Imre Nagy, un calvinista, un comunista, un moderato divenuto leader della rivoluzione ungherese del 1956, morto per la libertà della sua patria
Secondo appuntamento diocesano per la Settimana di preghiera per l’Unità dei cristiani, nel 500° anno dalla Riforma Luterana, presso la Sala degli Abati in Curia a Cassino lunedì 23 gennaio, promosso e dall’Ufficio diocesano per l’Ecumenismo e il Dialogo Interreligioso e dalla Scuola di Formazione Teologica. E’ stato presentato il libro “Imre Nagy, un ungherese comunista – Vita e martirio di un leader dell’ottobre 1956” dell’Autore Don Romano Pietrosanti, professore ordinario all’Istituto Teologico Leoniano di Anagni.
Si è voluto così ricordare la Primavera ungherese di cui Nagy fu protagonista, e tanti cristiani, che seppur di diversa Confessione, hanno sacrificato la loro vita per testimoniare la propria fede in Gesù. Omaggio alla memoria di tanti nostri fratelli, anche di diverse Confessioni, che – come scrive Don Antonio Molle, responsabile dell’Ufficio diocesano Ecumenismo e Dialogo – nei Paesi dell’Europa Orientale, dalla fine della seconda guerra mondiale fino alla caduta del Muro di Berlino (1945-1989), testimoniarono la loro fede fino al martirio di fronte alle persecuzioni comuniste intenzionate a cancellare ogni espressione religiosa, ritenendola “oppio dei popoli” secondo la tragica formula dell’ideologia marxista. Situazioni difficili del dopoguerra, che rischiano di essere sepolte nell’oblio e che invece è giusto far conoscere ai giovani.
Dopo il saluto iniziale di Don Antonio Molle, è stato il prof. Filippo Carcione, Direttore dell’Istituto Teologico Leoniano di Anagni, a introdurre i lavori e a fare da moderatore in una tavola rotonda, ponendo, a giro, domande precise ai vari relatori perché dessero risposte non lunghe: sistema che ha reso dinamico il discorso e molto interessante. A rispondere alle domande, oltre l’Autore del libro, erano il Direttore della Scuola Teologica Diocesana, Don Nello Crescenzi, e i professori Gaetano De Angelis-Curtis, docente di Storia della Chiesa, e Antonio Renna, docente di Discipline Filosofiche.
Si è partiti dal recupero della memoria storica, che Don Nello, alla luce della Enciclica Ut unum sint del 1995 di S. Giovanni Paolo II, ha indicato come necessario e da unire alla purificazione della memoria del 2° millennio, soprattutto ora che ci troviamo a 500 anni da Lutero. Occorre ancora, ha detto, capire il significato profondo della divisione, ma anche l’effetto positivo a lungo termine, come il riavvicinamento dei cattolici alla Sacra Scrittura. Si tratta di recuperare la memoria storica dell’unità, e riconoscere che è più quello che ci unisce che quello che ci divide.
Il prof. Renna ha aiutato a individuare le radici culturali del pensiero europeo che hanno prodotto l’ideologia totalitaria marxista, nella visione, fino al ‘900, secolo “delle idee assassine”, dell’uomo “padrone della realtà”, capace di costruire un mondo nuovo e perfetto attraverso la politica.
L’Autore Pietrosanti ha spiegato che quella ungherese è stata la prima vera ribellione all’oppressione sovietica marxista e la prima idea di un “socialismo dal volto umano” perché in tutta la sua storia, lunga e travagliata, il popolo ungherese ha mantenuto fortissima la propria identità nazionale, di matrice fondamentalmente cristiana.
Imre Nagy, di fede calvinista, nato nel 1896, si avvicinò dal 1917 al comunismo internazionale, mai però venendo meno al fortissimo amore per la sua Patria. Visse l’attivismo nel partito durante gli anni della furia nazista, quindi l’esilio a Mosca, il ritorno a casa nel dopoguerra e gli incarichi politici, fino a diventare capo del governo ungherese nel giugno 1953. Era un moderato per indole ma portava dentro di sé un’esigenza di riscatto derivante dalle sue origini contadine. Il suo nuovo corso riformista mirava a costruire un “socialismo dal volto umano”, ma fu contrastato ed interrotto nella primavera 1955. Così Nagy si ritrovò all’opposizione. L’esplosione rivoluzionaria del 23 ottobre 1956 lo riportò al governo, ma si concluse tragicamente. Di lui ha detto lo storico François Fejto: “Mai una rivoluzione ebbe un capo meno rivoluzionario”. Quando i sovietici invasero Budapest, il 4 novembre 1956, Nagy si rifugiò nell’ambasciata jugoslava, dove gli era stata offerta protezione ma poi, indotto con l’inganno a consegnarsi alle autorità comuniste, venne imprigionato insieme ad alcuni suoi collaboratori. Nagy si rifiutò di sconfessare i motivi profondi della rivolta antisovietica e per questo, il 16 giugno del 1958, venne giustiziato.
A dare riferimenti storici precisi e puntuali è stato il prof. De Angelis-Curtis, che ha analizzato il 1956, anno della rivoluzione ungherese di cui Imre Nagy fu leader, e che – scoppiata il 23 ottobre – fu presto soffocata dall’URSS. L’intervento sovietico, appoggiato dal Partito Comunista Italiano di Togliatti, mise però in crisi buona parte della sinistra storica e cominciò ad incrinare l’ideologia marxista.
Si è indagato poi sulle varie cause della caduta del comunismo che, come disse S. Giovanni Paolo II, cadde da se stesso, perché – ha sintetizzato Renna – “l’umano riemerge sempre“. Si è parlato anche della sofferenza di tanti cristiani e sacerdoti, martiri che anche in Italia, a guerra finita, subirono pesanti rappresaglie comuniste. E ancora sulla caduta delle ideologie, che però oggi ci sono ancora: le ideologie del passato volevano l’anima dell’uomo, oggi vogliono farci vivere senza anima; sul ruolo dei cristiani per i quali è costitutivo l’impegno attivo per il bene comune e la testimonianza, quindi anche l’impegno in politica, “la forma più alta ed esigente di carità”, perché la radice dell’impegno va vista nell’incarnazione. Quanto più spirituale, tanto più la vita del cristiano deve essere incarnata. Oggi molti vorrebbero relegare nelle sacrestie i cristiani ma la loro cifra tipica è portare il proprio contributo per il bene comune.
In chiusura, è stato letto un messaggio del Presidente della regione Zingaretti che, invitato, si scusava di non poter partecipare. A trarre le conclusioni di un dialogo tanto ricco e profondo è stato il Vescovo mons. Gerardo Antonazzo, che ha seguito con attenzione tutto il convegno e che ha stigmatizzato quel modo diffuso di interpretare a modo proprio quanto dice Papa Francesco, di cui invece è bene leggere da fonti ufficiali e attendibili le parole.
Adriana Letta