- Raccontaci di te.. come ti chiami, quanti anni hai, dove vivi, che lavoro fai, i tuoi hobby
Mi chiamo Antonio Renna ed ho 57 anni. Originario di Copertino, in provincia di Lecce, ho studiato a Roma, dove mi sono laureato in sociologia e filosofia. Nel 1984 mi sono sposato e, da allora, vivo a Cassino. Insegno Religione cattolica nel Liceo classico di Cassino.
- Qual è il tuo ruolo in diocesi
Sono responsabile del Movimento ecclesiale di Comunione e Liberazione.
- Da quanti anni rivesti questo incarico
Dal 1984
- Quali le difficoltà più grandi che hai incontrato durante questo periodo e come le hai superate?
A volte, da parte di alcuni sacerdoti, abbiamo incontrato un atteggiamento di scetticismo nei confronti dell’esperienza del Movimento. Tale atteggiamento è stato facilmente superato dopo i primi incontri e la conoscenza diretta della nostra esperienza.
Un’altra difficoltà è stata quella di una riduzione, da parte dei mezzi d’informazione, della nostra esperienza ecclesiale all’impegno politico di qualche nostro aderente. Anche in questo caso, ciò che ha permesso di superare la falsa immagine del movimento, è stato l’incontro diretto con le persone di CL.
- Cosa pensi dell’unione delle diocesi, cosa hai provato al momento dell’annuncio
Dio entra sempre nella nostra vita portando qualcosa di nuovo. Alcune volte, troncando le nostre abitudini, sconvolge i nostri progetti, e apre la nostra esistenza a nuove possibilità. Ho vissuto e sto vivendo in questa prospettiva l’unione delle diocesi.
- Che prospettive si aprono oggi alla luce dell’unità pastorale
Come sinteticamente dicevo sopra, Dio chiede sempre al popolo un sacrificio in prospettiva di un bene superiore. Credo dunque che l’unione dei due territori, attraverso cui è stata costituita la nuova diocesi, porterà un arricchimento dell’esperienza di fede e una maggiore possibilità di confronto con altre associazioni e movimenti.
- Quali possono esserne i pregi e i difetti, punti di forza e di debolezza, inizia ora un cammino di scoperta, di conoscenza, la bellezza di incontrare nuovi volti…
L’ampiezza territoriale della diocesi è senz’altro un fattore che non favorisce gli incontri tra le persone, ma nello stesso tempo sappiamo bene che l’uomo è mosso da un interesse. Se la testimonianza tra noi è interessante per la vita, lo spazio e il tempo non saranno di ostacolo.
- Le trasformazioni in seno alla famiglia stanno prendendo sempre più piede nella nostra società moderna. Cosa pensi di questi cambiamenti, alla luce delle decisioni del Sinodo straordinario sulla famiglia da poco concluso?
Il mondo è in continua trasformazione e noi cristiani viviamo nel mondo come testimoni di una realtà irriducibile al mondo. A proposito della famiglia, il Sinodo non mi sembra che abbia dato ancora delle indicazioni. Si sta discutendo. Credo comunque che possiamo affermare che il metodo cristiano è sempre lo stesso: la testimonianza. Solo famiglie cristiane che manifestano la bellezza del matrimonio, la bontà del mettere al mondo i figli e il valore del sacrificio nel crescerli, potranno generare nelle nuove generazioni un fascino per la vita familiare che le strappi all’individualismo e al nichilismo in cui sono immerse.
- Come vedi, aldilà della paura del diverso, la possibilità di vedere in futuro la pacifica convivenza di religioni ed etnie differenti? Una sorta di melting pot (un “crogiuolo di razze”) in cui può perdersi l’identità cristiana?
L’identità cristiana non scaturisce da un’etnia o una razza particolare. L’identità cristiana nasce dalla fede in Gesù Cristo “via, verità e vita”. La pretesa cristiana non consiste, quindi, nell’occupazione di territori, di spazi, ma nel metodo che Dio ha scelto per comunicarsi all’uomo: Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo.
La fede cristiana ci permette di stare bene in qualsiasi luogo e nello stesso tempo trovare qualsiasi luogo inadeguato. Non si è forse sviluppata la fede cristiana in un mondo dove vi era una pluralità di proposte religiose? L’identità cristiana c’è, dove c’è un uomo che vive di Gesù Cristo.
- Si può pensare ad una interazione giovanile che consideri la difficile situazione lavorativa e si metta in moto un accordo attraverso fondi con chi uscito dall’università con una laurea non sappia dove è come lavorare? Parliamo anche di immigrati e delle connessioni lavorative con l’estero.. ci possono essere possibilità?
La disoccupazione è un attentato alla vita dell’uomo, in quanto non permette all’uomo di esprimersi. La disoccupazione, quindi, è una condizione che dobbiamo combattere con tutti i mezzi, non ultimo l’aiuto reciproco per individuare risorse, opportunità, ambiti produttivi in cui si rendono necessarie delle innovazioni. Il primo passo, in questa direzione, è dato da un coordinamento tra coloro che sono alla ricerca di lavoro, soprattutto giovani, fosse solo per uno scambio di informazioni, ma con un’apertura a 360 gradi.
- La diocesi ora conta ancora più fabbriche e aziende, è auspicabile una pastorale del lavoro?
La situazione culturale che ci troviamo a vivere con i suoi risvolti sociali sollecita i cristiani ad una testimonianza esistenziale che deve privilegiare l’essenzialità della proposta cristiana. Oggi è diventato urgente dire a noi stessi cosa ci fa vivere, per quale scopo ci alziamo al mattino.
Il crollo delle evidenze originarie e la conseguente crisi antropologica che attraversa la nostra società, a me sembra, richiedano, piuttosto che un pur giusto discorso sui particolari della vita, la proposta della bellezza della vita cristiana che, nei particolari, si rende evidente.
Solo riscoprendo il gusto di essere al mondo, sapremo ritrovare le modalità espressive perché il lavoro diventi occasione di realizzazione della persona. Solo se sul lavoro incontriamo persone che vivono con gioia, il lavoro acquista il suo valore. Credo che una pastorale del lavoro nel mondo odierno non possa prescindere da questo.
- A Cassino la Caritas sta seguendo la difficile situazione del carcere e la riappropriazione dell’identità umana dei carcerati, come amplificare questo servizio?
Imparando da altre esperienze cristiane che, operando nel carcere, hanno saputo creare delle occasioni di lavoro e/o di relazioni interpersonali che hanno offerto ai carcerati delle possibilità di riscatto e di realizzazione umana.