Omelia nel trigesimo del vescovo Lorenzo Chiarinelli

 

Servo obbediente e saggio

Omelia nel trigesimo della morte

del vescovo Lorenzo Chiarinelli

 Sora-Chiesa s. Restituta, 4 settembre 2020

Carissimi presbiteri e diaconi, cari amici,

la celebrazione della nostra preghiera nel trigesimo della morte del vescovo Lorenzo, pastore per un decennio della nostra Chiesa, esprime la gratitudine per i tanti benefici elargiti alla nostra comunità diocesana attraverso le parole e i segni pastorali compiuti nell’esercizio intelligente del suo ministero episcopale. Seguendo il tracciato della liturgia, possiamo ricordare il vescovo Lorenzo, mio venerato e indimenticabile predecessore, come servo della Parola, amico dello Sposo, ramo di mandorlo.

Servo della Parola

L’apostolo Paolo, al fine di fare chiarezza sul proprio ministero, si presenta ai cristiani di Corinto con una domanda precisa: “Come allora un uomo penserebbe di noi?” (1Cor 4,1). La risposta dell’autore è immediata e convinta; non ammette fraintendimenti: “…come servo di Cristo e amministratore di misteri di Dio”. Il servo non gode di autonomia, perché la sua azione è relativa a Colui che lo ha investito di una specifica missione. Paolo lo dichiara in ordine alla predicazione del vangelo. I “misteri di Dio” di cui si dichiara “amministratore” devono essere compresi prima di tutto come la conoscenza dei piani di Dio svelati nel Vangelo, che è la persona stessa di Gesù Cristo.

Come ricordare il vescovo Lorenzo, se non come “servo di Cristo e amministratore di misteri di Dio”, servo fedele, obbediente e saggio? Un uomo sedotto dalla bellezza del Vangelo, che ha saputo amministrare i divini misteri in linguaggi umani comprensibili, avvincenti, persuasivi e coinvolgenti. La sua capacità di dialogare non ha mai ceduto a compromessi, custodendo integro lo spessore divino e irrinunciabile della Verità cristiana. La parola umana del vescovo Lorenzo, impregnata di vasta e nutrita cultura, era fecondata dall’incontro sapiente con la parola di Cristo. Nell’ascolto dell’altro nessun baratto del pensiero cristiano con ideologie umane, nessun cedimento a piaggerie e a compiacimenti di facciata; ma sempre e solo lo sforzo genuino di mettere al centro la persona prima della dottrina, facendo prevalere la comune fatica del dubbio e della ricerca sull’imposizione della verità pre-confezionata, l’indagine onesta su qualunque manifesto di dogmi e definizioni, l’accoglienza incondizionata del pensiero altrui sulla difesa ossequiosa di invalicabili recinti, il garbo rispettoso dell’incontro sull’anticipo di una risposta pronta. Il dialogo con la modernità non ha mai tradito l’onesta intellettuale, nutrita del ricco patrimonio della letteratura cristiana di cui era esperto conoscitore e maestro.

 Amico dello Sposo

Gli interlocutori del vangelo provocano Gesù riguardo al comportamento dei suoi discepoli che non digiunano, diversamente dai discepoli di Giovanni Battista e degli stessi farisei. Gesù reagisce: “Potete forse far digiunare gli invitati a nozze quando lo sposo è con loro?” (Lc 5,34). La risposta di Gesù è molto astuta, perché si basa proprio su un punto di accordo con gli stessi farisei: non si digiuna in occasione di un avvenimento gioioso come un matrimonio. L’immagine si trasforma subito in allegoria: lo sposo diventa infatti metafora di Cristo. Dunque, non si impone ai discepoli il digiuno mentre grazie a Gesù e intorno a Lui si sta ormai inaugurando con gioia nuziale il mondo nuovo!

Giovanni Battista lo aveva già riconosciuto, e pubblicamente dichiarato: “Lo sposo è colui al quale appartiene la sposa; ma l’amico dello sposo, che è presente e l’ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo. Ora questa mia gioia è piena. Lui deve crescere; io, invece, diminuire” (Gv 3,29-30). Giovanni mantiene un rapporto di intimità con Cristo e uno specifico servizio da assolvere. Così scrive sant’Agostino: “Giovanni è amico, non un geloso rivale; e non cerca la propria gloria, ma quella dello sposo. Tale compito è proprio degli amici dello sposo; nelle nozze umane è tradizionale un rito solenne, per cui, oltre tutti gli altri amici, è presente anche il paraninfo, amico più intimo, che conosce la casa dello sposo. Ma costui è importante, veramente molto importante. Quel che nelle nozze umane, uomo a uomo è il paraninfo, questo è Giovanni in rapporto a Cristo” (Disc. 293, 6-7).

Anche il vescovo Lorenzo, paraninfo perchè amicus sponsi, ha preparato la strada all’incontro con Cristo con il tatto della discrezione e l’umiltà della parola penultima. Gli insegnamenti del Vescovo Lorenzo erano “voce” della Parola dello Sposo. Era ben consapevole di non voler “scalzare” lo Sposo, né oscurare con parole umane la centralità non negoziabile del Verbum e del primato cosmico di Cristo. E allo stesso tempo, non intendeva mai occupare la coscienza dell’altro; rispettava ogni spazio di libertà, lasciando ad ogni interlocutore il discernimento personale e la reazione possibile. Per questo, credo, ogni suo discorso poteva illuminare il già credente, ma anche orientare il mendicante di luce e cercatore di verità.

Raccolgo volentieri una delle tante testimonianze che indica lo stile dialogico del vescovo Lorenzo come segnato da “un lessico familiare alimentato costantemente da una confortante amorevole intelligenza, la sua. Sempre attento alle vicissitudini che la vita riserva. Sempre curioso e pronto a cogliere nell’orto dell’altro, dal punto di vista di altri tutte le novità e criticità culturali e politiche. Disponibile sempre a leggere, scoprire e interpretare quello che restava celato nella narrazione di ogni uomo, omesso per pudore o autocensurato con diplomazia” (G. Pescosolido).

Ramo di mandorlo

Con intuizione profetica il vescovo Lorenzo ha saputo leggere i “segni dei tempi” e riconoscere l’irruzione della novità dello Spirito di Dio nella Chiesa del Concilio e nei meandri confusi e disarticolati di una stagione culturale e sociale segnata da grandi trasformazioni. Nel vangelo odierno Gesù ha dichiarato anche l’incompatibilità fra il vecchio Israele e la novità del Regno: non si rattoppa un vestito vecchio con un pezzo tolto da un vestito nuovo, e non si versa vino nuovo negli otri vecchi. In entrambi i casi bisogna preservare il nuovo dal compromesso con il vecchio, perché non vada tutto perduto e vanificato.

Nel primo Testamento Dio aveva riacceso l’entusiasmo del suo popolo in un momento difficile della sua storia con queste parole: “Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche! Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?” (Is 43, 19). Ancor più suggestivo il dialogo tra Dio e il profeta Geremia: “Che cosa vedi, Geremia? Risposi: Vedo un ramo di mandorlo. Il Signore soggiunse: Hai visto bene, poiché io vigilo sulla mia parola per realizzarla” (Ger 1,11-12). Così il vescovo Lorenzo: ha saputo intuire e vigilare sui segni premonitori di una primavera che irrompeva nei primi germogli appena dischiusi.  Nella modernità che avanzava, il vescovo Lorenzo non ha mai visto una minaccia, ma un’opportunità da cogliere con senso critico, con spirito evangelico, con sano discernimento. Ancora una testimonianza: “Ha condiviso con ciascuno il sorriso e la fragi­lità delle stagioni umane, l’ispirazione del pen­siero, l’emozione della parola, cercando il volto della fonte di questo dono infinito, con stupore, curiosità, umorismo, ma anche con la preghiera di benedizione e, se necessario, con quella di in­vocazione della pazienza di Dio … insieme con la memo­ria profetica dell’epifania incessante di Dio nelle opere dell’ingegno umano da lui esplorate e a tutti restituite come pane spirituale buono e fragrante di libertà e semplicità (Luigi Gulia).

Ora, non ci resta che lasciar parlare il vescovo Lorenzo mettendo sulle sue labbra le parole dell’apostolo: “Io non giudico neppure me stesso … Il mio giudice è il Signore! … Egli metterà in luce i segreti delle tenebre e manifesterà le intenzioni dei cuori; allora ciascuno riceverà da Dio la lode”.

Restare sereni in coscienza non significa essere esenti da umane debolezze. L’apostolo ipotizza più la possibile ignoranza che la completa innocenza. La giustificazione è un atto di Dio, non dell’uomo, un atto che non si basa sulla mancanza di peccato da parte dell’uomo, ma sulla grazia di Dio. È solo compito di Dio dare l’elogio per il dovere compiuto.

                                                                                              + Gerardo Antonazzo

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