Domenica delle Palme o della Passione del Signore, Anno A
La Domenica delle Palme, o di Passione, segna l’inizio della liturgia di redenzione compiuta dal Signore per noi. La liturgia oggi ripete ciò che il Signore una volta per tutte ha compiuto e che durerà per sempre, fino alla fine dei tempi.
La passione segna il tracollo dell’umanità di Cristo ma insieme lo splendore della sua divinità che si dona per la nostra purificazione e glorificazione.
Ci sono due momenti nella liturgia di questa domenica, apparentemente contrastanti. Il primo è quello dell’ingresso trionfale di Gesù a Gerusalemme, accolto da una folla festante che proclama: Osanna al Figlio di Davide e Benedetto colui che viene nel nome del Signore. Si può dire che Gesù ha successo, un successo terreno che spaventa maggiormente i suoi avversari, gli scribi, i farisei ed i capi del popolo che lavoreranno per la sua condanna a morte.
Poi c’è il secondo aspetto della liturgia: quello della sua condanna vergognosa e dell’altrettanto vergognosa e infame consegna alla pena estrema tra insulti ed infamie di ogni genere.
Pare che l’umanità trovi compiacenza a denigrare chi sembra più debole, chi è destinato alla morte, come i polli che amano beccare chi tra loro è più fragile e ferito. Allora il sommo sacerdote si stracciò le vesti dicendo: «Ha bestemmiato! Che bisogno abbiamo ancora di testimoni? Ecco, ora avete udito la bestemmia; che ve ne pare?». E quelli risposero: «È reo di morte!». Allora gli sputarono in faccia e lo percossero; altri lo schiaffeggiarono, dicendo: «Fa’ il profeta per noi, Cristo! Chi è che ti ha colpito?». Questo è da sempre il ringraziamento per ciò che Dio ha fatto per l’uomo.
Sorprende il silenzio sovrano di Gesù in tutta la sua passione. Non giudica, non risponde male per male, né ingiuria per ingiuria.
E’ questo il suo trionfo sul peccato: non rispondere al peccato con il peccato. La sua regalità divina risplende con la sua superiorità morale su tutte le passioni umane che inclinano all’irrazionalità più esacerbata.
Probabilmente Egli neppure ascolta cosa dicono contro di lui e di quello che gli fanno soffre solo nella carne non potendo essere turbato nello spirito da espressioni umane così basse e volgari.
L’estrema crudeltà nei suoi confronti si spiega per il fatto che egli non dà nessuna soddisfazione umana ai suoi assassini: non si lamenta, non invoca pietà, non riconosce i suoi presunti falli, non si agita né si sdegna minimamente per le offese subite ma vive in un altro mondo, quello della potenza regale di Dio che tutto vede dall’alto e tutto giudica secondo criteri eterni.
Davanti a tanta grandezza le bestie umane non trovano altro che essere ancora più cruente credendo in tal modo di rendere più difficile la vita alle loro vittime. Succede sempre nella storia dell’umanità dalle sofferenze del giusto Giobbe a quelle dei martiri cristiani fino ai poveri perseguitati dei gulag o dei campi di sterminio o dei lao gai che più sono grandi e nobili davanti alla morte più sono aggrediti, infamati e vilipesi e maltrattati.
In questa opposizione tra la bassezza del peccato e la grandezza della santità consacrata a Dio il confronto non regge: il giusto sicuramente perde la propria vita ma non la propria anima, il proprio amore e la propria nobiltà. L’aggressore bestiale invece ha già perso tutta la sua dignità prima ancora di eseguire materialmente l’aggressione fisica sulla propria vittima. Quando ha deciso di fare il male anche solo nel suo cuore si merita senz’altro le parole di Gesù: Il Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui; ma guai a quell’uomo dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito! Meglio per quell’uomo se non fosse mai nato! Sarebbe meglio per il traditore di Dio in ogni tempo che non fosse mai nato! La sua situazione non è quella di un uomo, ma meno di quella di una bestia in quanto traditore della propria condizione di figlio di Dio.
E’ in coppia con l’angelo decaduto che ha rinunciato per sempre alla sua dignità di spirito puro per essere solo servo del peccato, della bestemmia e della menzogna. L’uomo della menzogna, il Giuda di ogni tempo, è il dannato, condannato dalla sua stessa menzogna che informerà per sempre la sua vita e la sua eternità.
L’inferno è la menzogna eterna, dove chi ha sposato la menzogna vivrà sempre di menzogna, cioè di contrasto con se stesso, con gli altri, con Dio e con ogni cosa. Tutto sarà tormento per l’uomo menzognero, pure il fatto di esistere e tanto più di esistere per sempre nel suo stato di menzogna. Un urlo di eterna angoscia, disperazione e insaziabile rimorso si leverà dal cuore che ha perseguitato il giusto e la giustizia, la verità e la purezza: Ho peccato, perché ho tradito sangue innocente». Ma quelli dissero: «A noi che importa? Pensaci tu!». Egli allora, gettate le monete d’argento nel tempio, si allontanò e andò a impiccarsi…Il suicidio, anche assistito, come si pratica oggi, è solo l’inizio dell’eterna ed insanabile disperazione….
L’amore vincente di Cristo, annunciato dall’ingresso in Gerusalemme, corroborato dalla passione, si estende ai confini della terra, vive di inossidabile, lucente bellezza.
di P. Luca M. Genovese
Fonte: Settimanale di P.Pio