La Messa “In Coena Domini” del Giovedì Santo vissuta dai detenuti nella Casa Circondariale di Cassino come in un Cenacolo
E’ vero che le liturgie della Settimana Santa, cuore del cristianesimo, sono tutte suggestive, coinvolgenti e piene di significato, ma parteciparvi in carcere insieme ai fratelli detenuti e vedere quei luoghi generalmente odiosi e detestati trasformarsi in un “Cenacolo” fraterno, è un’esperienza indimenticabile, un vero dono di grazia. E’ quanto si è verificato oggi, Giovedì Santo, primo giorno del Triduo Pasquale, con l’arrivo del Vescovo diocesano, Mons. Gerardo Antonazzo. Accolto con gioia dalla Direzione e dal personale della Casa Circondariale di Cassino, ha presieduto la celebrazione della S. Messa “In Coena Domini”, avendo accanto il diacono Don Marcello Di Camillo, tra dieci giorni Sacerdote, ed il cappellano del carcere, Don Lorenzo Vallone.
I reclusi, aiutati dagli Educatori, dagli agenti di Polizia Penitenziaria e dall’immancabile ed infaticabile Tonino Comparone che, sebbene non più dipendente dell’Istituto, non si tira mai indietro in questi casi, si sono preparati per questa giornata speciale. Un gruppo si è impegnato nei canti, per sostenere con le loro anche le voci degli altri ed ha fornito i fogli con i testi a tutti. Altri, in numero di 12, sono stati gli “apostoli” per la lavanda dei piedi: gli uni e gli altri facevano corona intorno all’altare, allestito con cura nel salone grande, essendo la cappella troppo piccola per accogliere tante persone.
Il Vescovo, sin dall’introduzione, guardando i volti degli ospiti della Casa, ha detto che era bello stare insieme, proprio come Gesù nel Cenacolo con gli Apostoli e proprio nel momento in cui anche Papa Francesco faceva la stessa cosa, celebrando con i detenuti di Rebibbia e tanti altri Vescovi facevano altrettanto in tutto il mondo. Ha fatto sentire il calore umano e la solidarietà che si generano spontaneamente nello stare con Gesù.
Nell’omelia, a commento delle letture liturgiche proclamate, Mons. Gerardo ha fatto notare come Gesù rivoluziona quella che era la tradizionale Pasqua ebraica, poi si è soffermato sull’atmosfera del Cenacolo, dove c’era Gesù, consapevole della imminente morte di croce e dei tradimenti dei discepoli, e c’erano loro, i dodici, con le loro paure, debolezze, fragilità, che finiscono chi per tradire chi per rinnegare… In essi siamo tutti noi, ha detto il Vescovo, noi siamo come loro, ci ritroviamo nei loro atteggiamenti e gesti. Dunque questo è davvero un Cenacolo!, ha concluso. E subito dopo, commentando la frase del Vangelo di Giovanni (13, 1-15): “li amò sino alla fine”, ha spiegato che questo non significa semplicemente “fino alla fine della sua vita”, ma “fino all’estremo”, dando tutto se stesso, compiendo quel gesto che di lì a poco il Vescovo stesso avrebbe ripetuto, di lavare i piedi a loro. Gesto che Gesù compì, tolte le vesti e rimasto come uno schiavo col grembiule, in segno di umiltà, di accoglienza, di infinito amore.
Poi, ha continuato il Vescovo, Gesù chiede ai suoi: “Capite quello che ho fatto per voi?”, così come nell’istituire l’Eucaristia, aveva detto: “Questo è il mio corpo, che è per voi”. Tutto quello che Gesù fa è per e non contro, è per gli uomini, a loro favore, a beneficio, in aiuto, per far bene. E questo è l’esempio che ci ha dato: fare qualcosa di bene per gli altri. Lasciamo stare la vita passata, gli errori commessi, guardiamo al futuro, perché c’è la possibilità di una vita “nuova”. Basta fare il bene per qualcuno, ogni giorno.
Toccante e significativo il momento della lavanda dei piedi, in cui il Vescovo, inginocchiato a terra, ha lavato, asciugato e baciato il piede di ognuno. E loro, i dodici detenuti che erano nella parte degli Apostoli, erano emozionati, contenti e molto partecipi. Al Padre Nostro si sono presi per mano, la Comunione l’hanno ricevuta sotto le due specie del pane e del vino. Diversi di loro avevano indossato la corona del Rosario al collo, i loro sguardi avevano una luce nuova. Uno di loro, nel prendere l’asciugamano, ha stretto la mano del Vescovo in un attimo di intesa breve come un lampo ma profonda e incisiva.
Alla fine il Vescovo ha detto: “E’ bello se dopo la benedizione quello che abbiamo vissuto qui insieme continua nella vita di tutti i giorni dove sono molte le occasioni per fare qualcosa per gli altri, per fare anche noi un piccolo bene per gli altri. Se facciamo questo, la nostra vita è già salvata, redenta; può darsi che si debba stare ancora qui dentro, ma la nostra vita ha preso un cammino nuovo!”. La Direttrice Irma Civitareale ha voluto ringraziare di cuore il Vescovo Antonazzo perché “è sempre presente tra noi anche se lontano fisicamente, e parla di noi anche agli altri perché capiscano e ricordino che il carcere è qui ed è una porzione della Diocesi, è come una piccola parrocchia”, reale e concreta. Alla fine la gioia era palpabile. Nel resto del Triduo Pasquale sarà il Cappellano Don Lorenzo, a celebrare per i reclusi, ma certamente resterà in loro la memoria e la gioia di questa giornata speciale. La comunità diocesana deve sentirsi unita a questa particolare porzione di chiesa e pregare per essa e con essa.
Adriana Letta