XVII Domenica del Tempo Ordinario – Anno C
Di P. Luca M. Genovese
Oggi viene esplicitato dalle letture il valore della preghiera di supplica. Dobbiamo supplicare il nostro Signore anzitutto perché è Dio e quindi la supplica è un riconoscimento della sua grandezza ed onnipotenza, un atto di fede che dobbiamo attribuirGli per natura, come creature totalmente dipendenti da Lui.
Chi si rifiuta di supplicare e pensa di fondarsi solo sulle proprie forze è segno che non ha capito chi è Dio e cosa può fare per lui. Spesso il non senso, il vuoto, la disperazione della vita moderna si fonda sul fatto che non si è curato il rapporto con il Creatore, non si è fatto nulla o almeno il minimo necessario per mantenere una certa unione con Lui. L’uomo staccato dal suo Creatore vaga nel buio, si muove nel vuoto della sua esistenza limitata e senza sbocchi.
Invece la supplica cosciente, libera, spontanea rivolta a Dio indica la fede, la riconoscenza di Lui come suprema guida, riferimento e rifugio del nostro essere e del nostro andare.
Gesù è la rivelazione visibile di Dio: Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita (poiché la vita si è fatta visibile, noi l’abbiamo veduta e di ciò rendiamo testimonianza e vi annunziamo la vita eterna, che era presso il Padre e si è resa visibile a noi), quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. La nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo. Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia perfetta (Gv 1, 1-4). Dunque è a Gesù che dobbiamo andare per supplicare, con costanza, perseveranza, insistenza ma soprattutto fiducia.
Gesù prega, Lui stesso compone la famosa preghiera del Padre nostro e racconta una parabola sull’importanza della preghiera. La preghiera di Gesù sembra superflua dal momento che Egli è uscito dal Padre: Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo; ora lascio di nuovo il mondo, e vado al Padre (Gv 16, 28). Perché allora Gesù prega? Forse per darci il buon esempio. Un buon maestro deve mostrare in primis cosa bisogna fare ai suoi discepoli. In secondo luogo prega perché la sua parte umana, la sua natura umana assunta, è fragile e soggetta alla tentazione e alla morte come quella di ciascuna di noi, benché perfettissima e senza macchia: mandando il proprio Figlio in una carne simile a quella del peccato e in vista del peccato, egli ha condannato il peccato nella carne (Rm 8, 3). Il peccato è condannato ma è condannato grazie all’associazione della natura umana di Cristo a quella divina, cioè alla redenzione dell’umanità compiuta in prima persona nella carne di Cristo: come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo. Ciascuno però nel suo ordine: prima Cristo, che è la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo(1Cor 15, 22-23). Anche Cristo deve ricevere di nuovo la vita, o meglio la sua natura umana, condannata dalla morte, conseguenza del peccato, deve riprendere vita per mezzo della Risurrezione. Poi anche il resto dell’umanità segue la sorte del suo Dio e Maestro rinascendo a vita nuova.
In questa teoria della redenzione, spiegataci soprattutto dall’Apostolo Paolo, che bisogno v’è di pregare? Pare che il piano di Cristo si compia automaticamente e che l’uomo sia un semplice fruitore passivo della grazia che viene per opera di Cristo: la preghiera è la coscienza e la consonanza dell’uomo all’opera di Cristo.
Si prega Cristo perché ci faccia degni di Lui: Signore non son degno che tu entri sotto il mio tetto ma dì soltanto una parola ed io sarò salvato (Liturgia). In fondo la preghiera che Cristo ascolta è quella che corrisponde al suo piano divino di salvezza che è quello di Dio Padre: poi sarà la fine, quando egli consegnerà il regno a Dio Padre, dopo aver ridotto al nulla ogni principato e ogni potestà e potenza. E’ la preghiera del Venga il tuo regno e non una qualsiasi preghiera.
L’uomo oggi è abituato e anche educato fortemente ad auto-realizzarsi, a dipendere esclusivamente da se stesso, ad affermare la sua personalità e a non rinunciare mai a nulla di quanto gli piace. Così si condanna all’auto-idolatria aprendo le porte a Dio solo nel momento della convenienza e del bisogno. La preghiera diventa momentanea ed occasionale: una preghiera legata alla penuria e non al riconoscimento dell’unica ed eterna sovranità di Cristo. La preghiera così fatta non è vera. Nella sua parabola Gesù pone l’accento sull’insistenza: anche se non si alzerà a darglieli perché è suo amico, almeno per la sua insistenza si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono. In un altro passo Gesù dice di pregare sempre, senza stancarsi (Cf. Lc 18, 1).
La Santa Vergine, Madre della preghiera perché per prima ha implorato e realizzato in sé la salvezza con l’Incarnazione del Verbo, ci può insegnare l’arte della preghiera. Alla sua scuola possiamo chiedere ciò che riguarda il Regno di Dio.