Sabato 12 marzo, si è tenuto il dodicesimo incontro del Corso biblico presso la chiesa di Santo Spirito, proseguendo l’indagine sul Vangelo di Luca.
Come è stato più volte sottolineato negli incontri precedenti, si può dire che tutto il Vangelo di Luca è la narrazione di un lungo viaggio che porta Gesù dalla Galilea a Gerusalemme. Intanto, ai capitoli 8 e 9 leggiamo altri miracoli ed episodi di questo viaggio. Poi, all’inizio del capitolo 10, Gesù, scelti 72 discepoli, li invia a due a due, facendosi precedere nei luoghi e nelle città dove stava per andare lui. Compiuta la missione affidata loro, i discepoli tornano pieni di gioia, dicendo che anche i demoni si sottomettevano loro.
Gesù replica loro dicendo che vedeva Satana (cioè l’accusatore, colui che è di inciampo) cadere dal cielo come folgore. Tuttavia, Luca è attento a sottolineare all’attenzione dei suoi lettori greci e pagani, che i discepoli riescono a scacciare i demoni non per loro merito, ma per azione gratuita di Dio; in altre parole, è la grazia di Dio che agisce e salva. Anche il potere di guarire dei discepoli non è una specie di privilegio personale, ma una manifestazione dell’iniziativa divina, che li fa partecipi della pienezza di vita. Gesù dice anche che essi devono rallegrarsi poiché i loro nomi sono scritti nei cieli: ancora una volta è per grazia di Dio che essi godono della cittadinanza nella nuova patria celeste.
Al versetto 21, Gesù esulta nello Spirito Santo, ringraziando Dio per aver rivelato ai piccoli queste cose e per averle nascoste a coloro che ritenevano di avere la conoscenza. Si noti che Luca è l’evangelista che più degli altri mette in luce le emozioni di Gesù. Anche a tal proposito, come i discepoli sono beati non per le loro qualità, ma perché sono destinatari della libera e gratuita iniziativa di Dio, la quale si concretizza nell’azione di Gesù, anche la scelta del Padre – cioè la rivelazione ai piccoli – alla quale Gesù si riferisce, non dipende tanto dalle qualità morali dei “piccoli”, ma unicamente dal Suo amore gratuito. Inoltre, la rivelazione di Dio non rende dotti o sapienti i piccoli, ma piuttosto li fa liberi com’è libero il Figlio. In Luca emerge la novità del capovolgimento delle gerarchie sociali e culturali.
A questo punto, proprio un dotto, cioè uno che riteneva di conoscere la Parola, pone una domanda a Gesù per metterlo alla prova. Già in quest’atteggiamento è evidente che egli si pone ad un gradino superiore rispetto al suo interlocutore. Ma, Gesù si lascia mettere alla prova, per far emergere ciò che è realmente quel dotto.
«Che devo fare per meritare la vita eterna?», chiede. Gesù lo interroga a sua volta, chiedendo cosa c’è scritto e cosa legge nelle scritture. La Parola è chiara: amare Dio e amare il prossimo. Come sempre, Gesù non aggiunge nulla di nuovo a quanto si trova nelle scritture (in questo caso nel Deuteronomio e nel Levitico), ma ne propone una lettura nuova («Fai questo e vivrai»). Però, il dottore della legge conosce quello che è scritto, ma non lo mette in pratica, non la vive nella sua quotidianità. E, anzi, tenta di giustificare il suo comportamento chiedendo chi sia il suo prossimo. Possiamo dire che, all’epoca di Gesù, il “prossimo” per un dottore della legge era chiunque si trovasse nel bisogno, non solo materiale, ma anche spirituale. A farsi prossimo per il dottore è proprio Gesù, dal momento che quello ha bisogno di ritrovare se stesso, poiché non agisce secondo quanto si legge nelle scritture.
Gesù spiega cosa vuol dire “essere prossimo”. Lo fa con la celeberrima parabola del samaritano (attenzione: buono, l’aggettivo con cui popolarmente è connotato il samaritano, è un’aggiunta tutta moderna; Gesù parla di un “samaritano”, non di un “buon samaritano”), ricca di sfumature e di richiami alla tradizione e alla Scrittura.
Infatti, l’uomo che scende da Gerusalemme a Gerico idealmente compie un viaggio che lo allontana da Dio: Gerusalemme era la città di Dio, mentre Gerico si era ribellata. È anche un modo per Gesù di interloquire con il dottore della legge: parlargli di cose che dovrebbe conoscere a motivo della sua attività. Quest’uomo cade nelle mani dei briganti che gli portano via tutto: allontanandosi da Dio è facile incontrare uomini che ci portano via ogni cosa.
Per la stessa strada, per caso, passano anche prima un sacerdote e poi un levita. Il “per caso”, significa che mentre l’uomo si era incamminato da Gerusalemme a Gerico di sua propria volontà, il sacerdote e il levita sono inviati da Dio per quella strada (nello stesso identico modo nel quale, poco prima, i 72 discepoli erano stati inviati da Gesù).
Il sacerdote, e poi anche il levita, vedono l’uomo, ma passano oltre. Il “vedere” significa “vedere la verità”, cioè comprendere come stanno le cose: essi vedono che l’uomo è a terra, mezzo morto, bisognoso di cure e aiuto, ma pur comprendendolo, passano oltre. L’invito, più che mai valido anche per noi oggi, è quello di non far finta di non vedere.
Invece, un samaritano (cioè un eretico, un miscredente dell’epoca) che è in viaggio (cioè passava per quella strada non per scelta propria, come l’uomo, né perché inviato da Dio, come gli altri due), passa accanto all’uomo (cioè gli si fece prossimo, gli si avvicinò), e ne ebbe compassione (cioè non fece finta di non vedere, ma compresone il bisogno, lo fece proprio).
Bisogna porre attenzione al fatto che non è il samaritano a vedere nell’uomo mezzo morto il proprio prossimo, bensì è lui a farsi prossimo (nel senso poc’anzi detto) dell’uomo. Facendosi suo prossimo, ne condivide la sofferenza e cerca di prestargli le prime cure.
Infatti, il primo a guarire è proprio il samaritano…
Gli incontri del corso biblico riprenderanno dopo le festività pasquali.
Vincenzo Ruggiero Perrino