazioni su bollettini, notiziari e pubblicazioni di vario genere a cura delle Figlie di Nostra Signora del Monte Calvario, tra cui un’utile Cronistoria prodotta da M.F. Fadda, N. Piccirilli e M.R. Murino, ed. La Roccia, Roma 1996. L’elaborato non trascura ovviamente la figura di Suor Teresina (pp. 48-60), delineandola prevalentemente sulla scorta di M.F. Fadda, Veneranda Suor Maria Teresina Zonfrilli , tip. Istituto Salesiano, Roma 1998.
[5] Da questo testo (342 pp.), che né la copertina né la prefazione riconducono al nome dell’Autore, dipende l’edizione più ridotta (154 pp.) pubblicata nel 1941, con qualche aggiornamento delle vicende postume, sotto il titolo «Suor Maria Teresina Zonfrilli. Piccola Ostia di Gesù», per i tipi della stessa Società e con l’imprimatur dello stesso vescovo dato in Sora il 3 dicembre di quell’anno. La compilazione, ascritta qui in copertina al sac. F. Feliziani, presenta una prefazione di don Mario Berardi. Come la precedente edizione, anche questa è patrocinata dalla Casa Generalizia delle Figlie di Nostra Signora al Monte Calvario (Roma, Via Emanuele Filiberto, 102-104).
[6] D. Menozzi, Il cattolicesimo dal concilio di Trento al Vaticano II, in «Cristianesimo», cur. G. Filoramo, Laterza, Roma-Bari 2002, p.347.
[7] Cfr. C. Jadecola, Don Benedetto Scafi: una tonaca per l’Italia, in «Studi Cassinati», XI/2 (2011), pp. 136-140.
[8] Mt 28,20.
[9] Cfr. G. Gozzer, L’ora di religione. «Avvalersi o non avvalersi»?, Anicia, Roma 1986, pp. 70-74.
[10] Dominio temporale della Santa Sede sin dal 1463, la città s’era affrancata dal controllo pontificio già il 6 dicembre 1860. Cfr. V. Turchetta, Su la sinistra sponda del Liri, IPSI, Pompei 1962, p. 82.
[11] Preziose annotazioni inedite relative alla lunga e intricata controversia si trovano riprodotte in fotocopia (pp. 79-86) tra l’appendice dell’elaborato (La presenza dei Padri Dottrinari a Pontecorvo: aspetti storici ed educativi) presentato all’Università di Cassino, nell’A.A. 2007-2008, per il conseguimento della Laurea triennale in Scienze dell’Educazione, dalla studentessa Michela Parisi (matr. 0013886). Cfr. F. Carcione, I Dottrinari, presenza significativa a Pontecorvo, in «Studi Cassinati» XII/1 (2012), p. 83.
[12] Si veda in proposito la denuncia del pro-legato apostolico Michele Vecchiotti, che nel 1863 riferisce lo stato penoso, a cui venivano costrette le Suore dall’autorità comunale e dalla propaganda anti-ecclesiastica: cfr. la tesi presentata per il conseguimento del dottorato di ricerca (XXII ciclo: 2006-2009) in “Storia sociale europea dal Medioevo all’età contemporanea” (M-STO/02), presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia, da Irene Paolombo (matr. 955394): Il sistema dei monasteri femminili in una terra di confine. La diocesi di Sora, Aquino e Pontecorvo, pp. 256-257 [http//dspace.unive.it/bitstream/handle/10579/993/995160_tesi.pdf].
[13] Cfr. L. Casatelli, La Cattedrale di San Bartolomeo Apostolo di Pontecorvo dal 1052 ai nostri giorni, Stampa & Stampa, Formia 2000, p. 53.
[14] È pure lui un figlio spirituale di S. Nicola di Porta, rimasto negli annali della storia per l’opera diplomatica, che aveva svolto in Germania e che nel 1878 aveva avviato la distensione tra Bismarck e la Santa Sede, ponendo le premesse per il graduale smantellamento delle leggi anti-cattoliche passate tristemente come Kulturkampf (= battaglia per la civiltà). Quando cresima Maria Francesca, Gaetano Aloisi Masella, cardinale dal 1887, ha appena collezionato l’ultima carica della sua prestigiosa carriera: il 3 ottobre 1899 era stato nominato Prefetto della Congregazione dei Riti. Cfr. L. Casatelli, Il cardinale Gaetano Aloisi Masella. Vescovo e diplomatico, s. ed., Pontecorvo 2002, pp. 11;17; 50. È lo zio di un altro famoso porporato, Benedetto Aloisi Masella (1879-1970), rimasto a sua volta agli annali della storia per aver declamato l’habemus papam seguito alle elezioni di Giovanni XXIII (28 ottobre 1958) e Paolo VI (21 giugno 1963), anch’egli battezzato a S. Nicola di Porta, cui rimarrà sempre affezionato nonostante il suo lavoro su scala planetaria, come mostra l’impegno profuso nel rilancio di questa chiesa dopo le calamità belliche. Si tratta di una figura in qualche modo legata alle Suore del Monte Calvario, che lo ebbero tra i pargoli gravitanti nella loro orbita educativa a Pontecorvo, prima che l’età scolare separasse i sessi: cfr. L. Casatelli, Benedetto Aloisi Masella. Camerlengo. Diplomatico di Cristo, Socogen, Pontecorvo 2007, p. 11, che ricorda i nomi delle religiose premurosamente attive nei suoi confronti: Suor Agostina Nardelli e Suor Maria Fedele Barducci. Sui due illustri cardinali pontecorvesi, più in generale si vedano pure: F. Carcione, Il cardinale Gaetano Aloisi Masella e il suo tempo (1826-1902), in «Studi Cassinati» II/3-4 (2002), pp. 134-146; L. Gulia, Un pontecorvese ai vertici della Chiesa: Benedetto Aloisi Masella (1879-1970). Lineamenti biografici nella cornici epocale, in «Culto, pastorale e uomini di chiesa nella storia religiosa di Pontecorvo», cur. F. Carcione, Arte Stampa Editore, Roccasecca 2009, pp. 135-148.
[15] Parroco di S. Nicola di Porta dal 1844 fino alla morte, è autore di due opere fondamentali per la memoria locale: A) una biografia del compatrono cittadino S. Grimoaldo pubblicata nel 1864, riedita nel 1989 con note aggiuntive e commento di T. De Bernardis per i tipi dell’Abbazia di Casamari; B) una storia di Pontecorvo edita per la prima volta, a cura di Angelo Nicosia, soltanto nel 2013, tramite stampa della tipografia Turchetta, con cesura dei primi sette capitoli presenti nel manoscritto originale [cfr. L. Casatelli, L’abate Pietro Coccarelli ricordato nel 70° della distruzione di Pontecorvo, in «Le Campane di S. Bartolomeo», a cura del Gruppo Giovanile “Giovanni Paolo II”, ed. Basilica Concattedrale di Pontecorvo”, XV/12, dicembre 2012, p. 7].
[16] T. De Bernardis, Un “Dono di Dio”. Il sacerdote don Giovanni Caramadre Abate-Parroco di San Nicola in Porta a Pontecorvo nel primo Centenario della sua ordinazione sacerdotale, Tipografia dell’Abbazia, Casamari 1979.
[17] La chiesa, distrutta completamente dopo i bombardamenti della seconda guerra mondiale, era localizzata in via dei Ferrari, scendendo da largo S: Bartolomeo. Gestita dai Gesuiti fino al 1820-1821, essa aveva avuto un suo beneficio parrocchiale fino al 1900, allorché la Chiesa dell’Annunziata, elevata a parrocchia, ne aveva ereditato il titolo. Cfr. M.C. Carrocci, Pontecorvo sacra, cit., pp. 76-77.
[18] Cfr. A. Sdoja, La SS.ma Annunziata di Pontecorvo dalle origini ai nostri giorni, Stampa & Stampa, Formia 2000, p. 37-42; M.C. Carrocci, Pontecorvo sacra, cit., pp. 136-138. Giunti a Pontecorvo sin dal 1382, i Domenicani, in una plurisecolare stagione d’impegno assiduo, durante la quale tra i nomi eccellenti spicca quello di Luca Spicola (cfr. L. Casatelli, Il beato Luca Spicola Domenicano, Arte Stampa Editore, Roccasecca 2013), avevano provveduto all’attività ospedaliera fino al 1800, quando, dopo la loro partenza, la responsabilità della struttura era passata al Demanio. La diffidenza del popolo verso la nuova gestione era però andata sempre più crescendo nel corso di mezzo secolo, tant’è che in data 18 maggio 1854, il vescovo Montieri, per riqualificare l’ambiente, aveva dovuto, appunto, sollecitare l’intervento delle Suore del Monte Calvario, le quali vi profonderanno amorevolmente tutti i loro sforzi fino al 1928, quando dovettero lasciare, perché ormai era stato realizzato il nuovo Ospedale cittadino “Pasquale Del Prete” e c’era la necessità di dare un primo alloggio provvisorio all’Istituto Magistrale in attesa che fosse ultimato l’edificio scolastico di Via XXIV Maggio.
[19] Si tratta di quel Vincenzo Zonfrilli (1904-1968), sacerdote dal 1927, laureatosi brillantemente in Lettere antiche alla Sapienza con una tesi su “L’influenza classica in S. Gregorio Nazianzeno”, divenuto poi docente nelle Scuole Secondarie di Pontecorvo e, più tardi, rettore a Villa Angelina in Sora, contribuendo a formare nel territorio generazioni di professionisti affermati. Cfr. L. Casatelli, Produzione bibliografica del clero pontecorvese nel XX secolo, cit., pp. 156-157; T. De Bernardis, Glorie nostre. Figli da ricordare della Parrocchia di S. Nicola in Porta a Pontecorvo, Tipografia dell’Abbazia, Casamari 1985, pp. 135-138.
[20] Sal 126,1.
[21] I Passionisti erano tornati al Santuario di S. Maria delle Grazie dal 1882, dopo esserne stati privati nel 1860 per effetto della legge sulla Soppressione dei beni ecclesiastici. Qui erano arrivati per la prima volta dieci anni prima, sostituendo i Cappuccini andati via l’anno precedente dopo una presenza di circa 270 anni: presenza rimasta localmente così incisiva da lasciare in eredità il nome del loro Ordine alla collina nel rione Pastine, sulla quale sorge il Santuario, che prima del 1753 veniva chiamato con il nome di S. Vincenzo. Cfr. M.C. Carrocci, Pontecorvo sacra, cit., pp. 150-151; 264-265.
[22] Cfr. Mt 7,13-14.
[23] Il ramo romano delle famiglia religiosa fondata da S. Virginia Centurione Bracelli ha i suoi prodromi nelle sollecitazioni di Leone XII, che nel 1826 aveva richiesto dalla casa madre genovese l’invio di alcune suore per opere assistenziali nella Città Eterna, venendo esaudito l’anno successivo con l’arrivo di un primo nucleo guidato da Suor Maria Antonia Bava. Nel 1833, per interessamento del cardinale Sforza che intendeva stabilizzare ufficialmente all’interno dello Stato Pontificio una presenza così preziosa, le suore, sia pure tra qualche comprensibile fatica a staccarsi dalla famiglia storica del capoluogo ligure, avevano accettato di occupare il Collegio di S. Norberto come sede di residenza autonoma e tra il 1838-1839 avevano già le loro prime filiali a Rieti e Viterbo. Rimaste senza guida per l’opzione di Suor Maria Antonia Bava nel votarsi completamente alla preghiera e alla contemplazione, otterranno il 20 luglio 1841 una Superiora Generale nella persona di Madre Maria Luigia Chiesa per nomina diretta di Gregorio XVI, il quale, l’anno dopo, avrebbe completato il disegno di emancipazione, concedendo loro il decreto di lode. Cfr. G. Rocca, Figlie di Nostra Signora al Monte Calvario, in «Dizionario degli Istituti di Perfezione», III, Paoline, Roma 1976, coll. 1654-1656. La beatificazione (1985) e la successiva canonizzazione della Fondatrice (2003) hanno segnato grandi momenti di unione tra la Congregazione romana e la Congregazione genovese. Nel novembre 2001, la Congregazione romana, già presente nel capoluogo ligure con una casa, ha acquisito il complesso del Monte Calvario, che è legato alla comune origine con la Congregazione genovese.
[24] Ovvero riconoscere che la propria forza sta nel riconoscere la propria piccolezza e che il merito consiste nell’ammettere i propri demeriti dinanzi a Dio misericordioso, così come spiritualmente è grande dinanzi a Gesù chi sa tornare bambino, in conformità a Mt 18,3-4. Cfr. sull’argomento C. De Meester, Teresa di Lisieux. Dinamica della fiducia. Genesi e struttura della “via dell’infanzia spirituale, San Paolo, Cinisello Balsamo 1999; ma da ultimo cfr. anche le puntualizzazioni di G. Gennari, Teresa di Lisieux. Il fascino della santità. I segreti di una “dottrina” ritrovata, Lindau, Torino 2012, secondo cui per troppo tempo la profonda dottrina cristocentrica della Santa (ove il fulcro del discorso è Gesù, il Bambino di Dio, prima ancora dell’uomo che deve tornare bambino per il Regno dei cieli) sarebbe stata vittima di una generale lettura minimalista dettata dalla superficiale divulgazione del suo pensiero da parte delle sue quattro sorelle, tutte religiose (di cui tre carmelitane), a partire da Pauline Martin (Madre Agnese), che era sua superiora a Lisieux. Al di là delle chiavi di lettura, che meritano ovviamente un discorso a parte, è certo che l’incidenza carismatica di S. Teresa del Bambin Gesù dovette raggiungere l’apice nella vita di Suor Teresina Zonfrilli dopo la canonizzazione del 1925.
[25] Così Suor Teresina indica l’opera divenuta più nota come Storia di un’anima, in cui risultano raccolti e cuciti tre scritti autografi prodotti da S. Teresa del Bambin Gesù negli ultimi tre anni di vita (1895-1897). Per la genesi del testo e il suo sviluppo letterario cfr. il corredo critico di C. De Meenster nella cura editoriale di Teresa di Lisieux, Storia di un’anima. Ristabilita criticamente secondo la disposizione originale degli autografi, San Paolo, Cinisello Balsamo 2009. Stampato timidamente per la prima volta l’anno dopo la morte dell’autrice (1898), per i tipi di un editore di provincia (Sain-Paul di Bar.le Duc), in 475 pagine, con una tiratura di 2000 copie andate subito a ruba, questo grande contributo spirituale, oltre a conoscere immediatamente nuove edizioni francesi capaci di più largo raggio d’esportazione, fu ben presto tradotto e pubblicato in varie lingue. Sull’eccellente magistero ascetico del testo, che avrà un ruolo determinante nel valere alla mistica di Lisieux il titolo di “Dottore della Chiesa” (cfr. Giovanni Paolo II, Omelia, 19 ottobre 1997), insiste ancora Benedetto XVI, Udienza generale, 6 aprile 2011.
[26] Antica chiesa, che nei carteggi medievali segna la stessa fisionomia del quartiere Mola (cfr. R. Frecentese, Studi e ricerche sul territorio di Formia, Caramanica Editore, Marina di Minturno 1996, pp. 34-35) e che esisteva ancora con titolo autonomo quando Maria Francesca vi si reca per ricevere i giusti consigli spirituali nel momento decisivo della sua vita, condivide oggi, dopo l’ampliamento demografico e le connesse vicende che hanno dettato localmente le successive trasformazioni dell’edilizia ecclesiastica nel corso del XX secolo, il titolo parrocchiale con S. Giovanni Battista proclamato con decreto romano del 1938, unitamente S. Erasmo, patrono precipuo di Formia con i derivanti privilegi del caso: cfr. www.lorenzoegiovannibattistaformia.com/parrocchia/chiesa/storia
[27] Mt 26,41.
[28] Le Suore erano arrivate qui nel 1911 con il permesso del card. Serafino Vannutelli e la sponsorizzazione della principessa Flaminia Odescalchi. Nel settembre 2011, con la benedizione di mons. Gino Reali, vescovo di Porto-Santa Rufina, esse hanno festeggiato solennemente il Centenario della loro presenza nella località: www.quotidianolavoce.it/Pagine/21settembre2011/9.pdf
[29] Rm 5,20.
[30] Cfr. Gen 3,1-7.
[31] Si tratta della forte fede nel dogma della transustanziazione, che Suor Teresina sedimenta con un coinvolgimento interiore sin da piccola, fino a farle sperimentare al vertice della maturità spirituale – come vedremo – la sua mistica trasformazione in piccola ostia vivente, resa, appunto, tale, da “lordura” che era, per la Comunione con il Corpo e il Sangue di Cristo, vivo e presente realmente nell’Eucarestia. Non è da ritenersi estranea, a mio avviso, l’impronta della formazione ricevuta dalla Venerabile nella diocesi d’origine per i marcati indirizzi pastorali del vescovo locale, Antonio Maria Iannotta (1900-1933), che nel 1905 aveva promosso un Sinodo, in cui il tema eucaristico risulta tra le priorità focalizzate (cfr. A. Recchia, Il Sinodo Interdiocesano di Sora, Aquino e Pontecorvo del 1905 e gli inizi della riforma di Pio X. Aspetti ecclesiali, eucaristici e mariologici, in «Quaderni del Santuario di Canneto», 2 [2006], pp. 27-36), e che più volte ritornerà sull’argomento con pubblicazioni di vario genere (cfr. Settimane eucaristiche di vivi affetti a Gesù; L’atmosfera eucaristica nel pensiero del venerabile Eymard; La settimana eucaristica per i sacerdoti; De essentia sacrificii missae iuxta doctrinam Concilii Tridentini), senza tralasciare di incentivare esperienze di fede, delle quali resta espressione superlativa il Congresso Eucaristico Interdiocesano promosso nel 1924 per i 600 anni dalla morte di S. Tommaso d’Aquino. Anche lo speciale legame con la Vergine, madre di Dio fatto uomo, alla quale Suor Teresina imputa la chiamata soprannaturale tra le Suore del Monte Calvario e della quale mantiene il nome anche da religiosa (da Maria Francesca a Maria Teresina), andrebbe approfondito nello stesso alveo spirituale connesso a precise accentuazioni pastorali dello stesso vescovo, autore di un’interessante Theotocologia catholica seu scientia de Virgine Maria, pubblicata per la prima volta nel 1890 e destinata a varie riedizioni, tra cui la migliore è quella stampata ad Isola del Liri nel 1925, per i tipi della Società Macioce & Pisani (cfr. F. Carcione, Mons. Iannotta, S. Tommaso e il dogma dell’Immacolata Concezione, in «Quaderni del Santuario di Canneto», 1 [2005], pp. 73-88; Mons. Antonio Maria Iannotta: un precursore della “Munificentissimus Deus”, in «Quaderni del Santuario di Canneto», 2 [2006], pp. 37-68).
[32] È l’apoteosi del voto di abbandono, che arriva a determinarsi in quel voto di vittima leggibile in tante biografie di anime sante: per restare allo stesso periodo si vedano, a titolo esemplificativo, i modelli femminili di Suor Maria della Trinità (1901-1942), Suor Teresina di Gesù Obbediente (1907-1940), Angelina Pirini (1922-1940). Leggendo S. Tommaso (La perfezione della vita spirtuale, XII), un tale impegno spirituale raccoglie il senso compiuto dei tre voti canonici della vita religiosa (cfr. Tommaso d’Aquino, Compendio di teologia e altri scritti, Utet, Torino 2001, pp. 140-142). Ma certamente merita di essere simbolicamente associata a questo contesto anche Teresa Zonfrilli, madre della Venerabile e sicuramente sua diretta maestra di vita, che prossima a spirare, avverte le figlie suore, Lucia e Teresina, di non insistere con le preghiere, per implorare la sua guarigione, in quanto altra è la volontà dell’Onnipotente, al quale ella si offre come vittima, pronta ad accettarne il disegno umanamente oscuro ma sicuramente provvidenziale. Infine, credo non debba trascurarsi nella memoria infantile di Suor Teresina il racconto ancora d’attualità sulle gesta dell’eroico passionista pontecorvese Ferdinando Santamaria (1883-1902), vita spezzata per meningite presso la Badia di Ceccano ad appena 19 anni, morto in odore di santità per l’accettazione della tragica sorte a cui andava incontro come vittima eletta dal Signore, lasciando i suoi confratelli tra commozione e meraviglia per aver profetato l’imminente morte del cardinale Gaetano Aloisi Masella, scomparso in effetti quattro giorni dopo di lui. Si tratta di quel Grimoaldo della Purificazione beatificato da Giovanni Paolo II nel 1995: cfr. S. Pompilio, Beato Grimoaldo Santamaria, studente passionista, Provincia religiosa dell’Addolorata, Napoli 1995.
[33] Qui le Suore del Monte Calvario erano arrivate nel 1907 dietro interessamento del cardinale Casimiro Gennari, per avviare una serie di attività educative e per prestare assistenza nell’Ospedale cittadino. Tutt’oggi conservano la Direzione dell’Istituto “De Pino Matrone Iannini”, che offre servizi scolastici e un convitto femminile: cfr. www.depino.com/direzione.html
[34] Sarebbe interessante qui approfondire se e quanto l’esempio e l’ascendente di Giuseppe Moscati (1880-1927) potevano incidere direttamente all’epoca nel circuito degli operatori sanitari cattolici attivi nell’Italia centro-meridionale (tra cui anche Suor Teresina Zonfrilli), che, come lui, si ispiravano fortemente alla lezione spirituale di S. Teresa del Bambin Gesù. Sul medico napoletano canonizzato nel 1987 e sulla sua devozione alla mistica di Lisiex cfr. A. Sicari, Nuovi ritratti di santi, (= Già e non ancora, 2), Jaca Book, Milano 2009 [IX edizione], pp. 151-176; M. Enrico, Miracolo nella mia vita. Condannati dalla scienza, salvati dalla fede: storie di guarigioni impossibili, Sperling & Kupfer, Milano 2011, pp. 135-136.
[35] Le Suore, sin dal loro arrivo a Roma sotto Leone XII (1827), erano state a servizio di questo Istituto, che era stato fondato nel 1784 dal sacerdote concistoriale Pasquale Di Pietro ed aveva avuto come primo responsabile l’abate Tommaso Silvestri, pioniere riconosciuto dell’educazione per sordomuti in Italia (cfr. M. Luciani, Sua santità Giovanni Paolo II a Trevigiano Romano: 17 settembre 1989. Bicentenario della morte dell’abate Tommaso Silvestri primo educatore dei sordomuti in Italia, Tipografia Vaticana, Città del Vaticano 1989) In seguito, venendo l’Istituto inquadrato normativamente con precise finalità scolastiche nelle strutture dello Stato Pontificio per decisione di Gregorio XVI (1842), esse avevano ricevuto la direzione della sezione femminile, affiancando i Somaschi chiamati a dirigere la sezione maschile. Benché l’Istituto avesse mutuato il riferimento regio dopo la Presa di Porta Pia, questo assetto non subirà, comunque, scosse particolari fino al 1904,quando la direzione della sezione maschile accusa cambiamenti con il congedo dei Somaschi, nulla incidendo però sulla sezione femminile rimasta saldamente sotto la gestione delle Suore anche dopo l’ultima guerra e la nascita dell’Italia repubblicana. Solo dal 1989, per effetto della legge 517/77 che dettava l’inserimento dei disabili nei circuiti ordinari dell’istruzione obbligatoria, è venuta meno per le Suore la necessità di portare avanti una tale missione. Sulla storia dell’Istituto romano dei Sordomuti cfr. le notizie sparse in G. Porcari Li Destri – V. Volterra (curr), Presente e passato: uno sguardo per l’educazione dei sordi, Gnocchi, Napoli 1995, pp. 105-153; 207-305.
[36] Non mi pare fuori luogo considerare qui S. Teresina un piccolissimo ma significativo campione operativo, che, in quella difficile stagione segnata sempre più dalle concezioni totalitarie del fascismo, traduceva ogni giorno sul campo, con spicciola semplicità e intuizione carismatica, quell’altro concetto dell’educazione cristiana portato avanti, contro il naturalismo e contro lo statalismo, bensì all’insegna della partecipazione e della sussidiarietà, da Pio XI sin dal sua ascesa al pontificato e poi sistemato autorevolmente, per mettere paletti chiari con il regime all’indomani della soluzione concordataria (1929), nella lezione pedagogica della Divini illius magistri [per la quale cfr. A. Vanzi, L’incapacità dei coniugi verso la prole come incapacità di assumere gli oneri essenziali del matrimonio (can. 1095,3°), Pontificia Università Gregoriana, Roma 2006, pp. 70-72].
[37] È un registro di pensieri spirituali caratterizzanti l’ultimo tratto della sua esistenza a far tempo dal 22 gennaio 1929. La documentazione, che versa oggi sistemata in dattiloscritto, avrebbe bisogno di una vera edizione critica per l’importanza eccezionale ricoperta sia sul piano della lezione spirituale che su quello della ricerca scientifica. Il testo, da cui non è possibile evincere la data di realizzazione dattiloscritta, ammonta complessivamente a 446 pagine, che si presentano in duplice sezione grafica: una, più attuale, dall’inizio fino a p. 343; l’altra, più remota, da p. 344 fino alla fine. La prima sezione comprende il periodo, che va dal 22 gennaio 1929 al 28 giugno 1933. La seconda sezione continua regolarmente il Diario fino al 16 gennaio 1934 (p. 408); poi, l’esperienza personale dell’autrice si mischia con ricordi, documenti e altre testimonianze (anche postume).
[38] Forse è giunto il tempo di indagare anche per suo conto, sia pure con le debite proporzioni ed ovviamente con un distinto approccio per circostanze e contenuti, su una pista di ricerca analoga a quella messa a punto di recente per Santa Teresa del Bambin Gesù da Gianni Gennari (vedi supra, n. 24).
[39] Si profila qui un grande insegnamento spirituale, che, usando il linguaggio dei fiori, mostra ancora Suor Teresina Zonfrilli come interessante epigona di S. Teresa del Bambin Gesù, per le cui immagini in tal senso cfr. il capitolo «Le symboles de la fleur et de la rosée dans deux teste de 1893», in F.M. Lethél, L’Amour de Jésus. La cristologie de Sain-Thérèse de l’Enfant-Jésus, (= Jésus et Jésus-Christ, 72), Desclée, Paris 1997,pp. 147-170 [ed. it. Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1999].
[40] Tali attribuzioni con attestati di gratitudine sono rendicontate in allegato alla petizione inviata a Giovanni Paolo II dalla Superiora Generale delle Suore del Monte Calvario, Madre Maria Chiarina Passarelli, l’11 aprile 1999 (prot. n. 551/99 del proprio Istituto), anno centenario dalla nascita della Venerabile, per vederne finalmente conclusa la causa di beatificazione, oggi ancora in itinere. Il materiale, disponibile in soluzione dattiloscritta, si articola in due parti. La prima parte, di 96 pagine, censisce n. 203 grazie attribuite all’intercessione della Venerabile in un periodo compreso tra la notte del 21-22 gennaio 1934 (guarigione di una novizia da una otite media purulenta, constatata dal. Prof. Giuseppe Turtur dell’Ospedale romano “Fate bene Fratelli”) e il 1 agosto 1998 (testimonianza di Suor Maria Liberina Castrechini per una sua guarigione seguita ad un complicatissimo intervento chirurgico per colicisti calcolosa avvenuto il 29 gennaio 1964 nell’Ospedale romano “Cristo Re” dopo grave diagnosi del dott. Angelini ed approdato a risultati inattesi da una equipe medica contenta ma stupefatta per la prodigiosa conclusione). La seconda parte, di 44 pagine, raccoglie invece attestati di gratitudine per grazie ricevute, che non hanno registro numerico e non sempre sono confortati da un riferimento cronologico: il primo annotato è del 3 luglio 1934 (Suor Maria Paola della Croce ringrazia l’intercessione di Suor Teresina per felice esito di rigorosi esami affrontati dai suoi nipoti); l’ultimo non ha datazione (I signori Martino Lopes de Souz eTeresa Xavier di Sobradinho in Brasile ringraziano l’intercessione di Suor Teresina per la loro riconciliazione coniugale in un contesto apparentemente insanabile).
[41] Cfr. Ireneo di Lione, Adverus haereses, praef; III,16-18.21-22; V,12-14.
[42] Cfr. Sal 39,8-9.
[43] Ringrazio il prof. Gaetano Zonfrilli, nipote della Venerabile, e don Maurice Njuci Ziharlirwa, parroco di S. Nicola di Porta, per avermi messo a disposizione la biografia del 1937 ormai di non facile reperimento e i materiali inediti (il Diario e la Raccolta delle grazie ricevute), su cui ho potuto lavorare, per svolgere la presente relazione.