Intervista a Mons. Lorenzo Loppa, vescovo della diocesi di Anagni-Alatri

Lorenzo Loppa è nato a Segni il 14 luglio 1947. Ha completato la sua formazione presso il Pontificio Collegio “Leoniano” di Anagni, ed è stato ordinato sacerdote il 17 luglio 1971 nella cattedrale di Segni. Dopo qualche anno come vice parroco, è stato nominato parroco della Chiesa di Santa Maria degli Angeli a Segni. È stato eletto vescovo di Anagni-Alatri nel giugno 2002: il 22 settembre 2002 è stata celebrata la messa di ordinazione e di ingresso nella cattedrale di Anagni.

L’intervista che segue è stata registrata il 21 giugno 2017 presso la residenza anagnina del vescovo.

Esiste ancora il bene nella società di oggi?

Ce n’è tanto. Oggi c’è quella che nelle mie omelie chiamo la “sindrome del telegiornale”. I telegiornali, per fare audience, danno prevalentemente notizie brutte, contribuendo a creare la convinzione che nel mondo non accadano altro che cose negative. In realtà, il mondo non finisce proprio perché c’è tanto bene. Bisogna ricominciare da tre cose: dalla resurrezione del crocifisso; dall’asse solido di persone che fanno il proprio dovere quotidianamente senza finire sui giornali e propongono un eroismo senza gloria; dall’educazione dei giovani. Purtroppo un albero che cade fa sempre più rumore di una foresta che cresce!

Il bene a cui lei allude nasce dalla fede cristiana?

Alcune manifestazioni del bene si riferiscono esplicitamente alla fede cristiana, altre invece, pur non rientrando nel perimetro dei valori cristiani, non sono per questo “meno buone”. Servono comunque a rendere il mondo più umano, e a creare relazioni più solidali ed autentiche. Già i teologi contemporanei di San Tommaso affermavano che Dio non lega la grazia ai sacramenti, proprio riconoscendo che il bene può operare anche al di fuori di un contesto confessionale.

Del resto è evidente che molto spesso la professione di fede, che molti sedicenti cristiani fanno, è più di facciata che non convinta adesione.

Nella mia vita ho incontrato due categorie di persone: quelli che portavano il vangelo sottobraccio, ma che lo disattendevano ad ogni passo; e quelli che non lo leggevano nemmeno, ma facevano della loro vita un vangelo vivente.

E il male?

Il male è ovunque. Possiamo dire che Satana lavora, benché io non sia uno che vede il diavolo dappertutto. Non a caso nella mia diocesi non ho nominato un esorcista. Proprio ieri nel carcere di Velletri si è ucciso uno dei due giovani, che si erano resi responsabili, non molto tempo fa, dell’omicidio di un loro amico, ammazzato “per vedere che effetto faceva”. Anche i fatti recentemente successi ad Alatri indicano che di male ce n’è tanto.

Quindi è un male che non viene da Satana, ma dagli uomini?

Certo. Ripensiamo al racconto della Genesi sulla tentazione del serpente. Il peccato cosiddetto originale in definitiva da cosa nasce? Da una forma di deresponsabilizzazione. Adamo ed Eva hanno creduto al serpente, essere a loro inferiore, piuttosto che aderire al progetto di Dio. E questo schema si ripete praticamente in ogni forma di peccato: l’uomo fa un cattivo uso della propria libertà, deresponsabilizzandosi rispetto alla volontà di Dio.

Non a caso spesso si prega chiedendo a Dio di fare ciò che in realtà dovrebbe fare l’uomo, cioè di sostituirsi in quelle che sono responsabilità esclusivamente umane.

Quella è una preghiera disonesta. La preghiera onesta è quella del “Padre Nostro”: rimetti a noi i nostri debiti, poiché noi li rimettiamo ai nostri debitori. A Dio si chiede la forza di essere fedeli al suo progetto, non che Egli aderisca ai progetti degli uomini.

Come si può conciliare l’idea di una Chiesa povera, come predica papa Francesco, con la circostanza che però la Chiesa è materialmente tutt’altro che povera?

C’è il discorso della struttura, che effettivamente pesa tanto. Povertà, però, significa mettersi in condizioni di operare apertamente, impostando la propria azione sulla sobrietà. I primi cristiani non avevano come valore la povertà. Condividevano ciò che avevano non tanto per rendersi poveri, quanto per impedire che i fratelli fossero nel bisogno e nell’indigenza e dunque soccorrerli. Gesù dice “gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date”, ed è questo quel che vuol dire “vincere la morte”: soccorrere il prossimo.

In passato, ma anche nel presente, i rapporti tra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica sono sempre stato impostati in una maniera un po’ ambigua, con l’appoggio incondizionato a partiti che “predicavano bene e razzolavano molto male”. In realtà come ritiene che andrebbero impostati i rapporti tra Stato e Chiesa?

I rapporti andrebbero impostati secondo un’ottica di una sana laicità. Attenzione: non laicismo, che postula una separazione. A livello individuale, la fede ha anche un risvolto politico, ma non partitico. Vivere la propria fede significa necessariamente agire negli ambienti in cui si vive e in cui si lavora, e quindi nella “polis”. D’altro lato, lo Stato dev’essere necessariamente laico, e non dovrebbe appoggiarsi ai credenti per avvalorare la sua azione.

Però è quello che è sempre stato fatto. Come ci si può sottrarre a questa cosa?

Non bisogna imbarcarsi in avventure che portano acqua solo al mulino di alcuni. Quando si tratta di fare scelte politiche, la Chiesa non può legarsi ad un carro, anche se in passato l’ha fatto. I cristiani devono scegliere liberamente la loro idea politica. Per esempio, prendiamo il divorzio: il cristiano può non essere d’accordo, ma una volta che è diventata legge, bisogna rispettarla ugualmente.

Una delle questioni più attuali è quella legata agli sbarchi degli immigrati. Su questo fronte, la Chiesa è probabilmente l’istituzione più all’avanguardia per quanto riguarda la capacità di rispondere all’emergenza. Cosa andrebbe fatto per aiutare concretamente queste persone?

Innanzitutto, andrebbero aiutati nei loro Paesi di origine, perché tutti hanno il diritto di rimanere nei propri luoghi e nella propria cultura. L’accoglienza non si può negare quando costoro vengono qui. Tuttavia l’accoglienza non può essere assoluta, ma deve avere degli attributi ben precisi: dev’essere oculata, attenta, solida, deve tendere all’integrazione, e deve mettere in equilibrio l’attenzione a chi arriva e la serenità di chi accoglie. E soprattutto dev’essere condivisa con l’Europa. Credo che accogliere senza integrare sia un’offesa alla dignità di queste persone: “ti diamo un aiuto economico, poi fai quello che ti pare tutto il giorno”. Non è vera accoglienza questa!

Un’altra questione attuale, con risvolti spesso drammatici, è legata ai rapporti con il mondo islamico. Bisogna avere paura dell’Islam? Quali sono i rapporti tra Chiesa e Islam?

Sposo completamente quello che dice papa Francesco: non si può uccidere in nome di Dio. I terroristi non sanno nemmeno cos’è l’Islam. Si sono messi sotto questa bandiera per rovesciare la situazione, ma sono schegge impazzite. Bisogna ovviamente insistere sulla prevenzione, anche su Internet. L’Islam è una religione di tutto rispetto, che va studiata, ma non è una religione semplice e nemmeno del tutto pacifica. La storia ci racconta che l’Islam ha fatto di tutto per conquistare l’Occidente, ma non sempre in maniera pacifica! Del resto, basta leggere alcune sure nelle quali si parla degli infedeli… Il cristianesimo si è diffuso in un impero romano arcigno, ma lo ha fatto con la testimonianza e la forza della fede, e soprattutto predicando una morale molto rigida e per molti aspetti diametralmente opposta alla mentalità dell’epoca.

Crede che ci possa essere una riunificazione dei cristiani?

Sì, ma non nel senso che tutti diventano cattolici. Ci può essere una riunificazione, sotto forma di una convivialità di differenze, una riconciliazione di diversità, che però rimangono tali. L’ecumenismo della preghiera e della carità si possono fare anche subito; quello del martirio è già realtà. Manca l’ecumenismo dottrinario.

Prima accennavamo al fatto che le nuove generazioni andrebbero educate alla fede. Tuttavia, i giovani sono accidiosi e disinteressati. Cosa si può fare almeno per incuriosirli?

È il grande problema dei nostri tempi. Il papa ha prospettato un sinodo dei vescovi nell’ottobre del 2018, “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”. È una bella chance per cambiare la comunità e per diventare veramente una Chiesa aperta. Se io fossi un giovane, mi chiederei “perché andare in una parrocchia?”: mi imbottiscono di chiacchiere, mi rovesciano addosso tutta una ritualità, mi chiedono di andare a messa la domenica pure se non sono convinto. Si deve partire dalle scuole, non per fare proselitismo, ma per parlare ai giovani, fargli capire che la vita, anche senza nominare Dio, è comunque un’esperienza che va vissuta secondo delle regole. Un tempo si diceva: “la classe operaia ha apostatato dalla Chiesa”; io replicavo: “sì, ma anche la Chiesa ha apostatato dalla classe operaia!”. Oggi è lo stesso con i giovani: “anche la Chiesa ha lasciato i giovani”. Perciò bisogna restituire la passione per la vita ai giovani.

La Chiesa è vista come un’istituzione della proibizione, specie in riferimento ai temi della sessualità e della coppia. Come stanno effettivamente le cose?

Partiamo da lontano, dall’Esodo, quando Dio sottopone il suo popolo ad un severo tirocinio, facendogli provare la fame, in modo che, attraverso l’esperienza dell’indigenza, il popolo capisse di aver bisogno di saziare la fame di Dio. Nel deserto Dio impartisce al popolo i dieci comandamenti, che in realtà sono le dieci parole. “Non uccidere” significa ama la vita in tutte le sue forme. È messo sotto la forma della negazione per rendere più chiaro quello che in realtà è un precetto positivo. Nel mondo di oggi, spesso si tende a credere che legarsi con un’altra persona nel sacramento del matrimonio rappresenti una forma di limitazione della propria libertà. E, invece, è un atto di libertà…

In che modo?

La libertà in senso assoluto non esiste. Nessuno è libero di fare tutto ciò che gli pare e piace. La libertà è nel poter scegliere secondo un criterio che orienta tutta la tua vita.

Da più parti si invocano i cosiddetti “diritti civili”: per le coppie omosessuali, in tema di testamento biologico, eutanasia, aborto. Riallacciandoci a quello che dicevamo prima sui rapporti con lo Stato, spesso la Chiesa ha mostrato di avere una posizione particolarmente ostativa. Negli ultimi tempi, papa Francesco sembra aver intrapreso una cauta apertura su questi temi. In realtà qual è la vera posizione della Chiesa?

La posizione della Chiesa è quella di sempre. Ognuno può fare quello che vuole, ma non tutti i desideri possono diventare un diritto. In tal caso, i cristiani possono utilizzare tutti i mezzi democratici a disposizione per opporsi. È chiaro che se poi viene fatta una legge, quella va rispettata, un po’ com’è successo per il divorzio e per l’aborto. Ritengo che nessuno è padrone della vita, e quindi sono fermamente contrario anche alla pena di morte: se una persona non è padrona della propria vita, a maggior ragione non può esserlo lo Stato! L’ultima parola sulla vita spetta a Dio, questo è ciò che professa la nostra fede.

Prendiamo il caso dei malati terminali, di chi è ridotto ad essere un vegetale. Quale conforto cristiano si può portare in simili casi?

Anche chi è ridotto ad un vegetale, c’è almeno una cosa che può ancora fare: educare gli altri alla sensibilità. Nel film di Fellini, La strada, il personaggio del Matto dice al personaggio interpretato da Giulietta Masina: “Vedi quel sassolino? Anche quello ha il suo senso. Se togli quel sassolino, anche tutto il resto perde il suo senso”. Pure per il matrimonio: se due uomini o due donne vogliono stare insieme sono liberissimi di farlo, ma mettere queste unioni vicino alla famiglia tradizionale, significa un po’ maltrattare la famiglia tradizionale.

Lei accoglierebbe in chiesa una coppia omosessuale?

Accolgo tutti.

Questa è un’intervista che verrà pubblica online, su un sito internet. Quanto la Chiesa può avvantaggiarsi di questi nuovi media per diffondere la parola di Dio?

Poco o niente. A livello di conoscenza sì, ma la predicazione, la cura pastorale dei cristiani è una cosa viva, che esige la relazione interpersonale. Un’intervista, una pagina internet possono fare tanto sicuramente. Ma il cristianesimo è qualcosa che vive sul rapporto concreto e tangibile con l’altro, guardarsi negli occhi, ascoltarsi.

È preoccupante l’uso che le nuove generazioni fanno di questi strumenti?

Possono essere utili, possono creare una piattaforma di informazioni in un tempo molto breve. Però, un conto è l’informazione, e un conto è l’intelligenza di tirare fuori delle conclusioni da quelle informazioni, e vivere una relazione.

Vincenzo Ruggiero Perrino

 

 

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