A volte le vicende della vita ti fanno allontanare da Dio ed abbandoni anche quella realtà in cui sei nato e hai trascorso gli anni più belli della tua adolescenza. Per colmare quel vuoto spirituale che provi dentro ed annegare il tempo, che l’associazionismo cristiano, impegnava nelle giornate e soprattutto nei weekend, provi ad evadere. Dopo serate passate provando a dimenticare, in discoteca e nei locali latino americani di una Roma nascosta, una notte, o meglio una mattina, tra cocktail e luci di svariati colori, suoni e ritmi assordanti ma soprattutto tra misteriosi esseri che vagano perduti accarezzando la tua ombra, guardando annebbiato intorno ti chiedi: “chi sono, cosa sto facendo, dove sono… ma questa è la mia vita?”
iemerso alla luce del giorno, ma non dell’anima, si prova a cambiare di nuovo, sport e natura, escursioni e passeggiate in alta montagna o a cavallo. Dopo rafting, hydrospeed, snorkeling, paracadute ascensionale… si decide di assaporare il fascino del mondo sommerso ed iscriversi al corso degli amici dell’A.S.SO.SCUBA (associazione apneisti e subacquei sorani). Dopo le lezioni di teoria (che troppo spesso da alunno indisciplinato marinavo, tanto c’era con me un’amica “esperta” che era già stata nel Mar Rosso, dove le avevano regalato il brevetto Advanced) tenute dall’Istruttore Andrea Alonzi e dal presidente dell’associazione Lello Capasso, dopo le prove pratiche in piscina finalmente arriva la prima immersione. Terminata la faticosa vestizione del sub con muta, guanti, gav, erogatore, pinne, piombi, bombole, ci si tuffa. L’acqua gelida, l’inesperienza, il peso delle attrezzature, la paura della prima volta ti afferrano. Metro dopo metro la muta imbevuta d’acqua diventa sempre più pesante ed inizi ad andare giù, perdi l’assetto, il respiro affannato, hai sempre più fame d’ossigeno e succhi disperato all’erogatore, la scarsa visibilità della giornata, la maschera che si appanna (quando lo dicevo alla mia amica che bisognava seguire le lezioni perché la subacquea non si improvvisa). Manca l’aria, manca il respiro, acqua ghiacciata come spine sulla fronte, la sensazione di affogare, ti dimeni ed anche la maschera si riempie d’acqua, non si vede più nulla, aiuto… la corda ti sfugge dalle mani e ti ritrovi senza neppure un punto di sostegno, senza più speranze. Il terrore ti assale, sembra ormai arrivata la fine… ma proprio nel punto più profondo vedi un riflesso, uno strano bagliore, sì c’è qualcosa da afferrare, un sostegno. Con le ultime forze rimaste lo afferri. Piano piano, come ti avevano insegnato al corso, attimo dopo attimo, respiro dopo respiro riprendi il fiato, la lucidità e la tranquillità. Riaprendo gli occhi ti ritrovi abbracciato con tutte le forze ad un oggetto fissato su una roccia nel fondale. Svuoti la maschera, come ti aveva insegnato l’Istruttore e guardi meglio: una Croce? “Si è proprio una Croce!” Sono sul fondo di un lago abbracciato, con tutte le mie forze, mani, piedi e volto appiccicato come un bambino spaventato alle gambe della madre, stretto ad una Croce, la croce in fondo al lago di Posta Fibreno. Ed in quel momento ti tornano alla mente i versi del Salmo 139: «Dove andare lontano dal tuo spirito, dove fuggire dalla tua presenza? Se salgo in cielo, là tu sei, se scendo negli inferi, eccoti. Se prendo le ali dell’aurora per abitare all’estremità del mare, anche là mi guida la tua mano e mi afferra la tua destra».
Quel Dio che avevo cercato di abbandonare e da cui provavo costantemente a fuggire, scendendo prima nel buio degli inferi, salendo sul più alto dei monti e poi immergendomi nel più profondo dei mari, era lì accanto a me. E proprio nel momento in cui pensavo fosse finita, mi ritrovavo attaccato alla sua Croce, come in quella attività di tanti anni prima, da ragazzo, ai campi estivi in cui don Fabrizio ci fece abbracciare al Suo legno. Quella Croce che avevo provato ad allontanare da me perché simbolo del dolore che provavo, quella Croce di condanna e di morte era in quel momento la mia unica salvezza, quella Croce si era trasformata ed ora era Resurrezione e Vita. Mentre il cuore palpitava forte, nella mente le ombre del fondale apparivano come flash dei ricordi e dagli occhi sgorgano inarrestabili le lacrime, senti da dietro il tuo compagno di immersione che accortosi delle difficoltà batte sulla spalla e con il linguaggio dei gesti dei subacquei chiede come stai. Ti volti, scorgi i suoi occhi preoccupati e rispondi: «Va bene, va bene, tutto OK». Vorresti restare ancora lì stretto alla Croce ritrovata, ma lui ti fa segno di andare, l’aria nella bombola è già a metà ed ancora non abbiamo iniziato. La paura e la solitudine sparite, salutata la croce di salvezza, stacchi pian piano la mano da Lei e stringi quella del compagno, pinneggiando lentamente vi allontanate. Quell’acqua, che appariva così fredda, ha creato uno strato impermeabile tra pelle e muta, dando una piacevole sensazione di protezione. Ormai sicuro, ritrovato il respiro e l’assetto, riprendi a nuotare godendo finalmente le meraviglie, i colori, le creature di un mondo che mai avresti immaginato potesse essere così bello e straordinario. L’immersione è finita, compensando pian piano si risale in superficie dove puoi di nuovo respirare, a pieni polmoni, senza erogatore. Si torna a casa, con quella Croce nel cuore, con uno Spirito nuovo e con il pensiero diretto verso nuovi inesplorati lidi ed antiche rovine da riscoprire… perché se non ti immergi e resti sempre in superficie, come disse un giorno a lezione l’istruttore, ti manca qualcosa perché non vedrai mai l’altra metà del Mondo… il Mondo Sommerso.
– Riccardo Petricca
– Foto del Lago di Tonino Bernardelli
– Foto di Copertina Assoscuba