In Gesù Cristo il nuovo umanesimo: ABITARE

Convegno Ecclesiale Nazionale

Firenze 2015

“In Gesù Cristo il nuovo umanesimo” 

sintesi diocesana delle relazioni

delle otto zone pastorali

Abitare

Nell’ A.T. Dio esprime il desiderio di abitare presso gli uomini, di sistemare la sua tenda. Dio desidera abitare sulla terra così come abita in cielo. Questo desiderio di dimorare è illustrato nell’A.T. in diversi modi: troviamo riferimenti nei racconti dei Patriarchi, nel libro della Genesi, nel libro dell’Esodo, nei Salmi e anche negli scritti poetici. La shekhinah di Dio (presenza-dimora) nell’A.T. si china per incontrare l’uomo, si fa carico delle sofferenze di tutto il popolo e di ogni singolo uomo. La presenza di Dio s’incarna trovando la sua massima espressione nel Prologo di Giovanni. La shekhinah si è incarnata ed è venuta ad abitare in mezzo a noi, attraverso il figlio di Dio: Gesù Cristo, il logos. Vivere, quindi, secondo la Parola fa sì che chi segue Gesù diventi “tempio vivo”, nel quale Dio stesso “abita”. Allora, come possiamo continuare, nella società odierna, a testimoniare la presenza di Dio che continua ad accompagnare il suo popolo lungo il cammino, tra deserti e promesse? Una risposta è rappresentata sicuramente dal Vangelo, dono di Dio agli uomini, il quale abita nelle nostre comunità. Questo è il cammino delle nostre comunità che allargano i propri confini e vanno ad “abitare” il quotidiano della gente assumendo e manifestando solidarietà verso il prossimo. La shekhinah di Dio tiene unite le nostre tende abitando in mezzo a noi. Il nostro territorio deve essere una casa comune, una sola tenda, nella quale il ponte tra la vita della strada e quella della Chiesa è costituito proprio da noi uomini e donne di buona volontà.

“Maestro dove abiti… venite e vedrete”(Gv 1, 35-40). Dobbiamo recuperare il principio dell’incarnazione, il modo di “abitare” di Gesù: la sua condivisione delle gioie e dei dolori delle persone che incontrava sul suo cammino; del suo andare a trovare e accogliere i “lontani” del suo tempo.  Siamo chiamati a farci carico delle gioie e dei dolori degli uomini del nostro territorio. Siamo chiamati a leggere con occhi nuovi la realtà che ci circonda e le persone che sono intorno a noi. Il cristiano deve abitare anche la politica, ma lo deve fare in modo onesto. Deve entrare e rimanere in politica da “cristiano”, perché porta in sé delle risorse e dei valori che gli vengono dal Vangelo e che vanno testimoniati proprio in quel mondo.  Dobbiamo farci carico dei problemi concreti che toccano le persone del nostro territorio: povertà, lavoro, salute.

Occorre riscoprire il nostro territorio nella sue caratteristiche, nella sua storia, nella sua cultura, nel suo straordinario percorso di fede, per aiutare chi vi abita a ritrovare le proprie radici cristiane. Il territorio è uno spazio, cioè una realtà geometrica o geografica: di una città si possono dire i metri quadri, l’altitudine sopra il livello del mare, la latitudine e la longitudine, le volumetrie di un piano regolatore generale… Il territorio è un luogo, cioè un riferimento per la vita delle persone, un punto di identificazione e di appartenenza, perché è somma di tradizioni, di culture. Il territorio è una dimora. Dimorare è molto più dell’abitare: non vuol dire solo vivere in un territorio o farsi vivere da un territorio, ma “vivere il territorio” e “far vivere il territorio”: le relazioni, i bisogni, le risorse reali e potenziali, i valori, le credenze, le tradizioni, la religione, il sistema socio-politico-culturale. Occorre intessere un vero dialogo con le istituzioni presenti sul territorio e portarvi l’originalità del messaggio evangelico. Occorre saper dialogare soprattutto con le nuove generazioni (da considerare come i nuovi poveri o i nuovi lontani), assumendo i loro linguaggi espressivi e le moderne tecniche di comunicazione; occorre essere presenti nei loro luoghi abituali di vita per  aiutarli a scoprire la bellezza ed il valore della vita come dono. Abitare il territorio e prendersi cura dei suoi abitanti esige che ne conosciamo le risorse, soprattutto umane. Ci sono tante persone che, nel volontariato o nelle istituzioni pubbliche e private, offrono servizi tradizionalmente offerti dalla Chiesa. Di qui, la necessità di creare attorno a noi un clima di simpatia, di stima e di fiducia per arrivare, attraverso la via dell’amicizia e una fitta rete di buone relazioni, a un dialogo costruttivo con gli altri soggetti sociali e, più in generale, con le diverse componenti del territorio, prendendo le distanze da ogni forma di pregiudizio nei confronti di chi ci sta dinanzi, chiunque sia e qualunque sia la sua appartenenza religiosa, sociale, politica.

I luoghi di aggregazione e gli stessi aggregati stanno cambiando. Nei nostri territori ci troviamo a dover convivere con situazioni a noi prima sconosciute. La presenza, sempre più  numerosa, di persone che provengono da culture, tradizioni, religioni diverse dalla nostra ci impongono un dovere di integrazione, di condivisione, di accettazione,  per taluni versi, non facilmente condivisibili da tutti.

Bisogna saper abitare anche la parrocchia. La Christifideles Laici di Giovanni Paolo II dice che la parrocchia “non è principalmente una struttura, un territorio, un edificio, è piuttosto la famiglia di Dio, come una fraternità animata dallo spirito d’unità”, è “una casa, una famiglia, fraterna ed accogliente” (n.26). E il nuovo Codice di Diritto canonico, pur affermando che “come regola generale è territoriale” (can. 518), ricorda che la parrocchia è “una comunità di fedeli” (can. 515, § 1). Se la parrocchia non si identifica con il territorio, il rapporto con il territorio è, però, per la parrocchia, una dimensione originaria, costitutiva, di identità. E se in Italia la sua diffusione e la sua capillarità sono particolari, nella nostra diocesi il suo carattere di popolarità e la sua capacità di radicamento nel territorio sono del tutto unici per il fatto che esiste un numero davvero rilevante di chiese e di attività liturgico-pastorali che hanno consentito negli anni di conoscere e di abitare il territorio in maniera sistematica. Attualmente la situazione sta diventando complessa, perché da una parte occorre potenziare questo rapporto con il territorio, dall’altra la scarsità dei presbiteri lo rende sempre più difficoltoso. Per non far venire meno questa potenzialità del rapporto col territorio, è necessario sviluppare la formazione e la responsabilità degli operatori pastorali laici.

Categorie: CEI

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