A quota 1136, a metà altezza di una delle due pareti rocciose che formano il vallone di Santa Maria, sorge, incastonato nella roccia, l’eremo di Santa Maria della Ritornata, nel comune di Civita d’Antino. La prima citazione della chiesa è del 1183, quando Santa Maria de Tornaro (il suo primo nome), era dipendente della pieve atinate di Santo Stefano. Secondo alcuni storiografi nel XIII secolo Pietro da Morrone prima di diventare papa Celestino V visitò questa chiesa in compagnia di Bartolomeo da Trasacco e l’affidò ad alcuni suoi seguaci; è così che mons. Pietro Antonio Corsignani vescovo di Venosa chiamerà l’eremo “Romitorio di San Pietro Celestino” affermando che fu visitato anche da papa Gregorio X. Su queste notizie non vi sono però conferme ufficiali da parte dei documenti in nostro possesso e pertanto le riportiamo ad onor di cronaca ma non le consideriamo, ad oggi, storicamente attendibili. Sicuramente in questi anni la chiesa era custodita da alcuni eremiti, forse monaci benedettini, che hanno lasciato traccia della loro presenza mediante “pezzi” di affreschi, databili al XIII secolo, e che sono nascosti sotto parte dell’intonaco della cappella.
Tornando ai documenti ufficiali il nome “Tornara” apparirà nel 1511 in un inventario della parrocchia di Morrea, che fu in seguito trascritto nel Libro Verde del vescovo Giovannelli nel XVII secolo. Per tutto il Seicento, e gran parte del Settecento, la chiesa la ritroviamo gelosamente custodita dalla popolazione locale, come ci trascrive nel 1663 l’Abate di Civita d’Antino: «ecclesia S. Mariae de Ritornata quae est ecclesia non solum non diruta sed etiam decenter custodita, magnae devotionis, ad quam clerus accedit aliquando non tamen semper processionaliter». Nella visita pastorale del 9 maggio 1703, da parte del Vicario generale don Lauretto Ceci, si apprende che nella chiesetta della Ritornata ogni anno nel martedì di Pasqua il popolo di Civita saliva in processione nell’eremo per venerare la Madonna, tradizione giunta fino ai nostri giorni.
Nel 1767 la chiesa aveva bisogno di urgenti restauri a causa delle intemperie e della grande umidità, segno questo del declino che da lì a qualche anno porterà all’abbandono del sacro luogo. Difatti nella visita pastorale del vescovo Sisto Y Britto del 3 ottobre 1783, il quadro della Madonna della Ritornata si trova conservato nella chiesa parrocchiale di Santo Stefano e da questo momento sull’eremo scese l’oblio dell’abbandono. Il silenzio si ruppe nel 1873 quando l’eremo della Ritornata viene di nuovo visitato dal clero secolare.
Nel 1915, all’indomani del terremoto della Marsica, l’Abate di Civita, Don Antonio Fabriani, fece ridipingere il quadro della Vergine, che fu riposto all’interno dell’eremo. Oltre alla bellezza del luogo, la ricchezza più grande della chiesa è rappresentata dalla serie di affreschi della cappella, dipinti nella parete absidale e risalenti al XII-XIII secolo. In essi sono evidenti gli influssi bizantineggianti campani, propri della scuola monastica di Montecassino, che vedremo in seguito esser presenti anche nella chiesa rupestre di Sant’Angelo a Caprile. Nella seconda metà del XI secolo, difatti, l’abate Desiderio (1058-1087) si circondò di maestri bizantini per ampliare l’orizzonte artistico dell’abbazia di Montecassino. Le forme d’arte bizantine incontrarono così forme artistiche locali creando una vera e propria arte cassinese, che si diramò lungo tutte le pertinenze che dipendevano direttamente dall’abbazia, compreso l’Abruzzo, come dimostrano (oltre ai nostri) anche i dipinti presenti nella chiesa di San Liberatore alla Maiella. L’affresco principale rappresenta in alto il Redentore seduto in trono in atto benedicente con la mano destra, con la sinistra sorregge un libro recante la scritta: rex ego sum celt (coeli) populumque de morte redemi; in basso vi sono le figure degli Apostoli. Gli affreschi sono stati restaurati nel 1987-88 dalla Soprintendenza ai Beni Culturali. Sino al 1769 nell’eremo si conservava il dipinto su legno della Madonna detta “della Ritornata”, che porta la data del 1421, anche se vi sono dubbi sulla reale autenticità di tale datazione, riferita forse ad un restauro. Il dipinto come si è detto in precedenza al tempo del vescovo Sisto y Britto fu condotto nella parrocchiale di Civita d’Antino dove tutt’ora è conservato. È alto 102 cm e largo 53,5. Ha forma rettangolare e raffigura la Madonna seduta in trono che sorregge il Bambino Gesù. Secondo una leggenda popolare per ben due volte questa icona, una volta condotta giù in paese, riapparve miracolosamente su all’eremo. Solo le preghiere ed i digiuni dei fedeli permisero che “ritornasse” nella chiesa del paese; da qui il nome “Ritornata”. Di questa immagine esistono due copie, la seconda conservata nell’eremo è opera dell’artista danese Daniel Smith, anche se una tradizione del paese l’attribuisce a Pietro Micone.
L’interno della chiesa, lunga una decina di metri, è molto semplice con le pareti intonacate di recente. Su un ampio gradino, a sinistra della cappella, vi è una statua in legno, raffigurante un vescovo benedicente, in pessime condizioni. Orientativamente è databile agli inizi del secolo XVII, se non prima. Per alcuni si tratterebbe di San Barnaba, ma la nostra ipotesi è che sia da identificare con San Lidano Abate, monaco benedettino nato a Civita d’Antino attorno al 1026, il cui culto, soprattutto in passato, era molto sentito nella popolazione locale; le raffigurazioni classiche lo presentano in abito monacale o con le vesti episcopali. Tornando all’interno della cappella di fronte al luogo di culto si apre la zona abitativa con due stanze ed una piccola appendice ricavata nella roccia. Nel piano superiore, al quale si accede salendo alcuni gradini percorrendo un corridoio buio scavato nella roccia, si trovano degli ambienti utilizzati come zone abitative. L’esterno vede la presenza di una lunetta con un affresco del XII secolo raffigurante la Madonna. Di fianco la scalinata esterna si apre una bassa porticina che introduce in uno stretto e lungo vano sottostante la chiesa, coperto da una volta a botte affrescata da alcune stelle. È questo il primo nucleo abitativo degli eremiti a cui, con il passare dei secoli, si sono sovrapposte la chiesetta con la parte abitativa.
Fonti e bibliografia
Archivio Curia Vescovile di Sora.
Meglio L., (2013), Gli Eremi della Diocesi di Sora, Aquino, Pontecorvo. Percorsi di storia, fede e natura, Sora.
Percorso
Difficoltà: E
Dislivello in salita: 400 metri
Tempo di percorrenza: 3 h (andata e ritorno)
Descrizione: Dalla vecchia fonte di Civita si sale per una strada abbastanza larga, ripida in alcuni tratti, ma meno faticosa in altri. L’ascesa è lieve e per lunghi tratti si passa per avvallamenti attraverso un falsopiano, tutto ricoperto dall’ombra fresca dei boschi della montagna: querce, elci, faggi, ginepri si alternano tra fossi, burroni e spianate per circa quattro chilometri e mezzo, mentre il campo sottostante è rivestito di erbe odorose e di piccoli fiori selvatici. Nell’ultimo tratto, la strada discende e improvvisamente ad una svolta appare l’Eremo.
Lucio Meglio