Quelle case di Amatrice le ho viste tutte*

Quelle case le ho viste tutte. Per nove mesi. Le ho viste quando Amatrice restituiva al mondo i turisti estivi con gli occhi pieni di bellezza. Le ho viste dall’autunno alla primavera, con i comignoli che sbuffavano fumo e, insieme al fumo, l’odore acre della legna arsa. Le ho viste con le luci accese già nel primo pomeriggio, con i ciclamini variopinti alle finestre, con le luci di Natale. Dovevate vederle all’alba. Sembravano di cristallo, tanto mi parevano delicate con il bianco della neve sui monti della Laga che le incorniciava. Lì, oltre quelle finestre, immaginavo la vita dei miei studenti, dei loro genitori, delle persone che incontravo nei pomeriggi delle mie solitarie passeggiate tra quelle case. Non si può dire quanto fosse bella Amatrice. Non ve lo posso dire perché Amatrice era un insieme di profumi, emozioni, colori, sensazioni, impressioni. Li ho sentiti e vissuti per nove mesi. Saranno sempre nel mio cuore. Saranno solo nel mio cuore.

Sì, perché da quella notte del 24 agosto non ci sono più. Crollati, sbriciolati come castelli costruiti sulla sabbia perché quel terremoto, come un’onda del mare, li ha cancellati, buttando giù, insieme alle mura, centinaia di vite il cui respiro era il respiro della propria casa, della propria famiglia, delle strade, della scuola, degli amici, degli amori, dei progetti. Vite fatte di trame di riferimenti, ruoli, relazioni. Tutto morto, nonostante il battito dei sopravvissuti, un battito cadenzato dai loro cuori straziati dal dolore. Perché la loro identità si sostanzia ora in questa immane tragedia che ha risucchiato, come un mostro, tutto ciò che c’era. Se ne devono costruire una nuova di identità, lì in quei cimiteri di vite, ma prima se la devono raccontare in questa Italia che deve tutelarli, proteggerli, aiutarli.

E non può sfuggire a noi il ricordo della nostra città, abbattuta anch’essa sotto il colpo devastante di un’altra onda, quella della guerra. Agli occhi dei nostri nonni anche Cassino appariva come un ammasso disarticolato e informe di macerie. Da quelle macerie è risorta la nostra comunità, così come dovranno risorgere ad Amatrice l’odore, i suoni, i colori della natura, la primavera selvaggia, l’autunno variopinto, il rigido signore inverno, i buongiorno, i sorrisi, l’ospitalità, il legame tra gli abitanti, il loro senso di appartenenza, l’inossidabile amore per la loro terra, l’orgoglio di essere amatriciani. Le sue chiese, le sue vie, le sue case erano come un dipinto di immobile bellezza senza tempo. È nostro dovere riportare alla luce la bellezza spontanea di Amatrice e dei suoi abitanti, perché la resurrezione vuol dire anche questo.

Cassino può lasciare un segno tangibile dell’aiuto che ognuno di noi è chiamato ad offrire alla comunità reatina. Cassino può farlo, contribuendo con il suo grande cuore a fare sì che settembre per i ragazzi di Amatrice non sia solo il mese del dopo terremoto, ma sia anche il mese dell’estate che va via e dell’inizio della scuola, così come lo è per i nostri ragazzi.

Prof.ssa Antonella, ex insegnante del liceo scientifico di Amatrice

* Il testo di questa testimonianza è stato letto durante la Messa in suffragio delle vittime del terremoto, il 31 agosto nella chiesa di S. Antonio in Cassino. https://www.diocesisora.it/pdigitale/messa-suffragio-delle-vittime-del-terremoto/

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